venerdì 4 novembre 2016

Risposta a Valeria Fedeli e al Partito Democratico

“Siete patetici, finti democratici! Ma io vi dico solo una cosa: contro di voi, nessuna resa!”

Da giorni circola in rete un demagogico testo della vice-presidente del senato, pubblicato dal Corriere della Sera e rilanciato dagli incorreggibili democretini al quale può ben rispondere il capitolo di un mio libro che qui ripropongo, aggiungendo solo un paio di dediche.

Cara Valeria, la scelta che dovreste operare voi femmine occidentali non è tanto quella fra famiglia e carriera (basta uno stato organizzato un pelino meglio dell’Italia, e con un po’ meno di mitologia stakanovista in salsa america – quella per intenderci, che pretende tutti gli individui a tempo pieno dediti anima e corpo ai profitti del turbocapitalismo e al 24/7 della digital economy, per permettervi di conciliare le due cose), bensì quella, più generale e profonda, fra antichi privilegi (a cominciare dalla cavalleria, emblema della stupidità cristiano-germanica di cui tutto il mondo ride come ne avrebbero riso i greci, per finire con il corteggiamento, vera e propria servitù medievale inopinatamente imposta su tutti gli uomini costretti, solo in quanto tali ed in cambio della sola speranza, a dare il meglio di sé – o quanto suppongono possa apparire tale - a “fare qualcosa”, quando non ad offrire e soffrire di tutto, davanti a chi, posta a priori sul piedistallo del disio solo in quanto donna, anche quando di bellezza non alta ma di comportamento altezzoso, si trova come minimo in una condizione di preminenza psicologica, passando per il potere abnorme concesso alle madri nell’educazione dei figli e nelle cause matrimoniali) e moderni diritti.

Cari democratici, a voi che credete le donne (e, con esse, la vostra visione femmineo-ginecocratica, pseudo-democratica, pseudo-egalitaria, pseudo-pacifistica, pseudo-umanitaria, pseudo universale e pseudo-intellettuale) essere invincibili, ricordo le parola di Stalin quando, assediato dalla (allora ancora invitta) Wermacht (apparentemente inarrestabile), fece partire la riscossa morale e militare dell’Armata Rossa con la semplice constatazione che “non esistono armate invincibili”. Attenti, che anche voi rischiate di essere sconfitti per eccesso di presunzione (altro che quello di maschilismo di cui accusate noi “reazionari”!)



a) Il modello "tradizionale" era davvero "da cambiare"?

Chiariamo subito un punto. Il modello "passato" può essere considerato "sfavorevole" alle donne solo considerandolo (con un evidente anacronismo) sotto la lente dei criteri di valore del mondo successivo alla rivoluzione francese (che fa coincidere la giustizia con l'uguaglianza, la realizzazione di sè con il lavoro e la felicità con il ruolo economico). Il mondo della tradizione aveva diversi valori e su quelli vanno misurate le vite di chi ha vissuto in quei tempi (altrimenti è assurdo come giudicare il mondo di oggi con i criteri di allore: saremmo tutti "empi", "infelici", "snaturati").
Stia poi attenta a deridere i "nonni". Oltre ad essere in genere persone molto più rispettabili, valenti e coraggiose di noi, erano almeno in grado, pur con tutti i difetti del mondo, di ordinare dal caos della vita una società coesa. Noi, con tutti i nostri "superamenti", le nostre "rivoluzioni", il nostro "progressismo", non solo abbiamo dato vita ad una società dissoluta (sia detto in senso extramorale: "priva di legami, ordine, forma", balia dei capricci individuali quando non delle dittature di sistemi economico-sociali acefali), ma stiamo gettando quella che un tempo (almeno fino all'inizio delle varie rivoluzioni) era la culla della Civiltà, la dominatrice del mondo, la generatrice di Eneidi, in una incontastabile quanto inarrestabile decadenza politica, militare, economica, culturale, morale, religiosa e soprattutto demografica, destinata a concludersi con la sparizione degli stessi popoli che l'hanno scambiata per progresso, con la morte di quelle identità di sangue e spirito che hanno caratterizzato l'Europa nei momenti più alti della sua civiltà. Pensiamoci prima di dare per scontati i concetti di bene e male moderni, secondo i quali "prima era peggio". Forse varrebbe la pena considerare l'ipotesi che sia la valutazione morale moderna ad essere invertita. Che qualcosa risulti "buono" nel sistema di riferimento valoriale da cui è stato generato è abbastanza tautologico. Che, nello stesso riferimento, qualcosa risulti "cattivo" se si oppone agli interessi materiali e morali di chi del riferimento è artefice lo è altrettanto. Per uscire dalle tautologia servirebbe riferirsi a qualcosa di misurabile in tutti i sistemi, come, appunto, i dati oggettivi su taluni andamenti storici. Il discorso sarebbe comunque lungo e non opportuno in questa sede. Comunque la si pensi sul passato, nulla toglie che:
a) da un punto di vista individuale-eudemonico, le mirabili strutture dell'arte come della religione, della politica come della storia, del pensiero come nella società, ingiustamente chiamate "oppressione" dalla propaganda femminista, erano volte invece non già ad opprimere la donna (chè non può essere l'obiettivo dei savi), ma a impedire di essere eventualmente troppo da lei oppressi (tramite lo sfruttamento, senza limiti remore nè regole, delle disparità naturali nell'amore sessuale e di quelle psicologiche correlate alla predisposizione all'esser madri - e ben spiegate da Rousseau, verso cui il mondo moderno, con il suo falso e iniquo concetto di uguaglianza, non permette all'uomo di costruire ed opporre più alcuna compensazione o freno) e a dare anche all'uomo le stesse possibilità di scelta e la stessa forza contrattuale in quanto davvero rilevante innanzi alla natura, alla discendenza ed alla felicità individuale;
b) da un punto di vista comunitario-anagogico, la concezione virile permette di porre la fonte di ogni valore (e quindi di ogni diritto)
non in quanto accumuna gli uomini nel bassamente umano dell'esser nati da una madre, del contentarsi di piacere e innocenza, del ricercare un tranquillo e pacifico benessere materiale e morale da bestiame bovino, ma in ciò che li distingue fra loro e li eleva al più che umano del considerare come vera vita quella nascente dalla formazione virile alla lotta, alla vittoria, al compimento di imprese di coraggio e splendore più che umani e tali da fondare città e civiltà, del volere ad ogni costo il nobile, il bello, il grande, l'eroico (nel senso che possiamo ancora oggi comprendere leggendo l'Iliade, l'Eneide, la Baghavad Gita, l'Edda, il Beowulf), del ricercare quanto proprio per l'essere più difficile, duro, periglioso, selettivo, mortale, necessitante di abnegazione, doti, impegno, freddezza, abilità e coraggio, ha più valore, e quindi è il principale modo culturale per "orientare verso l'alto" una civiltà.

Chiarito questo, è evidente come non solo non esista alcun motivo anagogico per cui un uomo dovrebbe sacrificare la propria felicità e la propria libertà nella vita reale (nel mondo occidentale attuale ha pari diritti solo in quella idealizzata nelle leggi, che non tengono conto nè delle diverse necessità naturali, nè dei differenti rapporti di potere o privilegio da esse nascenti, nè di come nei fatti le stesse leggi "egalitarie", vedi aborto, divorzio, e violenza sessuale, vengano usate a senso unico contro gli uomini, in spregio di ogni etica, di ogni logica, di ogni diritto, di ogni ragione e pure di ogni uguaglianza) a vantaggio delle donne e dell'ideologia (pseudo)egalitaria di stampo femminil-femminista (funzionale di fatto al turbocapitalismo attuale), ma come ne esisterebbero invece molti per sovvertire l'attuale modello (non necessariamente tornando al passato in una concezione circolare del tempo, ma magari vedendo in una parte di esso, in quella da cui sono derivati i momenti più alti della nostra civiltà, la Grecia di Omero, la Roma Repubblicana, l'India dei Veda, la Persia Iranica, la Germania Sacra e Imperiale, lo stesso Rinascimento italiano, una meta e un modello per il futuro).
Sono gli uomini e generare gli dei non viceversa (non trascendenza, ma immanente volontà di potenza nietzscheana). Finchè io lo affermo quel dio esiste almeno quanto la dea che affermi tu. E non provare a farmi rinunciare a combattere nell'agone della vita con la scusa che il mio dio sarebbe male e il tuo bene. Bene e male sono i pregiudizi di dio (o della dea). E quindi siamo in un ragionamento circolare in cui è bene ciò che va a vantaggio del proprio dio. Ed io non ho intenzione a rinunciare ai miei interessi e alla mia natura per rispetto a una forma mitologico-matriarcale di "emancipazione".
Tutte le mie forze fisiche e mentali e se necessario il mio sangue sono volte a sostenere la mia verità, il mio senso del sacro, la mia espressione vitale. Io non posso convincere te e tu non puoi convincere me. Tutto è relativo. Solo che il mito patriarcale ha ordinato il chaos in kosmos, ha fondato città e civiltà, ha fatto passare l'umanità dalla preistoria alla storia, mentre quello matriarcale ci ha tenuti prigionieri della specie, del tutto indifferenziato delle società senza classi (e quindi senza forma, senza possibilità di far sorgere valori, significati e bellezze di là dall'individuo effimero), della preistoria, o comunque di quanto è stato storicamente recessivo (innanzi ai grandi popoli indoeuropei mossi da valori virili e aristocratici) ed è stato (ed è) proprio di ogni era di decadenza.


b) Sono davvero cambiate le donne o piuttosto i metri di giudizio? E come potrebbero i maschi di oggi cambiare in uomini?

