Anzi, al parlamento italiano le menzogne si moltiplicano. Ecco dunque che io replico con il mio: "8 Marzo e parità di diritto:
parlano le donne"
E confermo che le
donne parlano.
PARLANO DI LIBERTA'
Parlano
della libertà, ma la libertà esiste solo per le donne.
Socialmente,
la donna è libera di scegliere se dedicarsi al lavoro e alla
carriera o alla famiglia e alla vanità (). Se vi sono
statisticamente meno donne che guadagnano tanto (ma qualcuna vi é, a
dimostrazione proprio di come chi davvero vuole arrivare a certe
posizioni vi arrivi, se alla pari di un uomo si impegna, e come non
esistano affatto "soffitti di vetro" o ostacoli costruiti
apposta contro le donne) non è perché sono vittime di un complotto
o le si paga di meno in quanto donne (sarebbe assurdo), ma
semplicemente perché molte donne non hanno bisogno di guadagnare
necessariamente tot euro al mese per essere socialmente accettate o
di raggiungere una certa posizione, di forza o di prestigio,
socio-economica per essere desiderate dagli uomini (e quindi appagare
un profondo desiderio di natura). Per questo non avrebbe senso per
molte donne sacrificare il proprio tempo, la propria sensibilità, il
proprio impegno, i propri stili di vita, sull'altare della carriera
lavorativa la quale sotto la specie della natura non aggiungerebbe
nulla alle loro possibilità d'essere felici nella sfera
erotico-sentimentale (giacché l'uomo mira esclusivamente alla
bellezza o alla sua illusione).
L'uomo invece non è affatto
emancipato, poichè non ha affatto quelle possibilità di scelta
legate al privilegio della bellezza (o, meglio, della sua illusione),
ma è costretto a lavorare per vivere, e per non risultare
socialmente trasparente e negletto dalle donne deve anche avervi
successo. Non può né coprirsi né scoprirsi, né essere (senza
quattrini) seduttore, né mantenuto, ma deve per forza (non già per
scelta) impegnare ogni sforzo d'intelletto e di mano, ogni goccia di
volontà e di sudore, nel lavoro, per sperare di ottenere una
posizione tale da essere immediatamente e oggettivametne guardato,
ammirato, disiato dalle donne così come queste sono da lui bramate
per la bellezza. L'uomo è ancora costretto ad un ruolo, e se non vi
eccelle non ha certo il sorriso (sincero) del prossimo, l'ammirazione
degli astanti e l'accettazione sociale al primo sguardo come le
donne, né suscita in loro interesse (se non come buffone di cui
farsi beffe). L'uomo, al contrario della donna, DEVE DEVE DEVE
(indipendentemente dai sui gusti, dalla sua sensibilità, dai suoi
valori) affermarsi nel lavoro, pena essere considerato trasparente
dalla società ed essere negletto dalle donne.
Dovrebbe esistere
un ministero per l'emancipazione dell'uomo.
Sessualmente, poi,
alle donne viene riconosciuta la libertà di (s)vestirsi come pare
loro (consciamente per moda, capriccio, vanità, interesse economico
sentimentale, gratuito sfoggio di preminenza erotica, oppure
inconsciamente, poichè dietro il "vestirsi all'occidentale"
si cela l'istinto di natura di apparire massimamente belle e
disiabili per attrarre quanti più maschi possibile e selezionare fra
essi chi eccelle nelle doti volute, presente nel profondo a
prescindere dall'intenzione cosciente di conoscere uomini o ricercare
con essi rapporti più o meno intimi) mostrando a piacimento le loro
grazie, ma all'uomo viene fatto divieto di mirare liberamente quanto
mostrato (sono stati recentemente inflitti dieci giorni di carcere ad
un passeggero colpevole di aver solo guardato quanto la donna gli
poneva innanzi in maniera da questa ritenuta prolungata e
fastidiosa), alle donne viene concessa la libertà di esprimere
(consciamente o meno) in ogni modo, tempo e luogo il proprio naturale
istinto d'esser belle e disiate (chè, come detto, questo vi è
dietro il diritto a "vestirsi come le pare" o a "esprimere
la propria femminilità") e addirittura di esagerare a piacere
nell'illudere, nel suscitare disio e provocare attrazione negli
astanti, ma all'uomo non è parimenti permesso di esprimere il suo
corrispettivo istinto di disiare al primo sguardo la bellezza,
inseguirla e cercare di ottenerla (nemmeno, con le nuove vaghe e
omnicomprensive leggi sulle molestie, se le espressioni di esso non
mostrano oggettivamente nè violenza nè prepotenza nè
prevaricazione nè volontà di costringere, giacchè la sola
sensiblità femminile pare far giurisprudenza definendo a posteriori
e secondo i propri soggettivi parametri cosa sia il reato),
le
donne hanno insomma il diritto di mostrare e gli uomini il dovere di
non guardare quanto mostrato, le donne il permesso di seguire il
proprio comportamento naturale e l'uomo il dovere di reprimere la
propria corrispondente della mia natura, le donne il diritto ad
essere disinibite e l'uomo il dovere legare a sottoporsi a mille
inibizioni, le donne il permesso ad essere ambigue e l'uomo il dovere
a risultare "sessualmente corretto" (nel senso stabilito
fuori da ogni etica, da ogni logica, da ogni natura e da ogni buon
senso dal femminismo pc angloamericano).
Per le donne viene
addirittura sancito (a costo di distruggere il beneficio del dubbio
per chi vien accusato di violenza da una femmina almeno ad principio
non certo costretta con la forza a seguirlo) il discutibile diritto
ad attrarre, per capriccio, vanità, bisogno d'autostima, aumento del
proprio valore economico-sentimentale o gratuito sfoggio di
premiennza erotica, chiunque si trovi a tiro anche quando fin da
principio non vogliono alcun rapporto con loro, a diffondere
pubblicamente disio presso tutti gli astanti e tutti i perfetti
sconsciuti che esse non hanno alcuna intenzione di conoscere, ma solo
di ingannare, di far sentire nulli di fronte a lei, e di rendere
sessualmente frustrati, e addirittura quello di dilettarsi a
suscitare disio per poi compiacersi della sua negazione e di come
questa, resa al massimo grado beffarda, umiliante e dolorosa da una
meditata e intenzionale perfidia, possa far patire nel corpo e nella
psiche del "prescelto" pene infernali dopo le promesse
implicite di paradiso, provocando con tutto ciò continuamente negli
uomini, in maniera assolutamente impunita dalla legge ed anzi da
questa istigata, tensione emotiva, ferimento intimo, irrisione al
disio, umiliazione pubblcia e privata, sofferenza nel corpo e nella
psiche, inappagamento fisico e mentale degenerante alla lunga in
ossessione e disagio (se ripetuto) scivolante dal sessuale
all'esistenziale.