Sarebbe un vero miracolo della natura se dei maschi, nati in un'epoca di decadenza, educati a scuola pressochè esclusivamente da donne e secondo valori femminili, con un più o meno velato disprezzo per quelli maschili (presentati come "primitivi", "violenti", "oppressivi", "incivili", nonostante il nobile esempio dei fondatori delle civiltà indoeuropee), e bombardati a casa (nel periodi più delicato per la loro psiche, la loro autostima, la loro stessa identità) da una "moda" cinematografica, adolescenziale e culturale femminile avente come costume raffigurare "divertente" la violenza fisica e psicologica sugli uomini e doverosa la loro umiliazione nel profondo ed irrisione nel disio (dopo aver mostrato ogni figura maschile o come bruto e violento da punire in ogni modo o come un freddo specchio su cui provare l'avvenenza, un pezzo di legno innanzi a cui permettersi di tutto (qualsiasi provocazione più o meno sessuata, qualsiasi inflizione di tensione emotiva, irrisione al disio, umiliazione sessuale, riduzione al nulla davanti a sè o agli altri, dolore nel corpo e nella psiche, inappagamento fisico e mentale se reiterato fino all'ossessione e all'impossibilità di sorridere alla vita e al sesso, disagio da sessuale ad esistenziale con conseguenze variabili dall'anoressia sessuale al suicidio), un vuoto pupazzo da sollevare nell'illusione solo per farlo cadere nella delusione con il massimo possibile di sofferenza fisica e mentale e di umiliazione pubblica e privata!) crescessero sicuri di sè, diligenti, studiosi e vincenti.
E' un miracolo della volontà, dell'eccellenza e del merito individuale di alcuni che nonostante tutto ciò, la capacità di concepire, sviluppare e rendere belle, utili e funzionanti le mirabilie della tecnologia, è a pressochè esclusivo appannaggio degli uomini (o di donne capaci, come Minerva, di pensare e sentire con rigore e chiarezza apollinei e virili, il che, per il nostro discorso, è lo stesso), e là dove si producono strumenti della tecnica e non chiacchiere della politica o della pseudocultura o del marketing vi sono ancora gli uomini a costituire l'ossatura portante, nonostante tutta la demagogia femminista inculcata fin dalla scuola (in mano alle donne quasi totalmente), nonostante tutta la propaganda antimaschile della pubblicità femminilmente orientata e della cultura ufficiale femminista, nonostante le quote rosa volute per le donne all'università e in azienda sotto varie forme (da condizioni di favore nelle iscrizioni e nei testi d'ingresso a vere e proprie regole esplicite nelle assunzioni e nei concorsi, per non dire dei mille dissimulati ma non innoffensivi privilegi galanti o femministi loro concessi da docenti uomini e da docenti donne) e nonostante la circolazione di idee sulla presunta inutilità degli uomini in un mondo tecnologico propugnata da donne sedicenti evolute le quali, magari inebriate dalle interfacce web (scritte da uomini o comunque rese possibili per la scienza informatica ideata e portata avanti da uomini) a prova di utonta (anzi, di “ustronza”) blaterano di tecnologia pur non sapendo nemmeno assemblare un pc o risolvere un'equazione differenziale (come potrebbero sopravvivere senza uomini in un mondo tecnologico è un interessante mistero). Si può anche ridere di queste contraddittorie menzogne, ma, specie se ripetute in tenera età ad individui particolarmente sensibili o comunque ancora privi (per l'età o le vicende alterne della vita) della possibilità di sentirsi valutati dal mondo, possono portare a danni psicologici di non lieve entità (ed io, se permettete, ne so qualcosa).

E poi mi viene un dubbio. Sono davvero più brave le donne o hanno semplicemente cambiato la definizione di "qualità" adattandola alla mediocrità della media delle donne anzichè all'eccellenza dei migliori fra gli uomini (ciò che davvero fa compiere salti di livello qualitativo è ancora compiuto da uomini, specie nella tecnologia)?
Detta come va detta, secondo il mio modesto parere, le femmine eccellono rispetto ai maschi o nelle facoltà materasso ove il giudizio di "bene" è totalmente arbitrario (come in ambito umanisico) e spesso capovolto rispetto alla realtà dei fatti (come nel caso di certe teorie psicologiche o psicanalitiche fatte passare per scienza) , o nelle facoltà ex-serie in cui il livello di rigore e precisione richiesto è fortemente calato con le ultime riforme (che hanno reso certi corsi di laurea un tempo selettivi simili ad un prolungamento del liceo in cui basta seguire le lezioni con costanza, svolgere il compitino, imparara la lezioncina per ben figurare, senza più bisogno come un tempo di imporsi un metodo di lavoro nuovo, di capire le cose intimamente e di saper risolvere un problema ogni volta "nuovo" da soli).
Del resto, dove basta il trac trac quotidiano le donne vanno bene dove serve uno slancio eroico verso il sapere vi sono sempre e solo uomini. Mi è parso evidente sin dal liceo, perchè fra quel sesto di maschi che detiene il senno mancante ai restanti 5/6 di imbecilli (tanto da bilanciare la quantità totale di intelletto dei due generi) vi sono i geni creatori di mirabili opere dell'arte come della tecnica, della cultura come della storia (mancanti invece fra le mediamente bravine donne).
Per valutare la qualità dello studio qua si basano sul livello medio (e allora dicono essere le donne le più brave), mentre io mi baserei su quello raggiunto dal ristretto gruppo dei migliori (e allora diciamo di essere noi i genii creatori). Come risaputo dai tempi di Schopenhauer, i 5/6 di noi sono emeriti imbecilli (fanno calare la media, oltre che sorgere i vari femminismi),  ma cosa importa, quando fra il restante sesto vi è non solo tutto il senno per riequilibrare la situazione, ma anche il genio in grado di far compiere salti di livello qualitativo all'azione a lla conoscenza umane (vedi la vera avanguardia della scienza e della tecnica)? O di far conscere sulla terra le bellezze del cielo (vedi le poesia e la musica)?
L'ineguale distribuzione delle qualità intellettive fra gli uomini (opposta a quella quasi “egalitaria” fra le donne tutte mediamente “intelligenti” ma mai geniali) è conforme ai fini della natura: per far ascendere la vita è necessario il sesso di chi si accresce, compete e si afferma e quello di chi, attirando tutti, selezione chi vince (e non già abbia pretese di partecipare alla competizione magari approfittando dei privilegi spettanti a chi di essa è premio e meta).
Del resto, persino all'atto del concepimento ogni ovulo, in quanto oggetto di fecondazione, ha rilevanza per la qualità del nascituro, mentre solo lo spermatozoo che primeggia ha valore e influenza. Ecco perchè il maschile, al contrario del femminile, non va valutato facendo la media, ma prendendo il meglio. Il contributo maschile alla vita ascendente è dati dal livello dell'eccellenza, non da quello della media. La media conta solo per le femmine che in quanto tutte potenzialmente madri hanno il compito di selezionare i migliori maschi.
Che le femmine siano più brave, quindi, è vero solo facendo la media, non certo prendendo i migliori fra i due generi, ma del resto anche ai tempi di Schopenhauer i cinque sesti degli uomini erano composti da imbecilli che avrebbero rovinato ogni media "di genere".
Quanto qualifica il genera maschile è costituito dal rimanente sesto, fra cui solo possono trovarsi i veri premi nobel (con buona pace delle femministe convinte una donna possa, senza le varie "oppressioni patriarcali e maschiliste" arrivare ove arrivano i migliori fra gli uomini, ove questi uomini sono arrivati spesso nonostante le peggiori forme di povertà ed esclusione sociale, come nel caso dei poeti maledetti o dei matematici vissuti in miseria).
Quando una donna comporrà un'Opera lirica degna della Tosca, dimostrerà un teorema fondamentale, progetterà un'autovettura da corsa funzionante o partorirà un'Eneide, allora ci ricrederemo. Ma penso che arriveremo prima noi a partorire bambini.

c) Stante la Natura Onnipossente, potremmo davvero cambiare semplicemente "per contratto sociale"?

Se vogliamo ragionare in termini profondi e reali (ovvero basati sui fatti della biologia, e non sulle costruzioni "intellettuali" di antropologia, psicologica e affini,), dobbiamo considerare la natura, nella quale, in quanto più conta per la vita (e, tramite lo schopenhaueriano "genio della specie", orienta scelte, desideri e comportamenti anche l'autocoscienza del singolo si illude di "valutare razionalmente" o di "divertirsi"), ovvero la riproduzione, al genere femminile è concesso il ruolo (da un certo punto di vista preminente o comunque privilegiato) di selezione della vita (attirare tutti per scegliere fra i tanti chi mostra eccellenza nelle doti qualificanti la specie e quindi conferenti primato e prestigio sociali, giacchè più utili al nascituro e alla stirpe) e a quello maschile quello (assai più faticoso e spesso ingrato) di massima propagazione di essa (tramite il desiderio e la competizione) e quindi rilevare come la donna, in quanto soggetto disiato, goda del privilegio di natura (e quindi ANCHE di cultura) di essere dal mondo apprezzata, ammirata, disiata al primo sguardo in sé e per sé, per la sua grazia, la sua leggiadria, la sua essenza mondana (quando manca la bellezza, vi supplisce l'illusione del desiderio), senza bisogno di compiere imprese (cui sono invece costretti i cavalieri i quali senza esse restano purno nulla) o di mostrare necessariamente altre doti, poiché l'uomo la desidera primieramente per la bellezza. Al contrario, poiché la donna vuole selezionare fra i tanti che la desiderano colui che "eccelle", l'uomo è costretto a mostrare un certo valore, a faticare, a competere, a raggiungere una certa posizione socio-economica o anche culturale e di prestigio, giacché il concetto di "eccellenza", trasposto nel mondo umano, non ha valenza soltanto estetica, ma si ammanta di una sfaccettata serie di significati ed implica conseguentemente per l'uomo un'altrettanto variegata serie di "imprese da compiere".
Se non vi riesce, rimane un puro nulla e non solo non ha alcuna speranza d'esser degnato d'uno sguardo dalle donne, ma risulta completamente trasparente per tutta la società (giacché non può esercitare nel mondo quell'influenza indiretta sugli uomini e sulle cose per tramite di quanto in essi è di più profondo e irrazionale, quell'influsso sui pensieri e sulle azioni che per disparità di desideri ed inclinazioni sentimentali è proprio della donna).
Chi non riesce a raggiungere una certa posizione di preminenza o prestigio nella società o comunque a mostrare eccellenza in  doti immediatamente evidenti a tutti ed oggettivamente apprezzate dal mondo, non potrà mai star di paro a chi gode per natura e cultura del privilegio essere mirata dal mondo, apprezzata dalle genti, accettata dalla società e disiata da tutti al primo sguardo in sé e per sé. Davanti alla bella donna resterà sempre e solo un "uomo episodico", uno specchio su cui provare l'avvenenza o un pezzo di legno innanzi a cui permettersi di tutto (qualsiasi provocazione sessuale o meno, qualsiasi tensione emotiva, qualsiasi irrisione al disio, qualsiasi umiliazione pubblica e privata, qualsiasi ferimento intimo, qualsiasi riduzione al nulla, qualsiasi inflizione di sofferenza del corpo o della psiche, di inappagamento fisico e mentale degenerante in ossessione, di disagio da sessuale ad esistenziale), un attore costretto a compiacere con recite da dongiovanni la vanagloria femminile o un giullare cui irridere nel disio, uno fra i tanti pronti a dare tutto in pensieri, parole e opere (per non dire dignità, recite, offerte materiali e morali e sopportazioni di patimenti e inappagamenti) in cambio della sola speranza, un cavalier servente pronto a tutto per un sorriso, un orante che miri dal basso verso l'alto chi in maniera imperscrutabile può decidere del suo paradiso e del suo inferno, un mendicante alla corte dei miracoli che attende di ricevere ciò di cui sente bisogno. La sua vita sarà sempre e solo un susseguirsi di tensioni psicologiche, sofferenze emotive, godimenti sperati e patimenti ottenuti, amori sospirati e inganni subiti, paradisi sognati e inferni vissuti, promesse implicite e negazioni esplicite, bellezze vagheggiate e speranze deluse, tirannie potenziali e reali, inappagamenti fisici e mentali, umiliazioni pubbliche e private, sofferenze costanti nel corpo e nella psiche, disagi d'ogni genere e sempiterne frustrazioni d'ogni disio.
E tutto questo non perchè le donne siano particolarmente "cattive" (ovvero più cattive di qualunque essere umano si trovi realmente nella condizione di poter infierire sull'altro o comunque di esercitare una forza contrattuale infinitamente superiore a quella subita), ma semplicemente perchè un uomo privo di posizione sociale, ricchezza, potere, cultura, fama, prestigio, successo non ha in un potenziale incontro (il quale, se amoroso, ha sempre qualcosa dello scontro) alcuna arma da contrapporre a quella della bellezza, alcun valore con cui bilanciare (in desiderabilità e potere) un eventuale rapporto (il quale è sempre un dare e avere), alcuna dote, al pari della bellezza oggettivamente valida e immediatamente apprezzabile, per essere mirato da tutti, disiato al primo sguardo e accettato dalla società così come le donne lo sono per le grazie corporali (con cui quindi bilanciare il rapporto di forza contrattuale).
Ne consegue che per la donna la carriera è una scelta, per un uomo un obbligo. Altrimenti è infelice, non può godere di ciò di cui ha bisogno per natura e, al di là dei casi fortuiti, della favole dell'anima gemella o delle apparenze di maniera, non ha né accettazione né stima del sesso opposto.
Solo stupidità maschilista e propaganda femminista possono chiamare condizione di debolezza e di oppressione tale umano ed equo tentativo di bilanciare in influenza sul mondo a apprezzamento sociale ed amoroso quanto dato alle donne dalla natura.
La donna parte da una posizione di forza. L'uomo deve industriarsi per bilanciarla. Come somma stupidità maschile e ingiustizia femminile, quando vi riesce il bilanciamento è fatto passare come prova della debolezza della donna (tesi maschilista) o della malvagità dell'uomo (tesi femminista), quando non vi riesce sarebbe conferma della stupidità del singolo uomo (maschilisti) o dell'intero genere maschile (femministe).
Ecco dove sta la nostra reale debolezza sociale: nel veder considerata debole la donna quando noi riusciamo, con fatica, merito o fortuna o caso, a compensarne la forza in desiderabilità e potere.
Non solum l'uomo, per bilanciare una condizioni di partenza che lo vedrebbe svantaggiato in quanto più importante davanti alla natura, alla discendenza e alla felicità individuale, deve rischiare, faticare o comunque impegnarsi e spendere fortune o meriti individuali, sed etiam il frutto stesso di tale bilanciamento (quando riesce) viene presentato come colpa, come "ulteriore prova" della sua "discriminazione contro le donne", come ulteriore conferma che "queste sono deboli/vittime e vanno protette/risarcite" (quando non riesce è propagandato semplicemente come "conferma della stupidità maschile" o trascurato perchè in esso si spenga ogni speranza di felicità residua per l'uomo, sino al suicidio o alla perdita di interesse per la vita).


d) Sic stantibus rebus, ecce in cosa davvero uomini e donne dovremmo cambiare!

Le donne (di ogni epoca) devono smettere di pretendere di mantenere, a fianco dei moderni diritti, gli antichi privilegi, primi fra tutti quelli legati al (da loro) decantato "gioco della seduzione" costituente la sublimazione di ogni tirannica vanità e di ogni vanagloriosa prepotenza della donna tramite il desio dei sensi (la quale, in esso, nega apertamente l'uomo possa porsi su un piano di parità chiedendo un corrispondente per quanto agito o subito in prospettiva del proprio bisogno ben noto alla donna, ed afferma chiaramente il di lui ruolo essere quello di un freddo specchio su cui provare l'avvenenza, di un pezzo di legno innanzi a cui permettersi di tutto - qualsiasi provocazione più o meno sessuata, qualsiasi tensione psicologica indotta, qualsiasi irrisione al disio, qualsiasi umiliazione pubblica e privata, qualsiasi inflizione di senso di nullità davanti alla bellezza, inappagamento fisico e mentale fino all'ossessione, disagio da sessuale ad esistenziale - o comunque di un attore costretto a recitare da seduttore per compiacerne la vanagloria o da giullare per farla divertire magari lasciandosi irridere al disio, e in ogni caso non andare mai più in là rispetto all'amico-ammiratore disposto a dare tutto in pensieri, parole ed opere per la sola speranza, al cavalier servente pronto a tutto per un sorriso, al mendicante alla corte dei miracoli d'amore costretto nell'attesa trepidante della sportula a guardare dal basso verso l'alto colei dal cui solo gesto dipendono il paradiso e l'inferno) perchè è evidente come la galanteria altro non sia che una maschera di servitù imposta a tutti gli uomini verso tutte le donne di cui tutto l'oriente ride come ne avrebbero riso i Greci e come il corteggiamento costituisca un residuo di corvèe medievale (in cui la parte umile deve offrire e soffrire di tutto per presentare il meglio di sè senza secondi fini, ma nella contentezza di sacrificarsi per un dovere divino, mentre la controparte signorile, dopo aver graziosamente accettato, può a capriccio concedere tutto il bene o tutto il male) indegno di un uomo libero.
Decidano una buona volta se vogliono vivere nel medievo delle dame, delle giostre e dei tornei ad esse dedicati o nella contemporaneità dei diritti e dei doveri.
E noi uomini moderni dobbiamo smetterla di fare il gioco di chi, prima, ci ha convinti, con favole egalitarie e distorsioni moralistiche e anacronistiche della storia (consistenti nel valutare con i parametri eudemonici e individualisti di oggi le ragioni del mondo anagogico e comunitario di ieri, nel quale gli uomini non avevano affatto la libertà di fare di tutto, ma il dovere di sacrificarsi nel proprio ruolo, esattamente come le donne), a smantellare tutte quelle mirabili strutture (dell'arte come della religione, della politica come della storia, del pensiero come della società), edificate nei millenni dai più forti, dai più saggi, dai più geniali e dai più coraggiosi epigoni maschili (dei grandi popoli indoeuropei fondatori di città e civiltà grazie ai loro valori virili e aristocratici) proprio al fine di permettere agli uomini di compensare tutto quanto in desiderabilità e potere è dato alle donne per natura (dalle disparità di desideri e da quelle psicologiche correlate alla predisposizione all'esser madre) e poi, senza più limiti nè remore nè regole, fa uso delle proprie armi naturali per raggiungere (sempre dietro il paravento della "parità" formale) un'incontrastata preminenza nelle sfere più rilevanti davanti alla natura, alla discendenza e alla felicità individuale (aiutata in questo peraltro da leggi applicate a senso unico contro ogni etica, ogni natura e ogni diritto, come nel caso di aborto, divorzio e violenza sessuale).


e) Gli uomini sono stanchi delle donne che sotto la pelle non cambiano mai

I giovani maschi sono (siamo) stanchi di vedere che le donne possono entrare gratis ovunque, ricevere ovunque l'ammirazione dei presenti, il sorriso degli astanti, la corte (esplicita o, più spesso e più rilevantemente per l'autostima, implicita) dei disianti, per la loro semplice presenza, sentirsi universalmente mirate, amorosamente disiate e socialmente accettate di per sè, per la grazia, la leggiadria, bellezza (o, meglio la sua illusione), la pura essenza mondana, senza dover obbligatoriamente mostrare altre doti o compiere particolari imprese, come sono invece costretti i cavalieri, i quali senza esse sono puro nulla) mentre noi non solo dobbiamo pagare, non solo dobbiamo "fare qualcosa" (magari in forme moderne ed anticonvenzionali) alla pari dei cavalieri antiqui per non restare socialmente trasparenti e negletti dalle donne, ma addirittura, nell'obbligatorio "farci avanti" (di per sè psicologicamente intollerabile per la tensione da esame a noi imposta di fronte a colei che invece può dilettarsi a valutare con calma, laddove dovrebbero esservi un divertimento e un rilassamento reciproci) siamo potenziali vittime di “dame” il unico scopo esistenziale pare quello di suscitare ad arte il desiderio per poi compiacersi della sua negazione e infliggere così tensioni psicologiche, ferimenti intimi, sofferenze emotive, irrisioni al disio, umiliazioni pubbliche o private, dolori d'ogni sorta nel corpo e nella psiche, inappagamenti fisici e mentali fino all'ossessione e disagio da sessuale ad esistenziale, al solo fine della propria vanagloria, del proprio patologico bisogno d'autostima, del proprio sadico diletto, del proprio interesse economico-sentimentale o del proprio gratuito sfoggio di preminenza erotica, di “dame” avvezze a trattare l'uomo come uno specchio su cui testare la propria avvenenza, un pezzo di legno innanzi a cui permettersi di tutto, un giullare da far impazzire e illudere per crudele scherno e poi deludere, un burattino da manovrare per divertimento e poi gettare a piacere dopo averlo irriso, di “dame” fiere di affermare esplicitamente il loro ruolo essere quello di usare l'illusione della bellezza come arma per far patire gli uomini fisicamente e mentalmente, per tenerli ad arte nell'inappagamento corporale e psicologico, per farli sentire un nulla innanzi a loro, per tiranneggiarli in ogni ambito, per rendere la loro vita un susseguirsi di irrisioni d'ogni sorta, di umiliazioni private e pubbliche e di frustrazioni sempiterne d'ogni disio, per gettarli in un abisso di pene da inferno dopo aver promesso il paradiso, per rendere loro impossibile vivere la sessualità in maniera tranquilla e appagante, e far dimenticare il sorriso e la libertà dei giorni in cui ancora non si amava, per togliere ad essi ogni altro interesse per la vita ed ogni residua speranza di gioia, e il ruolo dell'uomo dover essere quello di accettare sorridendo senza fiatare tutto questo e tutto faticare, tutto offrire, tutto soffrire per loro nella vana speranza, di “fanciulle” capaci di ridurre dei propri coetanei, con la bellezza e il veleno sentimentale con cui li hanno intenzionalmente illusi e morsi, non solo alla depressione, ma persino al suicidio?
Non tutte le donne certo sono così, ma non è nè moralmente nè razionalmente accettabile che un uomo possa trovarsi senz'armi alla mercè di quel sottoinsieme di tiranne vanagloriose e di stronze prive di limiti, regole e pietà che potrebbe incontrare abbandonandosi ingenuamente all'arte del corteggiar pulzelle (prima del contatto non si può sapere se una fanciulla sia stronza e già dopo il primo contatto o si è già stati feriti nel corpo o nella psiche o è troppo tardi per poter sfuggire alla trappola, alla tirannia, all'inganno o alla perfidia che la stronza di turno ha preparato senza farcene accorgere), come non sarebbe accettabile che una fanciulla innocente possa trovarsi senza difesa alla mercè di un sottoinsieme di uomini violenti e privi di scrupoli. Per difendere le fanciulle dai bruti vi sono sempre stati “cavalieri” ed organi di polizia e leggi. Per difendere i fanciulli dalle stronze non sono invece mai nè state istituite leggi nè tantomeno si sono instaurati costumi (stupidità cavalleresca e demagogia femminista incentivano al contrario lo stronzeggiare senza limiti nè remore nè regole, dato che permettono alla donna letteralmente di tutto davanti all'uomo senza dover temere le reazioni per via del suo status di intoccabile che la rende arrogante peggio delle scimmie sacre del templio di Benhares). Se proprio vogliamo giocare alla novità utopica, una nuova donna capace di “cavalleria erotico-sentimentale” sarebbe necessaria più di un uomo nuovo.