Per gli uomini che siano accusati di aver
cagionato il minimo e presunto danno fisico o psicologico ad una
donna valgono invece leggi draconiane pronta ad infliggere anni di
carcere per una mano morta o a distruggere vite e carriere per una
proposta ritenuta "volgare". Che quanto urta la particolare
sensibilità femminile (atti, detti, sguardi o toccate) debba essere
considerato offensivo, punito dalla legge e giustificante la vendetta
più ampia, crudele, dolorosa e soggettiva da parte della donna e
quanto invece ferisce (in maniera spesso assai più grave, come si
può oggettivamente rilevare dal numero di suicidi cagionati da una
donna o, senza arrivare agli estremi, dalla diffusione fra i maschi
di problemi come l'anoressia sessuale o il precoce bisogno di
prostitute) l'altrettanto particolare (e non già inesistente)
sensibilità maschile (ad esempio il comportamento intriso di
stronzaggine, divenuto regola nelle femmine moderne, anche quando non
usano le mani, e spesso motivato da prepotenza, vanagloria, necessità
di autostima o sadismo o comunque volontà di provocare sofferenza
emotiva) sia trascurabile, non penalmente rilevante, appartenente
alla normalità, alla tollerabilità o comunque al "diritto
della donna" e non provocante in sé offesa o umiliazione (anche
se è quanto l'uomo prova, di fronte a sé o agli altri, quanto sente
come intima ferita nella sessualità e può provocargli traumi,
blocchi psicologico e metterlo a disagio emotivo, momentaneo e poi
esistenziale) è PURO ARBITRIO di questa ginecocrazia
plebea.
PARLANO DI DIRITTO
Parlano di
diritto, ma con le leggi sulle "molestie sessuali" è
sancito il "diritto" per ogni donna a stabilire a
posteriori e secondo i propri parametri il confine fra lecito e
illecito, nella maniera più vaga e ampia possibile e senza alcun
obbligo di riferimento oggettivo e valido per tutti (contro ogni
oggettività del diritto, che vorrebbe la definizione di ogni reato
circoscritta a quanto chiaramente identificabile come tale e
soprattutto noto a tutti a priori) e con quelle sulla cosiddetta
"violenza sessuale" è possibile per una donna (contro ogni
presunzione di innocenza per la quale nessuno dovrebbe essere
trattato da criminale prima che il crimine sia dimostrato al di là
di ogni ragionevole dubbio) far finire in galera in qualsiasi momento
qualsiasi uomo a tempo indeterminato con la sua sola parola, prima
del processo (aboliti i domiciliari), prima ancora vi siano prove
fattuali o addirittura senza alcun riscontro oggettivo che non sia il
racconto di luoghi, persone e fatti realmente esistiti ma di per sè
non probanti affatto il presunto stupro (basta che l'accusatrice pur
essendosi appartata volontariamente e, magari in preda all'alcool o
all'ebbrezza della trasgressione, essersi concessa senza violenza
alcuna, a posteriori si penta del proprio comportamento e riferisca
di essere stata costretta in qualche modo; anche se non porta prove,
le basta saper inventare bugie credibili, o semplicemente raccontare
la verità fino al momento del presunto stupro, per dare al pm modo
di dire che il racconto coincide con fatti, personaggi e luoghi
realmente riscontrati) e poi esagerare ad arte, distorcere o
addirittura inventare di sana pianta quanto avvenuto dopo).
Solo
quest'anno l'italia, che passa per paese "maschilista", ha
approvato ben due leggi in tal senso.
Quella sulle molestie
sessuali è stata totalmente gratuita, non sospinta da alcuna
richiesta del mondo reale, e foriera di infinite possibili violazioni
della giustizia, del buon senso e della vita civile e naturale. Come
si fa a sapere a priori se un complimento, un atto, uno sguardo sarà
considerato molesto o meno? Nel dubbio un uomo savio non farà
assolutamente nulla. Non ci si lamenti allora se gli uomini non
vogliono più corteggiare: ora alla naturale timidezza, alla
razionale considerazione di non convenienza (nel dare tutto in
pensieri, parole e opere per ricevere come funzione di variabile
aletaoria), all'emotiva ritrosia a doversi sentire "sotto
esame", al rifiuto psicologico a trovarsi nella condizione del
cavalier servente pronto a tutto per un sorriso e potenzialmente
vittima d'ogni tirannia, umiliazione e inganno, si aggiunge pure il
pericolo del carcere.
Come si può pretendere che un uomo
addirittura corteggi quando anche solo la prima naturale espressione
(più o meno raffinata, più o meno poetica, più o meno esplicita a
seconda delle inclinazioni, degli stili e delle conoscenze di
ciascuno) del suo desiderio per le grazie femminili può essere ad
esclusivo arbitrio della presunta vittima reputata un reato da
accostare addirittura agli stupri (è nella stessa legge!)?
Questo
porterà ad una uccisione sul nascere della spontaneità di ogni uomo
(soprattutto se giovane) in ogni rapporto con le donne e un
conseguente progressivo allontanamento di ogni uomo dotato
d'intelletto dal genere femminile.
Sarà anche vero che la
maggioranza delle donne non denuncerà un ammiratore per un
complimento osè, e si limiterà a segnalare i casi davvero molesti,
ma se si supponessero tutte le persone buone e giuste non servirebbe
neppure la legge. Quanto rende questa legge abominevole è il fatto
di permettere a quel sottoinsieme di donne false e perfide di
denunciare chicchessia per capriccio, vendetta arbitraria, ricatto,
interesse o gratuito sfoggio di preminenza erotico-sociale (nel poter
far finire nei guai un uomo con l'arma dell'attrazione sessuale e
nell'esser creduta a priori mentre l'altra parte è tenuta a tacere e
se parla reputata indegna d'ascolto e degna solo o del riso o del
disprezzo)
Non sto dicendo che le donne siano tutte perfide e
sadiche, sto solo esprimendo il mio sdegno per una giurisprudenza
tale da permettere a chi lo sia di infierire massimamente sul primo
uomo incontrato per strada. Sarebbe come una giurisprudenza che
permettesse agli stupratori di infierire sulle vittime (le donne se
ne lamenterebbero anche senza considerare tutti gli uomini
stupratori).
Se la definizione del confine fra lecito e illecito è
lasciata alla arbitraria interpretazione e alla irriproducibile (e
spesso inconoscibile) sensibilità della presunta vittima, come sarà
possibile anche per chi non ha fatto nulla di male dichiararsi
innocente? Se una donna dichiarerà di essersi sentita molestata,
come farà l'uomo accusato a sostenere il contrario, non essendo
nelle sue facoltà entrare nella psiche della controparte e mostrare
che non vi è stata sensazione di molestia? Che la donna menta o
meno, l'uomo potrà soltanto dire di non aver avuto intenzione di
molestare e di non aver compiuto nulla di oggettivamente molesto.
Se
però l'oggettività del diritto è sostituita dalla soggettività
femminile la condanna risulterà sistematica (poichè il reato verrà
definito a posteriori e a capriccio della presunta vittima).
Bella
prospettiva per uno stato di diritto.
Chiunque cammini per strada
e incontri una donna rischia due anni di carcere anche senza aver
intenzione di farle nulla, anche senza compiere alcuna
molestia.
Avendo infatti voluto definire con tale parola anche
quanto non lascia alcun segno oggettivamente riscontrabile , sarà
sovente impossibile dimostrare l'esistenza o meno della molestia. E
se si prosegue quanto si sta affermando in termini di violenza
sessuale, si finirà per credere a priori alla donna (considerata de
facto unica fonte di verità e sensibilità umane da difendere e
proteggere ad ogni costo, anche a quello dello stato di diritto) pur
senza testimonianze di terzi o riscontri oggettivi, e fidandosi
soltanto del suo racconto "credibile" (qualcuno ha forse
confermato o provato il presunto sguardo molesto costato 10 giorni di
carcere ad un povero malcapitato viaggiatore?).
Ciò che davvero è
molesto (così come pure ciò che davvero è violento) erano puniti
anche prima. Qui si sta solo allargando la definizione ad esclusivo
capriccio delle presunte future vittime. Peccato il contrario non
valga per gli uomini.
Se toccare un culo costa anni di carcere e
esclamare un compimento qualche mese, allora il fare le stronze, come
ormai costume in ogni luogo e tempo, dalla strada alla discoteca,
dalla scuola all'età adulta, suscitando ad arte il disio per poi
compiacersi della sua negazione,
infliggendo, per vanitò,
capriccio, interesse economico-sentimentale (autostima) o sadico
diletto, tensione emotiva, irrisione al disio, umiliazione pubblica e
privata, senso di nullità, frustrazione intima, sofferenza fisica e
mentale, inappagam,ento a volte fino all'ossessione e disagio se
ripetuto da sesusale ad esistenziale,
dovrebbe essere punito con
decenni, perchè il danno alla psiche è notevolmente maggiore.
Il
fatto che gli uomini, per obbligo culturale a mostrarsi forti e
cavalieri e per plagio psicologico femminista (che li dipinge come
carnefici anche quando sono vittime) in genere non lo ammettano non
significa non esista.
La legge sulla violenza sessuale è
invece stata sospinta dalla campagna mediatica sulla sicurezza,
dimentica dei più elementari principi del diritto.
La
carcerazione preventiva (ovvero prima del processo e dell'eventuale
condanna) non ha nulla a che vedere nè con la gravità del reato di
cui si è accusati, nè con la pena da scontare se si è condannati
ed è giustificata solo e soltanto quando, oltre ai gravi indizi di
colpevolezza, vi è evidente ed imminente pericolo o di reiterazione
del reato o di inquinamento delle prove. In ogni altro caso non è
accettabile ove viga la presunzione di innocenza. Non può affatto,
per nessun reato, essere la norma. Che poi sia stato usata a
sproposito in passato da certi magistrati per motivi politici è
tutt'altro discorso. Se ci sono stati episodi di giustizia sommaria
in passato non è un motivo di reiterarli nel presente o addirittura
di istituzionalizzarli come norma.
Prima di dire colpevoli bisogna
istruire un regolare processo e concedere tutte le garanzia del
diritto all'imputato, altrimenti si tratta di vendetta personale
istituzionalizzata o di linciaggio plebeo.
Non bisogna affatto
lasciare che la rabbia e l'irragionevolezza della plebe, delle
femmine e delle bestie si impadronisca della giustizia.
I giornali
sono bravi a sfruttare il momento in cui accadono un paio di episodi
gravi e veri per montare la psicosi, affiancando ad essi qualsiasi
notizia di eventi anche solo lontanamente correlati, mescolando
verità e menzogna, fatti accertati e fatti presunti, reale gravità
oggettiva ed esagerazione emotiva e soggettiva, ponendo in prima
pagina anche quegli episodi che di norma non finirebbero neppure nei
trafiletti di cronaca e facendo passare per certezze terribili e
acclarate anche semplici denunce, per allarme immediato e inaudito
quanto rientra in statistiche in calo.
Questo accade
periodicamente con gli stupri come con le rapine in villa, le madri
assassine, i delitti fra coniugi, gli omicidi fra amici e fidanzati.
Quando poi il periodo in cui uno di questi argomenti è in auge
finisce, anche i fatti accertati e gravi vengono poi passati sotto
silenzio.
Adesso sembra tutto uno stupro, salvo poi magari
scoprire dopo due anni (come successo a Bologna) che il "mostro"
sedicenne accusato dall'amichetta di violenza nel bagno di una
discoteca ha passato due (!) anni agli arresti domiciliari per
qualcosa di mai accaduto e frutto di un puro capriccio
erotico-sentimentale della fantasia femminile.
E allora che
accade?
Che se si vogliono per legge abolire i domiciliari per gli
accusati di stupro anche persone innocenti come quel ragazzo
passarebbero due anni addirittura in galera, sempre ammesso siano
altrettanto fortunati da trovare testimoni in grado di scagionarli
(altrimenti la millenaria stupidità cavalleresca unita alla moderna
la demagogia femminista, imponendo di credere a priori alla donna, li
condannerebbero anche senza prove).