E poi ci si lamenta se i giovani maschi mostrano problemi o deviazioni? Essi sono veramente stanchi di certe femmine e di un certo femminismo!
Sono stanchi di essere considerati la serie b dell'umanità, di essere accettati solo se "utili" e respinti (o costretti a pagare) "in quanto maschi", come accade in molti locali e in quasi tutti i casi di "corteggiamento" (in senso lato).
In un mondo capitalista, chi vuole vendere un prodotto cerca di renderlo desiderabile accostando il suo acquisto a qualcosa di necessario per avere l'ammirazione del mondo, la visibilità dell'altro, l'accettazione della società.
Se un prodotto viene pubblicizzato tramite una donna significa che è la donna e non l'uomo la fonte del valore, il metro di giudizio, il discrimine fra l'essere universalmente mirati, amorosamente disiati, socialmente accettati e l'essere invece "fuori moda", negletti dall'altro sesso e socialmente trasparenti. Vuol dire che è la donna (tramite le disparità naturali di desideri nell'amore sessuale e a quelle psicologiche correlate alla predisposizione all'esser madre) a stabilire il modello ideale non solo di donna, ma anche di uomo, ad essere depositaria del bene e del male, del bello e del brutto, del "progredito" e del "barbarico" non solo per sè, ma per tutti.
Il messaggio recepito dall'inconscio dei giovani maschi (l'inconscio non conosce nè limiti nè facoltà critiche) è quello di dover non solo comprare quello che piace alle donne (e che rende accettabili ai loro occhi), vestirsi, agire e atteggiarsi per piacere alle donne e raggiungere nella vita quella posizione e quella visibilità voluta dalle donne, ma, per esteso, accettare la morale femminile, i gusti femminili, gli stili di vita femminili, i ragionamenti femminili, i capricci femminili e pure le tirannie femminili, pena il restare perennemente infelici e inappagati (nella sfera sessuale e da lì, tramite i meccanismi della psicoanalisi, in tutto).
Quello di cui rischia poi di rendersi conto con amarezza un adolescente (quando apre un giornale o legge un saggio moderno o ascolta alla tv un intellettuale) è che non solo un prodotto,  ma un'idea, un valore, un comportamento valgono solo se è la donna a dar loro valore (con quella bellezza che nascendo dalle profondità del desiderio di natura si sublima fino al vertice dello spirito), che quanto invece egli può, in quanto individuo maschile, fare, pensare o sentire, con la propria volontà, la propria testa, in proprio cuore non conta di per sè nulla (se non approvato dall'altro sesso) e che, di conseguenza egli, di per sè, risulti un puro nulla. Ecco dunque come il non poter entrare in discoteca se non accompagnato da una femmina o il dover altrimenti "pagare dazio" (come si fosse un intruso) siano la materializzazione monetaria di uno stato di subordinazione morale e psicologica dagli effetti devastanti sulla vita e la psiche dei giovani maschi, di una sottovalutazione estetica e filosofica della figura maschile di cui la mancanza di "uomini muscolosi" a vendere prodotti è solo la conferma mediatica.

Il parlare di maschilismo o addirittura di offesa alle donne in relazione ad una parte dei privilegi sopra descritti e alle "donne della pubblicità" significa ribaltare la realtà e invertire le responsabilità. Tutto il "tettoculismo" di cui vi lamentate esiste poichè è stato affermato il "diritto" delle donna a esprimere (consciamente o meno) in ogni modo, tempo e luogo il proprio naturale istinto d'esser bella e disiata (chè questo vi è dietro il diritto a "vestirsi come le pare" o a "esprimere la propria femminilità") e addirittura a permettersi di esagerare a piacere nell'illudere, nel suscitare disio e provocare attrazione negli astanti. Che la donna sia oggetto di desiderio non è deciso dall'uomo, ma dalla natura onnipossente, mentre è decisione della donna scegliere se e come trarre profitto materiale o morale dal fatto di essere (proprio in quanto oggetto di disio) "posta al di sopra dell'umano (e non al di sotto)" in quanto meta dall'azione e del pensiero (di tutti gli uomini che la vedono).
Non dobbiamo lasciarci ingannare (dalle apparenze sorridenti ed esornative e da frasi quali "si preparano per piacere agli uomini").
E' solo un modo per esprimere e far valere (tramite la bellezza dei sensi la cui ostentazione genera nel pubblico, o attraverso l'ammirazione estatica o attraverso la furia orgiastica, una subordinazione alla donna, un essere mossi intimamente da quanto ella suscita, un guardarla dal basso all'alto disiando e patendone la mancanza) la sopravvalutazione estetico-filosifica della figura femminile.
Si divertono solo le femmine nei luoghi in cui ad esse risulta concesso non solo di appagare il disio naturale di sentirsi belle e desiderabili, non solo di appagare la vanità di avere schiere di ammiratori pronti a tutto per un sorriso e corti dei miracoli disposte a dare di tutto in pensieri e parole e opere avendo in cambio la sola speranza, ma persino di provocare tutti i maschi presenti a capriccio per vanagloria tirannica, perfidia sessuale, prepotenza erotica e sadico diletto e di infliggerci sofferenza emotiva, umiliazione pubblica e privata, ferimento nell'intimo, dolore fisico e psicologico, irrisione al disio, disagio da sessuale ad esistenziale e inappagamento corporale e mentale degenerante in ossessione.
Noi possiamo solo sperimentare l'essere ridotti a freddo specchio su cui provare l'avvenenza, a pezzi di legno innanzi a cui permettersi di tutto, a burattini da manovrare e poi gettare dopo averlo irriso, il sentirci insignificanti innanzi a colei che tutti vogliono e tutto può, l'essere attirati solo per esser fatti apparire innanzi a noi e agli altri puro nulla, l'esser trattati come molesti, noiosi o privi di qualità dopo essere stati attratti ad arte, l'esser additati come banali scocciatori dopo essere stati indotti a tentare un approccio, il subire sofferenze fisiche o mentali come conseguenza dell'ingenuo trasporto verso la bellezza, o addirittura il venire scelti fra tanti solo per patire l'inganno più forte, l'illusione più dolorosa, l'umiliazione più profonda, l'esser sollevati per un attimo dalla turba dei disianti, l'essere ingannati da una promessa di paradiso e poi venire sadicamente dichiarati indegni, stupidi e dannati, gettati nell'abisso più profondo della frustrazione sempiterda d'ogni disio, nell'inferno dei patimenti fisici e mentali, nel girone dei senza speranza delle cui pene ridere, e, se l'inganno va anche oltre, l'essere oggetto di perfidie sessuali, tirannie erotiche e sbranamenti economico-sentimentali.
Non lo fanno per fare conoscenza di noi, o per compiacerci, ma per annullarci.
In quei luoghi infatti la donna di turno, per capriccio, vanità, autostima o diletto sadico, sfrutta la situazione per infliggere ferimento intimo suscitando ad arte il disio compiacendosi poi della sua negazione, per provocarmi intenzionalmente sofferenza emotiva, irrisione al disio, frustrazione nel profondo, umiliazione pubblica o privata, inappagamento fisico e mentale, per rendermi ridicolo davanti a me stesso o agli altri qualora tenti un qualsiasi approccio, per causarmi dolore fisico o psicologico nell'attirarmi e nel respingermi, per trattarmi come uno qualunque, un banale scocciatore, dopo avermi scelto fra tanti e illuso solo per farmi patire l'inferno dopo la speranza di paradiso, per appellarmi molesto dopo avermi appositamente attratto e indotto implicitamente a farmi avanti in maniera da lei considerata magari maldestra, insomma usa l'arma erotico sentimentale per infierire su chi psicologicamente si trova in svantaggio nei primi momenti di incontro (occasionale e breve come sentimentale e lungo) con l'altro sesso.

Definire tutto questo più o meno velatamente come "oppressione" della donna (e tirare in ballo presunte offese o molestie in relazione a certi comportamenti maschili che ne possono seguire secondo natura) è un capolavoro di falsificazione e di negazione di ogni logica e di ogni etica.


f) Solo le serpi (che sono velenose) possono cambiare pelle. Ed averne paura non è vile ma saggio.

Un maschio già oltre l'adolescenza, è non irrazionalmente spaventato, ma razionalmente preoccupato da come vede leggi e costumi applicati ai suoi simili.
Viene quasi da chiedersi che senso abbia lavorare e studiare tanto per poi correre il rischio di avere la vita distrutta per unilaterale arbitrio di una donna supportata dal sistema culturale e legale.
Le leggi su aborto, divorzio e violenza sessuale, per citare solo un esempio, vengono sistematicamente applicate a senso unico.