Anche i colpevoli dei reati
più gravi devono essere tutalati dal diritto. Se si inizia a
considerare, sulla base dell'onda emotiva femimnea e dello della
vendicativa irrazionalità popolare, qualcuno indegno di tutela
giuridica, si cancella il fondamento stesso del diritto.
Togliere
i domiciliari, per legge, a tutti gli accusati di stupro, impedendo
ai giudici di valutare caso per caso la sussistenza o meno dei
requisiti per richiedere la carcerazione preventiva, equivale a
cancellare, in un crimine che riguarda le donne (e assunto a simbolo
tanto dalla cavalleria medievale quanto dal femminismo
contemporaneo), la presunzione di innocenza.
Come ben detto e
spiagato, in uno stato di diritto la carcerazione prima di regolare
processo non può essere la norma.
A maggior ragione non può
esserlo per il reato di "violenza sessuale" così come
definito dall'interpretazione femminista bovinamente accettata dalla
maggioranza idiota dei maschi e tale da mettere assieme un reato vero
e grave con tanti episodi veri o presunti, dalla gravità più o meno
seria, dalla veridicità più o meno accertabile, e spesso più
appartenenti alla sfera del pensiero, dell'intenzione o addirittura
della fantasia che non a quella della realtà effettuale, tanto da
essere definibili più correttamente come "psicoreati".
Nel
diritto romano perchè esista un delitto deve esistere un danno
oggettivo ed evidente. Ogni stato di diritto conosce questo
principio. Lo psicoreato stupro fa invece eccezione. La definizione
vaga e onnicomprensiva del reato di violenza o molestia imposta dalla
demagogia femimnista include potenzialmente qualsiasi atto, gesto,
toccata e persino sguardo non abbia in sè nulla di oggettivamente
violento o molesto ma sia "sentito" tale dalla soggettività
femminile.
Va da sè per chiunque sia capace di deduzione
logico-matematica che quando la definizione di violenza o molestia
viena affidata all'arbitrio soggettivo e irriproducibile della
presunta vittima allora i numeri della violenza possono essere tutti
gli interi da zero a infinito.
Finchè per stupro si intendeva una
violenza oggettiva ed evidente, di cui si pretendevano i segni sul
corpo come prova, allora solo i colpevoli potevano essere condannati.
Poichè invece si pretende di considerare violenza anche quanto non
essendo oggettivo (come ad esempio il giudicare se il tentare,
l'insistere e il resistere ai no di un corteggiatore siano violenza e
costrizione o adeguamento al gioco amoroso voluto socialmente e
naturalmente dalle stesse donne, il quale prevede che l'uomo tenti
sempre, senza sapere a priori se la propria azione avrà successo, e
senza poter chiedere alla controparte se l'attacco sarà gradito,
come non lo si potrebbe in guerra, e insista, non si fermi ai primi
rifiuti, insegua mentre la donna fugge e si opponga al suo rifiuto se
questa lotta come chi non vuol vincere) può lasciare non alcun segno
evidente a terzi, chiunque può essere condannato. Come si fa infatti
a dimostrare di non aver toccato minimamente una donna, se anche
toccandola non si lasciano segni? Come si fa più in generale a
dimostrare di non essere stati nè violenti nè molesti se la donna,
creduta a priori, può sia dire di aver sentito violenza o molestia
secondo i propri soggettivi parametri (i quali proprio in quanto
soggettivi non possono essere smentiti) o addirittura inventarsi
tutto?
Di fatto si può essere incarcerati per anni senza che sia
mai esistito alcun reato, esattmente come se si potesse finire
all'ergastolo per un omicidio non solo mai commesso, ma neppure mai
avvenuto. E' questa la mostruosità del femminismo culturale di cui
gli uomini infinocchiati non si accorgono.
Ciò è evidente da
episodi come quello di Parlanti, letteralmente rapito in un
aereoporto tedesco grazie ad un mandato internazionale spiccato da
uno sceriffo texano che ha voluto credere a dichiarazioni incredibili
(fuori dal buon senso e dalla fisica) della ex-moglie (non nuova al
denunciare i compagni per estorcere denaro a loro o per rubarlo allo
stato come "vittima di violenza domestica") e poi
condannato ad una pena da omicida solo perchè uomo e perchè
italiano e ridotto a marcire in carcere per quanto non solo non ha
compiuto, ma non sarebbe mai stato possibile ad alcun uomo
fisicamente esistente compiere.
Via via vi sono poi esempi come
quelli di chi viene denunciato per violenza e rapina da prostitute
clandestine che non si presentano neanche al processo, come quelli di
chi finisce in carcere per stupro di gruppo dopo aver litigato fino
alle bottigliate (reciproche) con la ragazza la quale mettendosi poi
a urlare e a piangere in strada rende automaticamente stupratori
tutti i maschi presenti e amici del suo fidanzato, come quelli di chi
solo perchè immigrato viene denunciato da una ragazzina in vena di
sfoggiare preminenza sociale e attirare attenzioni morbose su di sè
(e liberato solo perchè per caso le telecamere della stazione hanno
mostrato la falsità), fino a quel viaggiatore condannato a una
settimana di prigione per aver osato guardare (senza che nessun
testimone abbia peraltro confermato ciò) la passeggera sua
vicina.
E' il cedimento dello stato di diritto a permettere alla
donna di accusare falsamente per capriccio, vendetta arbitraria,
ricatto, estorsione di denaro e privilegio o gratuito sfoggio di
preminenza sociale nell'esser creduta a priori mentre l'altra parte è
tenuta a tacere o ritenuta degna del riso, dei disprezzo e della
condanna a priori;
definire a capriccio il limite fra lecito e
illecito fino a rendere penalmente rilevante qualsiasi atto, detto,
gesto, toccata o sguardo non sia oggettivamente nè violento nè
molesto ma abbia la sola "colpa" di esprimere disio
naturale per la donna o tentativo di carpirne i favori e non essere
poi a posteriori da questa apprezzato (dopo che però è stato
implicitamente indotto e socialmente preteso) permettersi
letteralmente di tutto davanti all'uomo (CITA) senza temere le
conseguenza poichè protetta dal proprio status di "dama
intangibile".
O si ripristina lo stato di diritto anche nei
casi di violenza sessuale (come c'è per l'omicidio, l'infanticidio,
la strage, il terrorismo, eccetera), oppure si dica apertamente che
si vuole considerare la donna gemma rara e preziosa da venerare e
proteggere ad ogni costo, anche a quello di distruggere lo stato di
diritto e a cui credere a priori senza bisogno di prove o riscontri
oggettivi per condannare chi viene da lei accusato, lo si ammetta che
si vuole imporre la donna quale unica fonte di verità e sensibilità
umane mentre l'altra campana viene tenuta a tacere o reputata degna
alternativamente del riso o del disprezzo aprioristici.
In tal
caso chi ama il diritto se ne andrò nel vituperato mondo arabo, il
quale presenterà certo parecchi difetti e ingiustizie, ma almeno su
certi temi ama avere certezze prima di lapidare.
Stiamo
lentamente scivolando verso gli usa, dove (in maniera eticamente e
socialmente incoerente) non si riconoscono fra i diritti dell'uomo
l'oggettività del diritto, la presunzione di innocenza e la
gradazione della colpa per tutto quanto, afferendo alla sfera
sessuale, suscita l'irrazionalismo pruriginoso e totalitario di
stupidità puritana e demagogia femminista, dove viene punito come
violenza e molestia tutto quanto oggettivamente non ha nulla nè di
violento nè di molesto, ma viene definito tale (a posteriori) dalla
soggettiva sensibilità della donna, senza riscontri oggettivi in
definizioni chiare a tutti a priori nè tantomeno prove concrete (le
quali non potrebbero ovviamente sussistere nel caso di atti
normalmente non reati divenuti perseguibili solo in conseguenza di
quanto la presunta vittima dice essere accaduto nella sua psiche),
dove il prof deve fare ricevimento con la porta aperta per paura di
denunce e spennamenti legali, dove gli avvocati consigliano di non
entrare in ascensore soli con donne, dove persino chi
inavvertitamente sfiora una passeggere nella ressa dell'aereoporto
viene accusato di molestie vuol dire che non esiste oggettività del
diritto (e anche chiunque non faccia nulla di male deve
temere).
PARLANO DI UGUAGLIANZA
Parlano di
uguaglianza, ma nel mondo moderno occidentale le donne sono sempre
più uguali degli uomini.
Ogni distinzione basata sul sesso
avviene in loro favore, dalla sopravvalutazione estetico-filosofica
della figura femminile dei costumi (che nei luoghi di svago fa pagare
meno le donne in quanto ritenute più rare, più preziose, più
portatrici di divertimento e cultura, uniche degne rappresentanti
della bellezza, della raffinatezza, dell'intelligenza e di ogni altra
dote nobilmente umana), alle discriminazione delle pari opportunità
delle leggi che riservano posti, privilegi e fondi perduti alle donne
in quanto donne, distruggendo ogni concetto di colpe e meriti
individuali, confondendo causa con effetto e soprattutto dimenticando
come quanto la demagogia femminista propaganda per "ingiustizia",
"oppressione" o "discriminazione", tutte le cifre
e le statistiche citate (lavori part-time, media retribuzioni,
quantità di donne laureate che non lavorano, scarsità di donne in
certi lavori e in certe posizioni ecc.) non siano la conseguenza di
una discriminazione, ma, AL CONTRARIO, l'effetto macroscopico di un
PRIVILEGIO, o, meglio, dello sforzo disperato e vitale dell'uomo di
compensare con la fatica, il lavoro, l'eccellenza economica ed il
livello sociale quel privilegio posseduto dalle donne per natura,
evidente sia (soprattutto nel ruolo di amante) in desiderabilità e
potere grazie alle disparità di numeri e desideri volute dalla
natura a lei favorevoli, sia (in ogni rapporto non solo e non tanto
sessuale) in influenza sul mondo tramite quell'influsso naturale su
quanto in ogni uomo vi è di più profondo e irrazionale (derivante
dalla sua predisposizione naturale all'esser madre e dunque al
plasmare un'anima come si fa coi fanciulli pur mo' nati, all'intuire
in anticipo i desideri e i bisogni, a parlare senza parole e a
intendere senza mostrarlo, a vedere quanto alla coscienza altrui è
ancora oscuro, a leggere dentro senza esser letta) e in virtù del
quale in ogni rapporto non banale l'influenza della donna sull'uomo è
molto maggiore di quella inversa.
La propaganda femminsta dà
concetto e una misura di emancipazione basati unicamente su
valutazioni numeriche o ideologiche riguardo il lavoro. Ciò coglie
solo la superficie del problema e non tocca le motivazioni profonde
dell'essere umano. Il lavoro infatti è un mezzo, non già un fine
supremo dell'essere umano, né una sua escatologica realizzazione
(come pare nell'idealizzazione capitalista del guadagno). Il vero
fine dell'essere umano non è arrivare in una determinata posizione
socio-economica in sé o svolgere un determinato lavoro in quanto
tale. Non è così che la vita in sé si compie e i desideri si
appagano. Il fine supremo, anzi profondo, dell'uomo (e della donna) è
essere riconosciuto, apprezzato, desiderato. Raggiungere una certa
posizione socioeconomica, svolgere un certo lavoro, piuttosto che non
sposarsi, essere belle, sfilare ecc. sono soltanto i mezzi con cui si
può essere riconosciuti, apprezzati e desiderati nel mondo
odierno.
Per privilegio di natura prima ancora che di cultura, la
donna ha la possibilità di essere dal mondo apprezzata, ammirata,
disiata al primo sguardo in sé e per sé, per la sua grazia, la sua
leggiadria, la sua essenza mondana (quando manca la bellezza, vi
supplisce l'illusione del desiderio), senza bisogno di compiere
imprese (cui sono invece costretti i cavalieri i quali senza esse
restano purno nulla) o di mostrare necessariamente altre doti, poiché
l'uomo la desidera primieramente per la bellezza.