Per la legge sull'aborto una donna ha non solo la possibilità di disconoscere ed abbandonare un neonato senza alcuna conseguenza legale, ma anche il diritto di decidere ad arbitrio (strano per un mondo dominato dal culto dell'individui autodeterminati uguali per nascita e dalla religione dei diritti umani e dei diritti dei più deboli) sulla vita e la morte del nascituro, mentre l'uomo ha il dovere sia di riconoscere e mantenere figli che non voleva (a volte neanche suoi), sia di accettare che un figlio voluto sia soppresso dalla compagna.

Per la legge sul divorzio, la donna ottiene sistematicamente la casa, i figli, metà o più delle sostanze del marito e soprattutto il diritto a scegliere se lavorare se ne ha voglia, se lo ritiene vantaggioso, se trova un impiego che la appaghi materialment e moralmente o farsi mantenere a vita dall'ex-marito in caso contrario (e anche qualora questo non ne abbia più la possibilità economica, come dimostrano i separati costretti a dormire in macchina, a fare gli straordinari o a divenire barboni, folli o omicidi nel tentativo di sostenere "alimenti" impossibili), mentre l'uomo ha il dovere di accettare il rischio di fare la fine di un esule ottocentesco (privato di casa, famiglia, roba, affetti e di ogni possibile speranza futura di felicità), di continuare a mantenere chi non sta più con lui (e magari si è messa con un altro con cui potrebbe benissimo vivere senza aiuti dall'ex) quando non di finire in galera per stupro coniugale, violenza domestica o stalking a causa di accuse false, infondate, distorte o esagerate ad arte e comunque usate a fini meramente strumentali per metterlo in condizioni di debolezza contrattuale nella causa di divorzio.
Che una donna debba mantenere un uomo non accade mai, poichè, anche senza le disuguaglianze legali de facto, esistono quelle naturali di numeri e desideri, in conseguenza delle quali per le donne la posizione socioeconomica di un uomo è un criterio di scelta imprescindibile almeno quanto per gli uomini lo è la bellezza corporale nella scelta della consorte.
Che un uomo possa accusare degli stessi reati una donna è parimenti raro per le disparità di fiducia a priori di cui per via di due millenni di cristianesimo e di stupidità cavalleresca e due decenni di demagogia femminista i due sessi godono presso polizia, società e tribunali.

Per la legge sulla violenza sessuale la parola di una donna (se credibile), vale di fatto come prova (tanto che si finisce in galera immediatamente in attesa di indagini più accurate, come accaduto al ragazzo di bologna prosciolto dopo due anni di domiciliari quando finalmente le indagini difensive trovarono testimoni in favore, del processo, come accaduto a diversi ragazzi accusati di violenza su discotecare varie, o addirittura dell'appello, come accaduto a dua cagliaritani accusati di stupro di gruppo pur in assenza di ogni prova della violenza sessuale sul corpo della ragazza), mentre quella di un uomo, per valere, ha bisogno di schiaccianti evidenze in favore (i due romeni della cafferella sono restati in carcere persino dopo che il dna li aveva scagionati, per "il quadro inquisitorio comunque pesante", il che vuol dire "per l'accusa della vittima").
Addirittura negli usa (verso cui però anche l'europa si sta muovendo) anche solo chiedere all'accusatrice di fornire descrizioni dettagliate e dimostrabili dei fatti, riscontri oggettivi della presunta violenza, prove certe, oggettivamente valutabili e razionalmente quantificabili dell'effettiva gravità e realtà del danno ricevuto (il quale solo giustifica, in uno stato di diritto, una grave condanna) è considerato "seconda violenza" (esattamente come nel processo inquisitorio secondo la caricatura anticlericale, nel quale il mettere in dubbio l'accusa, tanto da parte dell'imputato quanto da parte del suo difensore, costituiva di per sè prova di colpevolezza o comunque aggravante del reato ipotizzato), quando al contrario è soltanto mettendo in dubbio entrambe le versioni e cercando senza pregiudizi riscontri nei fatti all'una o all'altra è possibile stabilire la verità.
Mike Tyson non ha potuto far valere il fatto che l'accusatrice aveva falsamente accusato un altro
brian ha dovuto dimostrare la consensualità del rapporto (quando di norma dovrebbe essere l'accusa a dover provare la non-consensualità, non essendo il rapporto reato in sè ma solo se dovuto a minaccia o costrizione)
parlanti è in carcere senza prove. Ecco, questa è la "presunzione di innocenza" americana. chiunque può andare in galera a tempo determinato per la sola parola di una donna senza riscontri oggettivi.
E l'uguaglianza è questa: qualsiasi accusa anche solo minimamente afferente al sesso diviene nell'inconscio collettivo di giudici, poliziotti e media identificata con la colpa più grave immaginabile, anche quando nulla ha a che fare con quanto ogni mondo civile ha in ogni tempo definito e punito come stupro.
Ecco che così non esiste più non solo una presunzione di innocenza, ma nemmeno, per i colpevoli, una pena proporzionata all'effettiva ed oggettiva gravità della colpa.
qualsiasi minimo o presunto ferimento alla soggettiva sensibilità femminile nella sfera sessuale è considerato crimine massimo da punire nella miniera più ampia, dolorosa e umiliante possibile (e senza possibilità di normale difesa), mentre ferimenti anche più gravi alla diversa e non già inesistente sensibilità maschile vengono passati come trascurabile banalità, divertente normalità o addirittura diritto della donna.
Toccare un sedere costa anni di carcere, mentre "toccare" in maniera molto più dolorosa, frustrante, e provocante ferimento emotivo, irrisione profonda, umiliazione pubblica e privata, sofferenza fisica e mentale, disagio da sessuale ad esistenziale il corpo o la psiche maschili (facendo ad esempi ripetutamente le stronze nella maniera che ho definito mille volte e che tutti, interessate comprese, sanno per vera) è addirittura divenuto stile pubblciitario o hollywoodiano.
Cercare disperatamente di ristabilire un contatto con chi, nonostante tutto, è ancora la madre dei suoi figli, può costare al marito una condanna decennale, mentre ridurre la sua vita quella di un esule ottocentesco privato di casa, famiglia, roba, beni materiali e morali, figli, interesse per la vita e residue speranze di felicità non costa nulla alla ex-moglie (anzi fa guadagnare molto).
Cercare di ottenere un rapporto sessuale in una maniera per la quale la demagogia femminista ha anche solo un minimo dubbio di consensualità (uso di alcool, corteggiamento insistente, promesse di favori lavorativi, atteggiamento da conquistatore ecc.) è considerato tanto grave da giustificare almeno dieci anni di carcere (anche quando i presunti danni alla presunta vittima, quando esistono, spariscono dopo la prima tinozza d'acqua bollente o vengono dimenticati dopo un congruo risarcimento)
e provocare intenzionalmente ad un uomo danni ben più gravi e ben più certi (violenze fisiche e mentali nella sfera sessuale, come ballbusting pretestuoso o la stronzaggine del suscitare ad arte il disio e poi compiacersi della sua negazione e di come essa, resa massimamente dolorosa, umiliante e beffarda possibile da una studiata perfidia e da una premeditata e sperimentata tecnica, possa far patire all'uomo le pene fisiche e mentali dell'inferno della privazione dopo le promesse del paradiso della concessione, farlo sentire una nullità, ferirlo emotivamente, renderlo ridicolo davani a sè e agli altri, umiliarlo in pubblico e in privato, provocargli irrisione al disio, sofferenza fisica e mentale, inappagamento fino all'ossessione e disagio da sessuale ad esistenziale, o addirittura, e i casi famosi non sono mancati, mutilazioni, devastazioni del corpo o della psiche tali da impedire di vivere ancora felicemente il sesso, come comunemente avviene ogni sera alle vittime delle tante stronzette da discoteca, spoliazioni di ogni ricchezza materiale e sentimentale, legalizzata come divorzio e mantenimento, confisca dei beni e privazione dei figli con qualche denuncia enfatizzata ad arte, distruzione con metodi femminili della famiglia e di ogni affetto privato e di ogni rispettabilità sociale, addirittura omicidi)
vengono trattati come follie momentanee da curare con qualche mese di clinica.
E anche in europa si sta introducendo questa porcheria per la quale (alla faccia dell'uguaglianza) un uomo può finire in galera solo sulla parola dell'accusatrice senza riscontri oggettivi (mentre ovviamente non vale il contrario, e non solo perchè la disparità di desideri è tale che sono sempre e solo gli uomini a doversi far avanti e quindi a rischiare accuse di violenza, ma anche perchè, quando la violenza è femminile, come nel caso di accuse false di stupro che producono nella vittima, sottoposta da innocente a carcere, gogna mediatica, distruzione affettiva del mondo e pericoli di violenze fisiche e psicologiche di ogni genere quali ritorsioni, un trauma comparabile a quello di una vera vittima di stupro). E nessuno se ne lamenta.
Basta dunque essere ritenuti credibili e saper raccontare storie credibili per far finire in galera qualsiasi uomo senza prove?
Ma non è pazzesco e indegno pure del medio-evo? Come si può tollerare una cosa del genere in uno stato di diritto? Come si può concedere a tutte le donne su tutti gli uomini un potere di distruzione arbitraria della vita quale avevano i re, i principi e le polizie segrete nei momenti più bui della storia? Nessuno che osi dubitare (come ogni ricerca della verità pretende) sulla veridicità a priori delle accuse?
Vi sono mille motivi per accusare falsamente:
capriccio, vendetta arbitraria, ricatto, interesse economico-legale o gratuito sfoggio di preminenza nell'esser credute a priori e considerate unica fonte di verità e sensibilità umana mentre l'altra campana è tenuta a tacere o reputata degna del riso o del disprezzo.
E anche se non ve ne fossero, deve sempre spettare all'accusa provare la sussistenza di un reato, non alla difesa dimostrarne la non esistenza (del resto, come insegna l'epistemologia di Popper, di quanto esiste è sempre possibile in linea di massima provare l'esistenza, mentre di quanto non esiste non sempre è possibile provare la non-esistenza). Non è necessario pensar male delle donne in particolare. Anche le persone più irreprensibili possono, in ogni ambito della vita, voler accusare falsamente qualcuno di un certo reato per i più reconditi e inspiegabili motivi, specie se rischiano poco o nulla (rispetto all'accusato) e sanno di essere credute gettando una presunzione di colpa sull'accusato. Più si toglie la presunzione di innocenza, più si incoraggia fra le persone la tentazione e il costume di togliere di mezzo gli "indesiderati" tramite la delazione (come nei regimi totalitari).
Per questo in tutti gli altri reati, prima di chiedersi perchè l'accusa dovrebbe mentire, ci si chiede se esistono prove del fatto denunciato. Non si può basare un'azione penale soltanto sulla parola di chi accusa, per quanto credibile possa apparire nel presente o essere stata in passato.
Perchè poi la credibilità della parola di una donna vale e quella di chi si deve difendere da lei no, anche se magari in passato è stato sempre credibile come e più di lei? Allora vi è disparità giuridica! Le "dame" sono trattate da aristocratiche con il diritto di definire i confini fra lecito e illecito e far valere la propria parola come prova anche di quanto non avvenuto.
In uno stato di diritto non solo la parola di tutti deve avere uguale valore, ma è preferibile un colpevole fuori che un innocente dentro, quindi in dubio pro reo.


g) Perchè non possiamo permetterci di trovarci "più a nostro agio" con l'emotività


Si vogliono i ragazzi "più a loro agio con l'emotività? Allo stato di natura non avremmo alcuna difficoltà nel trovarci a nostro agio con la sfera emotiva: vi sono schiere di poeti a testimoniarlo. Basta eliminare le due cause per cui l'emotività è rimasta storicamente un privilegio/condanna di quel tipo di maschio, spesso infelice e socialmente negletto: in primis, l'obbligo conferito dalla società di rivestire ruoli a contatto con la durezza, il dolore, la morte o comunque l'obbligo al sacrificio per proteggere altri, in secundis quello assegnato dalle donne di fare sempre la parte di chi, in quella guerra chiamata amore, deve muoversi per primo rischiando tutto se stesso.
Se il primo ostacolo pare definitivamente rimosso con la condanna della guerra e l'abolizione dell'obbligo di leva, per la rimozione del secondo la strada è ancora lunga. Finchè la cosiddetta conquista sarà un obbligo, ogni giovane maschio dovrà scegliere fra il restere sensibile ed emotivamente ricco, ma destinato a confidare i teneri sensi e i tristi e cari moti del cor alla luna ed alle stelle, e il divenire "uomo", con ciò uccidendo in sè quel fanciullo la cui tenera emotività sarebbe irrimediabilmente ferita dal continuo contatto con le illusioni e le delusioni necessariamente connesse ad ogni tentativo più o meno approfondito approccio, i disagi e le privazioni, tipici della campagne militari e caratteristiche anche dell'ars amandi, i dinieghi, la ambiguità e le difficoltà poste dalle ragazze a mo' di prova per testare l'interesse accrescere il disio, prolungare il momento di preminenza psicosessuale (in cui esse sono accettate per quello che sono -belle- mentre io sono costretto a fare qualcosa per sperare di essere considerato degno di accettazione, in cui esse possono già rilassarsi, abbandonarsi se vogliono alla voluttà o al sentimento, e divertirsi - a scelta con me o su di me - mentre io sono sottoposto alla tensione di un esame o comunque costretto a rimanere in me per mostrare di me quanto penso che per esse possa essere "il mio meglio"), valutare con calma la presenza o eccellenza in me delle doti da loro volute per un rapporto, iniziarsele a godere se presenti o a sbeffeggiarle se assenti, i sacrifici di sè, le irrisioni, le frustrazioni, le umiliazioni e i patimenti posti, inflitte, per moda, capriccio, vanità, accrescimento di valore "economico-sentimentale" o gratuito sfoggio di preminenza erotica dalla "dama" di turno.
Con queste donne sedicenti moderne, che con l'inganno di una parità di facciata (laddove le condizioni, le preminenze e le esigenze di natura sono diverse) vorrebbero impedire all'uomo di bilanciare individualmente (con lo studio, il lavoro, la cultura, il successo, il potere, la fama, la ricchezza, il prestigio, la posizione sociale e quant'altro consegue la fortuna o il merito individuali, ingiustamente visto come effetto di discriminazione) e socialmente (con le mirabili strutture dell'arte come della religione, della politica come della storia, del pensiero come della società, ingiustamente chiamate oppressione) tutto quanto in desiderabilità immediata, profonda e ineludibile e influenza reale sul mondo è dato alle donne per natura dalle disparità di desideri nell'amore sessuale e da quelle psicologiche correlate alla predisposizione all'esser madri, che vorrebbero mantenere la preminenza naturale in tutto quanto è più rilevante per l'autostima, il benessere psicofisico e il vero potere individuali nonchè per la riproduzione proprio mentre convincono la massa di imbecilli a smantellare quanto i saggi fondatori di città e civiltà avevano edificato per permettere all'uomo di avere pari forza contrattuale e pari possibilità di scelta in quanto davvero conta innanzi alla natura, alla discendenza ed alla felicità individuale, che vorrebbero mantenere assieme antichi privilegi (mantenimento, cavalleria, corteggiamento) assieme ai moderni diritti, che pretendono da un uomo le fatiche e i rischi della conquista senza concedergli i diritti del conquistatore, che si dichiarano empatiche ma non hanno remore a infierire fisicamente, psicologicamente o legalmente su chi si trova nella condizione psicologicamente difficile di fare la prima mossa senza poter sapere se il tentativo avrà successo (ovvero sarà gradito), che irridono le sofferenze di chi si trova dalla parte dell'umanità priva del diritto ad entrare gratis ovunque accompagnata dal sorriso degli astanti, dal beneplacito della cultura e dai sospiri dei corteggiatori, e quindi implicitamente considerata (spesso nel periodo più delicato della giovinezza, quando non si è ancor avuto tempo e modo di crearsi una posizione nella società e nella sessualità, di far proprie e mostrare armi con cui bilanciare la bellezza in un eventuale rapporto o anche solo rendere esso desiderabile o almeno non irrealistico agli occhi della donna, o di costruirsi una salda autostima) indegna di disio e serie b, e non contano come da grande chi vive questo userà giustamente tutti i mezzi (fra cui ricchezza e potere o ogni altra dote immediatamente evidente ed oggettivamente valida al pari della bellezza, con cui essere universalmente mirato, amorosamente disiato e socialmente accettato al primo sguardo, e a prescindere da tutto il resto, compresi pensieri e inclinazioni individuali, dall'universalità della controparte con la stessa rapidità, la stessa ineluttabilità, la stessa profondità con cui le belle donne lo sono per le loro grazie corporali, di cui le donne sentano bisogno e brama di intensità e immediatezza pari a quanto provato dall'uomo innanzi alla bellezza, grazie a cui potersi procurare in ogni momento e con qualunque creature rimirata incontri solus ad solam in cui poi poter mostrare senza disagio le eventuali doti di sentimento o intelletto volute da quella donna per un rapporto e non evidenti al primo sguardo o nei banali momenti della vita moderna) per essere la "serie A", che si dicono comprensive ma non comprendono come sia psicologicamente pesante il dover (in conseguenza delle loro pretese) tentare n volte con n donne diverse sperando la n+1 esima sia quella giusta sperimentando ogni volta l'illusione (giacchè non è possibile vincere timidezza e ragionevolezza senza autoconvincersi di essere innanzi al proprio sogno estetico-sentimentale) e la delusione (giacchè non è parimenti possibile pretendere di possedere proprio quelle doti volute proprio da quella donna per un eventuale rapporto o, anche possedendole, di avere l'occasione per renderle evidenti solus ad solam), che si dicono delicate ma non hanno delicatezza nel definire pigro, insicuro o addirittura porco chi preferisce andare a puttane piuttosto che passare per le forche caudine del corteggiamento, in cui la dama di tutto potrebbe permettersi qualsiasi perfidia sessuale, qualsiasi tirannia erotica, qualsiasi avvelenamento amoroso, qualsiasi sbranamento economico-sentimentale e in cui comunque si deve sostenere una situazione emotivamente impari (loro già universalmente mirate, amorosamente disiate e socialmente accettate per quello che sono -belle-, noi costretti a "fare qualcosa" per apparire all'altezza, per cogliere l'occasione, ammesso di possedere proprio le particolari qualità ricercate dalla particolare controparte, di rendere sensibile alla mente e all'animo quanto non evidente al primo sguardo e non rilevabile nei fugaci momenti degli incontri banali, ma da esse ricercato in un rapporto ed esprimibile solo nel dialogo solus ad solam, nello scambio di "colloqui, sogni e taciti pensieri", nella condivisione di ricordi ed emozioni, negli sguardi più eloquenti delle parole e nelle parole più taciute dei silenzi, nelle squisitezze intellettuali, nella scelta dei vocaboli, nella modulazione della voce, nel fluire di immagini e suoni come nella poesia, nel tempo dato al corteggiamento, loro nella condizione di potervi già abbandonare alle onde se non della voluttà almeno del diletto, rilassare e divertire, noi angustiati dal disio e sottoposti alla tensione psicologica di un esame, o comunque di un dover fare di tutto per indovinare quanto da voi preteso ma non esplicitamente rivelato, per mostrare il meglio di noi o almeno quanto crediamo possa essere più apprezzato, loro nella situazione di poter scegliere se divertirsi con noi o su di noi, di poter valutare con calma l'eventuale presenza/eccellenza in noi delle doti di sentimento o intelletto volute, pregustarne la presenza in un caso o irriderne l'assenza nell'altro, noi costretti come un mendicante alla corte dei miracoli a guardare dal basso verso l'alto nell'attesa speranzosa di una sportule, o comunque a tollerare i rischi e le fatiche della conquista senza poter fare obiezioni), che dicono di voler unire il sentimento al sesso, ma in esso sfruttano, senza limiti nè regole nè remore, le disparità di numeri e desideri chiaramente in loro favore per attuare un comportamento oligopolistico degno dell'opec e volto a rendere l'appagamento del naturale bisogno dell'uomo di godere della bellezza e del piacere dei sensi e delle idee quanto di più raro, difficile, duro, faticoso e costoso (sotto ogni punto di vista materiale e morale), per non dire irridente (quando si dovrebbe recitare da giullari del cui disio irridono o da seduttori per compiacere la loro vanagloria), doloroso per il corpo e la psiche (quando si dovrebbe fare da freddi specchi su cui testano l'avvenenza o da pezzi di legno innanzi a cui si permettono di tutto) e umiliante (quando si dovrebbe fare da amici/ammiratori disposti a dare tutto in pensieri parole ed opere per la sola speranza, da cavalieri serventi pronti a tutto per un sorriso, da mendicanti alla corte dei miracoli d'amore indotti nella trepida attesa della sportula a guardare dal basso verso l'alto colei dal cui gesto dipendono il paradiso o l'inferno) possa esistere all'universo mondo, che si dicono sensibili ma non fanno alcuna attenzione a non ferire, irridere e umiliare chi illudono e deludono, attraggono e respingono, inducono con arte a farsi avanti e poi chiamano molesto, non è possibile aprirsi ad alcun tipo di rapporto nè di trasporto sentimentale.