Al contrario,
poiché la donna vuole selezionare fra i tanti che la desiderano
colui che "eccelle", l'uomo è costretto a mostrare un
certo valore, a faticare, a competere, a raggiungere una certa
posizione socio-economica o anche culturale e di prestigio, giacché
il concetto di "eccellenza", trasposto nel mondo umano, non
ha valenza soltanto estetica, ma si ammante di una sfaccettata serie
di significati ed implica conseguentemente per l'uomo un'altrettanto
variegata serie di "imprese da compiere".
Se non vi
riesce, rimane un puro nulla e non solo non ha alcuna speranza
d'esser degnato d'uno sguardo dalle donne, ma risulta completamente
trasparente per tutta la società (giacché non può esercitare nel
mondo quell'influenza indiretta sugli uomini e sulle cose per tramite
di quanto in essi è di più profondo e irrazionale, quell'influsso
sui pensieri e sulle azioni che per disparità di desideri ed
inclinazioni sentimentali è proprio della donna).
Per la donna la
carriera è una scelta, per un uomo un obbligo. Altrimenti è
infelice, non può godere di ciò di cui ha bisogno per natura e non
ha né accettazione né stima del sesso opposto.
CITA non ho visto
ma non trovo
Di ciò non si può non tenere conto parlando di
"parità", sempre che si abbia come fine una parità
effettuale o, meglio, una uguale possibilità di ogni individuo di
cercare la via per essere felice, o meno infelice possibile, secondo
i propri personalissimi ed ingiudicabili parametri. In caso contrario
significa o che si è troppo stupidi per capire la sostanza del
problema oltrepassando l'apparenza o troppo perfide e false per
ammettere di avere un vantaggio (molto più influente della superiore
forza fisica maschile) il quale DEVE essere compensato da una società
che voglia essere non dico giusta, ma almeno FUNZIONANTE (solo quanto
è bilanciato, come lo è stato il mondo della tradizione, può
funzionare a lungo). La terza via significa semplicemente ritenere
accettabile la crudeltà della natura solo perché in questo caso va
(o sembra andare) a vantaggio della donna, sottendere che l'uomo
debba sempre essere tiranneggiato o reso profondamente degno del riso
da questa e definire arbitrariamente la disparità naturale come
"giustizia naturale" (ragionamento tipico delle
ecofemministe: e sarebbe interessante la loro reazione a chi
sostenesse giusto per l'uomo approfittare della brutalità fisica e
delle forze naturali di coesione , ossia del branco, per schiavizzare
le donne, perché è il discorso simmetrico a questo quello sostenuto
da certe ecofemministe e da certe donne).
E' ipocrita poi un mondo
che chiama svantaggio il privilegio e chiama discriminazione una
scelta (dettata da diversi desideri di natura).
Se vige la morale
pseudo-cavalleresca, per cui sia per cultura sia per legge è sancito
che l'uomo debba mantenere la donna (se questa non ha voglia di
lavorare o di cercare un lavoro in grado di farle guadagnare quanto
desidera), se anche per un semplice rapporto "free" l'uomo
deve dare infinite cose in pensieri, parole, opere, fatiche, dignità
(quando deve recitare da cavalier servente) e soprattutto doni e
regali e inviti a cena, se una donna può ottenere (economicamente e
sentimentalmente, oppure in moneta di vanagloria e autostima) tutto
senza dare nulla più che un sorriso, se viene accettata, disiata o
comunque socialmente apprezzata in ogni dove di per sè, in quanto
"soave fanciulla", per la sua grazia, la sua leggiadria ed
ogni altra dote attribuitale per natura e cultura (addirittura anche
quando, come accade spesso, manca la vera bellezza) perché mai una
donna dovrebbe faticare per arrivare a guadagnare tassativamente una
certa cifra (come ha l'obbligo l'uomo per non essere un nulla) o
raggiungere una certa posizione di prestigio socio-economico (quella
indispensabile invece all'uomo per essere ammirato e potersi
circondare delle donne che desidera) dato che già per natura piovono
su di lei privilegi principeschi (in relazione all'uomo),
complimenti, desiderabilità e ammirazione, o comunque accettazione,
sociale e per natura le viene dato tutto?
Sarebbe molto stupida se
non ne approfittasse, facendosi per quanto possibile mantenere o, se
ama il lavoro, scegliendo una professione per puro gusto e non per
soldi (ed è per questo e solo per questo che le donne svolgono
mestieri meno remunerati ma non per questo meno appaganti in sé).
Se
deve sempre essere l'uomo a "spendere" (sia materialmente,
sia idealmente) per la sola speranza di conquista, deve esistere per
lui ALMENO LA POSSIBILITA' di guadagnare di più, altrimenti dove
trarrebbe le risorse per la "rincorsa"? O per voi è
naturale che l'uomo viva perennemente infelice e inappagato?
La
donna, per privilegio sia di natura sia di galanteria, ha la
possibilità, nella sfera dell'AUTOSTIMA (erotica ed affettiva), di
essere ammirata, disiata ed apprezzata al primo sguardo e, in quella
del POTERE (personale e sociale) di influenzare l'agire e il pensare
degli uomini (e quindi la storia), SENZA BISOGNO di faticare,
compiere "imprese" o mostrare eccellenza in doti
particolari (come i cavalieri che se non le dimostrano non sono né
disiati né ammirati) o di raggiungere una posizione di preminenza
sociale ed economica (come invece gli uomini che senza di essa non
contano nulla).
E tutto questo vale per natura, poiché è il
maschio ad essere indotto dalla natura ad onta di perigli e fatiche a
seguire la femmina nel più fitto dei boschi e chissà dove, non
viceversa.
Tale disparità DEVE essere compensata in un modo o
nell'altro dall'ordine sociale. Il denaro è un mezzo (o il mezzo
attuale).
Se le persone sono lasciate libere tale "riequilibrio"
avviene senza discriminazioni, non per effetto di divieti o svantaggi
alle donne, ma per conseguenza di libere scelte diverse dettate da
bisogni diversi, inclinazioni diverse e doti naturali differenti. E'
se si pretende di eliminare a posteriori tale riequilibrio che si
compie azione ingiuste e discriminatoria in quanto un'uguaglianza
imposta penalizzerebbe gli uomini DATO CHE il non avere il femminista
50 e 50 non deriva da discriminazione contro le donne ma dal fatto
che esse (per privilegio naturale e culturale) hanno meno bisogno di
certe posizioni e di certe carriere (per essere felici o anche solo
socialmente accettate e amorosamente disiate) e quindi non vi
spendono tanto tempo ed energia come sono invece obbligati a fare gli
uomini: conseguentemente correggere a posteriori per avere il
politicamente corretto 50 e 50 sarebbe come, per il puro gusto di
"pareggiare", rallentare a metà di una competizione chi ha
corso e faticato di più perché aveva più necessità di arrivare
prima.
Se davvero si realizzassero i propositi del ministero delle
pari opportunità la situazione sarebbe totalmente a svantaggio
dell'uomo, e non certo pari o giusta.
Le leggi su aborto,
divorzio e violenza sessuale, poi vengono sistematicamente applicate
a senso unico.
- Per la legge sull'aborto una donna ha non solo la
possibilità di disconoscere ed abbandonare un neonato senza alcuna
conseguenza legale, ma anche il diritto di decidere ad arbitrio
(strano per un mondo dominato dal culto dell'individui
autodeterminati uguali per nascita e dalla religione dei diritti
umani e dei diritti dei più deboli) sulla vita e la morte del
nascituro, mentre l'uomo ha il dovere sia di riconoscere e mantenere
figli che non voleva (a volte neanche suoi), sia di accettare che un
figlio voluto sia soppresso dalla compagna.
- Per la legge sul
divorzio, la donna ottiene sistematicamente la casa, i figli, metà o
più delle sostanze del marito e soprattutto il diritto a scegliere
se lavorare se ne ha voglia, se lo ritiene vantaggioso, se trova un
impiego che la appaghi materialment e moralmente o farsi mantenere a
vita dall'ex-marito in caso contrario (e anche qualora questo non ne
abbia più la possibilità economica, come dimostrano i separati
costretti a dormire in macchina, a fare gli straordinari o a divenire
barboni, folli o omicidi nel tentativo di sostenere "alimenti"
impossibili), mentre l'uomo ha il dovere di accettare il rischio di
fare la fine di un esule ottocentesco (privato di casa, famiglia,
roba, affetti e di ogni possibile speranza futura di felicità), di
continuare a mantenere chi non sta più con lui (e magari si è messa
con un altro con cui potrebbe benissimo vivere senza aiuti dall'ex)
quando non di finire in galera per stupro coniugale, violenza
domestica o stalking a causa di accuse false, infondate, distorte o
esagerate ad arte e comunque usate a fini meramente strumentali per
metterlo in condizioni di debolezza contrattuale nella causa di
divorzio. Che una donna debba mantenere un uomo non accade
mai, poichè, anche senza le disuguaglianze legali de facto, esistono
quelle naturali di numeri e desideri, in conseguenza delle quali per
le donne la posizione socioeconomica di un uomo è un criterio di
scelta imprescindibile almeno quanto per gli uomini lo è la bellezza
corporale nella scelta della consorte. Che un uomo possa accusare
degli stessi reati una donna è parimenti raro per le disparità di
fiducia a priori di cui per via di due millenni di cristianesimo e di
stupidità cavalleresca e due decenni di demagogia femminista i due
sessi godono presso polizia, società e tribunali.
- Per la legge
sulla violenza sessuale la parola di una donna (se credibile), vale
di fatto come prova (tanto che si finisce in galera immediatamente in
attesa di indagini più accurate, come accaduto al ragazzo di bologna
prosciolto dopo due anni di domiciliari quando finalmente le indagini
difensive trovarono testimoni in favore, del processo, come accaduto
a diversi ragazzi accusati di violenza su discotecare varie, o
addirittura dell'appello, come accaduto a dua cagliaritani accusati
di stupro di gruppo pur in assenza di ogni prova della violenza
sessuale sul corpo della ragazza), mentre quella di un uomo, per
valere, ha bisogno di schiaccianti evidenze in favore (i due romeni
della cafferella sono restati in carcere persino dopo che il dna li
aveva scagionati, per "il quadro inquisitorio comunque pesante",
il che vuol dire "per l'accusa della vittima"). Addirittura
negli usa (verso cui però anche l'europa si sta muovendo) anche solo
chiedere all'accusatrice di fornire descrizioni dettagliate e
dimostrabili dei fatti, riscontri oggettivi della presunta violenza,
prove certe, oggettivamente valutabili e razionalmente quantificabili
dell'effettiva gravità e realtà del danno ricevuto (il quale solo
giustifica, in uno stato di diritto, una grave condanna) è
considerato "seconda violenza" (esattamente come nel
processo inquisitorio secondo la caricatura anticlericale, nel quale
il mettere in dubbio l'accusa, tanto da parte dell'imputato quanto da
parte del suo difensore, costituiva di per sè prova di colpevolezza
o comunque aggravante del reato ipotizzato), quando al contrario è
soltanto mettendo in dubbio entrambe le versioni e cercando senza
pregiudizi riscontri nei fatti all'una o all'altra è possibile
stabilire la verità. Mike Tyson non ha potuto far valere il fatto
che l'accusatrice aveva falsamente accusato un altro. Kobe Briant rian ha
dovuto dimostrare la consensualità del rapporto (quando di norma
dovrebbe essere l'accusa a dover provare la non-consensualità, non
essendo il rapporto reato in sè ma solo se dovuto a minaccia o
costrizione), Parlanti è in carcere senza prove. Ecco, questa è
la "presunzione di innocenza" americana. chiunque può
andare in galera a tempo determinato per la sola parola di una donna
senza riscontri oggettivi.
E l'uguaglianza è questa: qualsiasi
accusa anche solo minimamente afferente al sesso diviene
nell'inconscio collettivo di giudici, poliziotti e media identificata
con la colpa più grave immaginabile, anche quando nulla ha a che
fare con quanto ogni mondo civile ha in ogni tempo definito e punito
come stupro. Ecco che così non esiste più non solo una
presunzione di innocenza, ma nemmeno, per i colpevoli, una pena
proporzionata all'effettiva ed oggettiva gravità della
colpa.
qualsiasi minimo o presunto ferimento alla soggettiva
sensibilità femminile nella sfera sessuale è considerato crimine
massimo da punire nella miniera più ampia, dolorosa e umiliante
possibile (e senza possibilità di normale difesa), mentre ferimenti
anche più gravi alla diversa e non già inesistente sensibilità
maschile vengono passati come trascurabile banalità, divertente
normalità o addirittura diritto della donna.