Per chi non sia tanto insensibile da essere refrattario a qualsiasi contatto emotivo, per chi non sia tanto stupido da non capire la situazione al di là dei sorrisi di circostanza, per chi non sia già divenuto un crudele dongiovanni pronto ad ingannare a sua volta la donna, è già psicologicamente difficile per non dire doloroso il fatto di dover fare il primo passo senza sapere se il tentativo sarà gradito. Non si tratta di un semplice due di picche, ma di una situazione esistenziale insostenibile in cui si deve (per la legge dei grandi numeri, a pena delal certezza dell'infelicità e dell'inappagamento) ad ogni contatto con l'altro sesso tentare n volte con n donne diverse sperando che la n+1 esima sia quella giusta, e sperimentando ogni volta l'illusione (senza autoconvincersi di avere innanzi il proprio sogno estetico e sentimentale non risulterebbe possibile superare le remore di timidezza naturale e calcolo razionale sull'inopportunità del farsi avanti) e la delusione (non si può pretendere che proprio la prima donna dalle cui grazie siamo colpiti cerchi per un rapporto proprio quelle doti di sentimento ed intelletto da noi eventualmente possedute e che, anche se così fosse, si possa avere l'occasione di incontro solus ad solam in cui renderle evidenti con calma e sincerità). Non bisogna infierire su chi si trova in tale condizione di debolezza psicosessuale: chi lo fa mostra non solo perfidia, ma violenza psicologica paragonabile a quella del bullo che sfrutta la forza fisica per umiliare, tiranneggiare, sbeffeggiare il ragazzo più piccolo. E' un crimine non meno grave di quelli per cui gli uomini vengono puniti per aver violato il corpo o la psiche femminile nella sfera sessuale, provocando danni magari non visibili ma non certo trascurabili.
Eppure esse che fanno, principalmente, benedette dalla legge e incoraggiate dalla cultura? Trattano con sufficienza o aperto disprezzo chiunque tenti un qualsiasi avvicinamento erotico-sentimentale, mostrano pubblicamente, per capriccio, vanità , aumento del proprio valore economico sentimentale o gratuito sfoggio di preminenza, le proprie grazie solo per attirare, ingannare e sollevare nel sogno chi poi si vogliono far cadere con il massimo del fragore, della sofferenza e del ridicolo, diffondono disio agli astanti e attraggono a sè (o addirittura indurre ad arte a farsi avanti e a tentare un approccio) sconosciuti che non sono interessate a conoscere ma solo a ingannare, far sentire nullità e frustrare sessualmente, si dilettano, con (s)vestimenti, movenze, sguardi espliciti e atteggiamenti impliciti, silenzi eloquenti e parole ambigue, a suscitare ad arte disio per compiacersi della sua negazione (e di come questa, resa massimamente beffarda, umiliante e dolorosa per il corpo e la psiche da una raffinata, intenzionale e premeditata perfidia, possa far patire le pene infernali della negazione a chi è stato dapprima illuso dal paradiso della concessione), attirano e respingono con l'intenzione di infliggere continuamente tensione psicologica, ferimento intimo, senso di nullità , irrisione al disio, umiliazione pubblica e privata, inappagamento fisico e mentale degenerante se ripetuto in ossessione e disagio scivolante da sessuale ad esistenziale (con rischio, per il giovane maschio, di non riuscire più a sorridere nel sesso e di avvicinarsi ad una donna senza vedervi motivo di patimento, tirannia e perdita di ogni residuo interesse per la vita), usano insomma sugli l'arma della bellezza in maniera per certi versi ancora più malvagia di quanto certi bruti usino sulle donne quella fisica).
Qui lascia esplicitamente che il "gioco della seduzione" costituisca la sublimazione di ogni tirannica vanità e di ogni vanagloriosa prepotenza della donna tramite il desio dei sensi (la quale nega apertamente l'uomo possa porsi su un piano di parità chiedendo un corrispondente per quanto agito o subito in prospettiva del proprio bisogno ben noto alla donna, ed afferma chiaramente il di lui ruolo essere quello di un freddo specchio su cui provare l'avvenenza, di un pezzo di legno innanzi a cui permettersi di tutto - qualsiasi provocazione più o meno sessuata, qualsiasi tensione psicologica indotta, qualsiasi irrisione al disio, qualsiasi umiliazione pubblica e privata, qualsiasi inflizione di senso di nullità davanti alla bellezza, inappagamento fisico e mentale fino all'ossessione, disagio da sessuale ad esistenziale - o comunque di un attore costretto a recitare da seduttore per compiacerne la vanagloria o da giullare per farla divertire magari lasciandosi irridere al disio, e in ogni caso non andare mai più in là rispetto all'amico-ammiratore disposto a dare tutto in pensieri, parole ed opere per la sola speranza, al cavalier servente pronto a tutto per un sorriso, al mendicante alla corte dei miracoli d'amore costretto nell'attesa trepidante della sportula a guardare dal basso verso l'alto colei dal cui solo gesto dipendono il paradiso e l'inferno) e quindi anche implicitamente come la galanteria altro non sia che una maschera di servitù imposta a tutti gli uomini verso tutte le donne di cui tutto l'oriente ride come ne avrebbero riso i Greci e come il corteggiamento costituisce un residuo di corvèe medievale (in cui la parte umile deve offrire e soffrire di tutto per presentare il meglio di sè senza secondi fini, ma nella contentezza di sacrificarsi per un dovere divino, mentre la controparte signorile, dopo aver graziosamente accettato, può a capriccio concedere tutto il bene o tutto il male) indegno di un uomo libero.
Anche nei casi di non stronzaggine non è comunque piacevole ricevere continuamente rifiuti come regola (non si può pretendere di pensare di essere graditi nella maggioranza dei casi). Perché provare n volte con la speranza che la n+1 esima sia quella giusta? Non siamo tester! Gli animi più acutamente sensibili sono profondamente feriti, emotivamente, da questa situazione "asimmetrica".
Razionalmente, anche se non si vogliono ridurre sensualità e sentimento ad uno scambio, perchè bisognerebbe offrire e soffrire con certezza uniltaralmente e accettando dalla controparte solo variabili aleatorie da implorare e attendere? Emotivamente, come possono pretendere un uomo non si senta a disagio in tutto ciò (una volta che abbia abbastanza intelletto da capirlo e sensibilità da soffrirne)?
Io mi sento a disagio nella mia condizione di debolezza innanzi a chi è universalmente mirata, amorosamente disiata e socialmente accettata al primo sguardo per quello che è, bella, mentre io devo fare qualcosa per apparirne degno e non restare trasparente (giacchè sono evidentemente nella condizione di chi, angustiato dal disio proprio quando vorrebbe abbandonarsi alle onde della voluttà o del sentimento, sia sotto esame, o comunque debba rimanere concentrato per mostrare il meglio di sè, innanzi a colei che invece, a prescindere dal volere o non volere, può già dilettarsi, rilassarsi, valutare con calma, costringermi con tattiche a soffrire e offrire quanto da lei voluto, verificare la presenza o l'eccellenza in me delle doti pretese, principiare a gustarsele se presenti o a irriderle se assenti, decidere se divertirsi con me o su di me).
Avrei bisogno di possedere socialmente, culturalmente o economicamente qualcosa di immediatamente apprezzabile ed oggettivamente valido al pari della bellezza, con cui essere universalmente mirato, amorosamente disiato e socialmente accettato da tutte al primo sguardo e a prescindere da tutto come esse lo sono per le loro grazie, di cui esse abbiano bisogno e brama di intensità e rapidità pari o superiori a quanto da me provato per la bellezza, con cui bilanciare o anche solo rendere possibile ogni eventuale rapporto, anche solo fugace ed emtoivo, e grazie a cui rendere interessante o anche solo immaginabile agli occhi di una donna da tutti desiderata un incontro solus ad solam non con gli altri trecentosessantaquattro ammiratori ma proprio con me (ove POI, nell'occasione data dalla calma, dal tempo del dialogo, dei pensieri, degli sguardi, delle suggestioni e delle citazioni poetiche, rendere sensibili alla mente e all'udito la propria eventuale eccellenza in quelle particolari e impredicibili doti di sentimento o intelletto, se presenti, ammesso di possederle, d'apprezzamento soggettivo ed arbitrario ch'ella ritiene indispensabili per un rapporto e non possono essere evidenti al primo sguardo o nei momenti di fugace incontro). Non posso accettare di partire addirittura in svantaggio.
Ecco perchè allora, stando le donne ferme sui loro privilegi di natura e di cultura (medievale), servono "compensazioni sociali".