Toccare un sedere
costa anni di carcere, mentre "toccare" in maniera molto
più dolorosa, frustrante, e provocante ferimento emotivo, irrisione
profonda, umiliazione pubblica e privata, sofferenza fisica e
mentale, disagio da sessuale ad esistenziale il corpo o la psiche
maschili (facendo ad esempi ripetutamente le stronze nella maniera
che ho definito mille volte e che tutti, interessate comprese, sanno
per vera) è addirittura divenuto stile pubblciitario o
hollywoodiano.
Cercare disperatamente di ristabilire un contatto
con chi, nonostante tutto, è ancora la madre dei suoi figli, può
costare al marito una condanna decennale, mentre ridurre la sua vita
quella di un esule ottocentesco privato di casa, famiglia, roba, beni
materiali e morali, figli, interesse per la vita e residue speranze
di felicità non costa nulla alla ex-moglie (anzi fa guadagnare
molto).
Cercare di ottenere un rapporto sessuale in una maniera
per la quale la demagogia femminista ha anche solo un minimo dubbio
di consensualità (uso di alcool, corteggiamento insistente, promesse
di favori lavorativi, atteggiamento da conquistatore ecc.) è
considerato tanto grave da giustificare almeno dieci anni di carcere
(anche quando i presunti danni alla presunta vittima, quando
esistono, spariscono dopo la prima tinozza d'acqua bollente o vengono
dimenticati dopo un congruo risarcimento) e provocare
intenzionalmente ad un uomo danni ben più gravi e ben più certi
(violenze fisiche e mentali nella sfera sessuale, come ballbusting
pretestuoso o la stronzaggine del suscitare ad arte il disio e poi
compiacersi della sua negazione e di come essa, resa massimamente
dolorosa, umiliante e beffarda possibile da una studiata perfidia e
da una premeditata e sperimentata tecnica, possa far patire all'uomo
le pene fisiche e mentali dell'inferno della privazione dopo le
promesse del paradiso della concessione, farlo sentire una nullità,
ferirlo emotivamente, renderlo ridicolo davani a sè e agli altri,
umiliarlo in pubblico e in privato, provocargli irrisione al disio,
sofferenza fisica e mentale, inappagamento fino all'ossessione e
disagio da sessuale ad esistenziale, o addirittura, e i casi famosi
non sono mancati, mutilazioni, devastazioni del corpo o della psiche
tali da impedire di vivere ancora felicemente il sesso, come
comunemente avviene ogni sera alle vittime delle tante stronzette da
discoteca, spoliazioni di ogni ricchezza materiale e sentimentale,
legalizzata come divorzio e mantenimento, confisca dei beni e
privazione dei figli con qualche denuncia enfatizzata ad arte,
distruzione con metodi femminili della famiglia e di ogni affetto
privato e di ogni rispettabilità sociale, addirittura
omicidi) vengono trattati come follie momentanee da curare con
qualche mese di clinica.
E anche in europa si sta introducendo
questa porcheria per la quale (alla faccia dell'uguaglianza) un uomo
può finire in galera solo sulla parola dell'accusatrice senza
riscontri oggettivi (mentre ovviamente non vale il contrario, e non
solo perchè la disparità di desideri è tale che sono sempre e solo
gli uomini a doversi far avanti e quindi a rischiare accuse di
violenza, ma anche perchè, quando la violenza è femminile, come nel
caso di accuse false di stupro che producono nella vittima,
sottoposta da innocente a carcere, gogna mediatica, distruzione
affettiva del mondo e pericoli di violenze fisiche e psicologiche di
ogni genere quali ritorsioni, un trauma comparabile a quello di una
vera vittima di stupro). E nessuno se ne lamenta.
Basta dunque
essere ritenuti credibili e saper raccontare storie credibili per far
finire in galera qualsiasi uomo senza prove?
Ma non è pazzesco e
indegno pure del medio-evo? Come si può tollerare una cosa del
genere in uno stato di diritto? Come si può concedere a tutte le
donne su tutti gli uomini un potere di distruzione arbitraria della
vita quale avevano i re, i principi e le polizie segrete nei momenti
più bui della storia? Nessuno che osi dubitare (come ogni ricerca
della verità pretende) sulla veridicità a priori delle accuse? Vi
sono mille motivi per accusare falsamente: capriccio, vendetta
arbitraria, ricatto, interesse economico-legale o gratuito sfoggio di
preminenza nell'esser credute a priori e considerate unica fonte di
verità e sensibilità umana mentre l'altra campana è tenuta a
tacere o reputata degna del riso o del disprezzo. E anche se non
ve ne fossero, deve sempre spettare all'accusa provare la sussistenza
di un reato, non alla difesa dimostrarne la non esistenza (del resto,
come insegna l'epistemologia di Popper, di quanto esiste è sempre
possibile in linea di massima provare l'esistenza, mentre di quanto
non esiste non sempre è possibile provare la non-esistenza). Non è
necessario pensar male delle donne in particolare. Anche le persone
più irreprensibili possono, in ogni ambito della vita, voler
accusare falsamente qualcuno di un certo reato per i più reconditi e
inspiegabili motivi, specie se rischiano poco o nulla (rispetto
all'accusato) e sanno di essere credute gettando una presunzione di
colpa sull'accusato. Più si toglie la presunzione di innocenza, più
si incoraggia fra le persone la tentazione e il costume di togliere
di mezzo gli "indesiderati" tramite la delazione (come nei
regimi totalitari). Per questo in tutti gli altri reati, prima di
chiedersi perchè l'accusa dovrebbe mentire, ci si chiede se esistono
prove del fatto denunciato. Non si può basare un'azione penale
soltanto sulla parola di chi accusa, per quanto credibile possa
apparire nel presente o essere stata in passato.
Perchè poi la
credibilità della parola di una donna vale e quella di chi si deve
difendere da lei no, anche se magari in passato è stato sempre
credibile come e più di lei? Allora vi è disparità giuridica! Le
"dame" sono trattate da aristocratiche con il diritto di
definire i confini fra lecito e illecito e far valere la propria
parola come prova anche di quanto non avvenuto. In uno stato di
diritto non solo la parola di tutti deve avere uguale valore, ma è
preferibile un colpevole fuori che un innocente dentro, quindi in
dubio pro reo.