h) Perchè non possiamo permetterci di diventare meno competitivi


Si vogliono i ragazzi meno competitivi? E perchè? Sarebbe non solo svantaggioso per la società, ma pure ingiusto per loro! Fin da quando sono allo stadio di spermatozoi, i maschi vedono coincidere la vita con la competizione e la sopravvienza con il superamento di sè e la vittoria. In quasi tutte le speci il pro-gettarsi nella vita del genere maschile ha un carattere competitivo. Pretendere di crescere dei maschi umani negando in loro questo impulso ed educandoli a vederlo come un male costituisce una verissima e formale violenza al genere maschile, un abuso psichico su fanciulli in erba, un attentato all'identità, all'autostima e alle potenzialità di futuri uomini, un vero e proprio atto di sterminio di genere nel nome di un'ideologia tanto totalitaria quanto utopica.
Anche ammesso per assurdo che la competizione non sia innata nei maschi ma acquisita tramite modelli sociali e imposizioni culturali, resta comunque profondamente ingiusto e lesivo delle future opportunità maschili disabituare i ragazzi a competere, perchè non appena saranno non dico uomini, ma almeno adolescenti, si troveranno, per ogni obiettivo, per ogni sogno e per ogni bisogno, innanzi alla necessità (non alla scelta) di competere: dalla ricerca di un lavoro non dico privilegiato, ma almeno adeguatamente pagato, stimolante e vivibile (o comunque adeguato agli argomenti, all'impegno e all'eccellenza seguiti negli studi), nella quale dovranno affrontare la concorrenza di un numero di pretendendi molto maggiore dei posti disponibili, giacchè non viviamo nel paese di bengodi in cui scorrono fiumi di latte e miele per tutti, a quella di una controparte femminile in grado di soddisfare il sogno estetico della loro anima, per la quale, si tratti del più fugace dei rapporti nato per caso per strada o in disco o del più lungo, meditato e sentimetale dei legami, dovranno vincere quelle disparità di numeri e desideri nell'amore sessuale volute dalla natura, favorevoli grandemente alle donne e da queste sfruttate in ogni modo, tempo e luogo senza peraltro limiti, nè remore nè regole.
La natura stessa adotta lo strumento della competizione per garantire il principio di propagazione e selezione della vita (e quindi l'evoluzione, che non è altro se non un sinonimo di vita in quanto tale), tanto fra gli individui della stessa specie quanto fra speci diverse. Possibile che la natura sbagli?
E non si dica che "per i tempi storici cambia tutto": almeno in questo la storia è semplicemente la prosecuzione della zoologia.
Sono state civiltà fondate su valori virili e aristocratici (nel senso etimologico e originario indoeuropeo di potere dei migliori, non già dei privilegiati di Versailles), quali la Roma Repubblicana, la Grecia Omerica, l'India Vedica, la Persia Iranica, la Germania Sacra e Imperiale e financo il Rinascimento Latino, a far passare l'umanità dalla preistoria alla storia, dalle caverne ai palazzi rinascimentali, dalle pitture rupestri al cenacolo, dagli oggetti di pietra alle mirabilie tecnologiche, dal ricercare cibo al poterlo produrre, dall'essere determinati dall'ambiente al poter determinarlo assieme alla propria stessa natura e al proprio destino. Le civiltà più o meno basate sull'egalitarismo e la collaborazione, come le tanto decantate matriarchie senza classi, o sono rimaste fuori dalla storia, incapaci nel loro piattume di far sorgere valori, bellezze e significati, o si sono rivelate storicamente recessive, come nel caso degli Etruschi, persino quando avrebbero avuto tutti gli strumenti tecnologici per emergere.
Men che meno il finto pacifismo oggi imperante nella cultura può sosterere le tanto decantate evoluzioni "storiche", "tecnologiche", "sociali" aver conferito a livello globale primato al modello collaborativo rispetto a quello competitivo. Le attuali civiltà ancora in espansione (politica, militare, economica, culturale, demografica) o comunque non in decadenza come noi occidentali, ovvero quelle dell'Asia, sono sostenute, persino nel caso la loro cultura sia lontana anni luce da una concezione individualista, guerriera o aristocratica, persino nel caso della Cina Comunista, da un modello fortemente competitivo (direi persino all'eccesso dell'umanamente sopportabile) a partire dalla scuola (solo i migliori su migliaia di scolari, continuamente valutati con ranking settimanali degni più della borsa valori che di quella di studio, possono accedere alle migliori scuole e solo chi da queste scuole emerge per capacità e meriti di studio può aspirare ad una posizione sociale conferente se non relativo benessere e prestigio almeno un minimo di vivibilità e dignità) per finire nella produzione e nella tecnologia (dove la concorrenza in termini di costi e in prospettiva anche di qualità è spietata nei confronti delle industrie europee e statunitensi). E' sommesso parere di chi scrive che l'attuale cultura occidentale, improntata nella pedagogia come nella politica, nella sociologia come nella regolamentazione del lavoro, nell'istruzione come nella rappresentazione cinematografica, ad esaltare modelli collaborativi rispetto a quelli competitivi sia, se non la prima causa, almeno il primo effetto di quella decadenza che ha portato l'Europa non solo fuori dal centro del mondo, ma adddirittura in posizione tanto periferica e vulnerabile da dover temere per la propria stessa sopravvivenza politica, finanziaria, sociale, etnica e culturale.
Anche ammesso e non concesso sia oggi possibile estraniarsi dall'agone della storia e, basandosi su un convincimento meramente ideologico, fondare una società collaborativa capace in qualche modo di sopravvere in un mondo competitivo, il motivo principale mancherebbe di vera giustificazione ideale.
Che il modello competitivo debba essere suparato in quanto "anti-democratico" è infatti una menzogna che non sta nè in cielo nè in terra. E' vero l'opposto: in un mondo "aristocratico" (in senso deleterio di "basato sul privilegio di censo") non c'è alcun bisogno della competizione (anzi, essa è vietata per i "plebei" e rinchiusa nelle giostre per i "nobili"): tanti sono i posti privilegiati quanti sono le persone di nascita privilegiata e la selezione non serve (o è riservata ai servi). In un mondo "democratico" (nel senso ideale in cui tutti a prescindere dalla posizione sociale di nascita possano ambire, se capaci e meritevoli, ai più alti gradi della scala sociale) la grande disparità numerica fra i pochi ruoli di preminenza o prestigio sociale e i molti pretendenti ad essi rende necessaria e perpetua la selezione. Ed affinchè essa non resti affidata al caso o, peggio, a mafie, amicizie, raccomandazioni e sotterfugi, deve essere fondata su una leale competizione.
Se il motivo pratico del modello competitivo è evidente da quanto detto sulla natura e sulla storia, quello anagogico necessita di una confutazione puntuale delle calunnie e dalle misconcezioni sparse (per colpa di propaganda o per dolo di ignoranza) dai suoi detrattori (o, più spesso, detrattrici).
Che la competizione coincida con il bellum omnes contra omnes di hobbesiana memoria è una credenza sostenibile soltanto da chi non abbia mai avuto modo di competere o per qualche motivo odia i competitori. La competizione risiede nell'esatto contrario della anarchica ricerca di prevalere o distruggere ad ogni costo, giacchè, per esistere, ha per definizione necessità di regole chiare, ferree e da tutti rispettate e, per reggersi su un senso, deve ammettere (e quindi de facto costruire) un valore superiore a tutti i contendenti (ad esempio, nel duello guerriero la forza e la virtù, nelle corse automobilistiche l'ardimento e la velocità) rispetto al quale essi stessi vengono classificati. Ciò (il generare valore con la stessa fiducia e lo stesso impegno dei partecipanti nell'eccellere in esso), di per sè, rende evidente il suo fine anagogico (il suo tendere verso l'alto, il suo orientere i partecipanti al superamento non solo degli altri ma di loro stessi).
Il fine pedagogico è immediatamente conseguente.
Il fanciullo che inizia a competere parte dalla condizione ingenua ed egoistica di individualismo, ma già per il fatto stesso di volersi affermare rispetto ad altri è costretto innanzitutto a ri-conoscerli (come avversari), a conoscere cioè in loro qualcosa (se non altro la stessa brama di affermarsi, e poi lo stesso fine e con esso gli stessi valori, e gli stessi sacrifici, che a quel fine menano) che è parte intima di sè. Tale rispecchiamento guerriero (vedere nell'altro non un turbamento rispetto ad una ideale condizione di pace e di unità cosmica, ma una presenza privilegiata senza la quale non si potrebbe competere e quindi mettersi alla prova, un'occasione per misurare non solo le proprie capacità ma soprattutto la propria volontà, la propria disposizione all'impegno, al valore, alla freddezza, all'abilità e al coraggio, per insomma conoscere se stessi e i propri veri limiti) è la base di ogni forma intimamente sentita e non esteriormente ipocrita di rispetto. Secondariamente, se è vero che la competizione asseconda dapprima la volontà di affermarsi, è altrettanto indiscutibile come ne fornisca quasi immediatamente una non dico limitazione ma almeno regolazione: si cerca con ogni forza di prevalere, perchè primeggiare è bello e giusto, ma si prevale solo se si mostra eccellenza e primato nelle doti e nei cimenti sui quali la competizione è fondata. In altre parole, il prevalere sugli avversari non è più una pulsione cieca, ma diviene una meta subordinata al dovere di mostrarsi oggettivamente all'altezza del primato in uno scontro che non ammette scorciatoie morali. Nella sconfitta (con cui presto o tardi è inevitabile misurarsi) si capisce (si è costretti a capire) che anche l'altro ha (o può avere) valore, e non un valore qualsiasi ma quello per cui noi stessi fremiamo, pugnamo, corriamo. Ciò contribuisce a ridurre non solo l'innato egoismo dell'uomo, ma il senso di onnipotenza naturale nel fanciullo.
La mancanza di tale etica "sportiva" in un paese come l'Italia, plateale a livello patologico in ambito calcistico dove quasi nessuno ammette la responsabilità della sconfitta e tutti come prima cosa accusano arbitri, eventi esterni o complotti per sostenere di essere stati comunque più bravi e di aver meritato di vincere anche se si è perso, ha il corrispettivo sociale nella assoluta incapacità di riconoscere al prossimo la mera possibilità di aver mostrato più doti, più impegno, più eccellenza o più merito di noi: quando si viene superati in un concorso o in qualsiasi evento della vita si accusa sempre l'altro di aver agito slealmente, di essere raccomandato, di essere privilegiato dal sistema e, con una frequenza unica al mondo, si ricorre ad ogni ricorso e ad ogni appiglio legale o morale possibile.
Insegnare ai ragazzi a competere nello studio equivale a mostrare loro che la conoscenza è un valore, su quel valore in quanto anagogico è possibile fondare una gerarchia e quella gerarchia è giusta (giacchè discendente da quanto più di tutte le altre doti naturali qualifica ed eleva la specie umana: l'impulso al sapere e l'ingegno per cercarlo).
Se non lo si fa, poichè la gerarchizzazione è spontanea in ogni organizzazione sociale, la società dei ragazzi si ordinerà in maniera anarchica, casuale e ingiusta, sulla base di aspetti esteriori, tendenze televisive, quando non mere stupidità: emulazione dei modelli estetici alla moda per le ragazze e gara a fare bravate, esercitare prepotenze o disprezzare lo studio per i ragazzi.
E la società degli adulti resterà ordinata ponendo semplicemente più in alto chi più possiede per nascita o più può arraffare per caso.
A questo proposito, la competizione, da sempre, è anche il modo più anagogico e costruttivo per volgere la naturale aggressività verso l'alto, per ritualizzarla, per accordarla con finalità comunitarie e, se non spirituali, almeno generatrici di ordini e valori.
Solo un ignorante di etologia può sostenere l'aggressività non essere uno dei quattro impulsi fondamentali di ogni essere vivente (assieme alla fame, all'istinto sessuale ed a quello di fuga, ovvero la paura) e dipendere solo da "contraddizioni sociali" e "rapporti di produzione". Questi elementi culturali semplicemente hanno fatto sì che spesso l'aggressività sia sfociata in forme di oppressione, violenza distruttiva quando non aperta follia criminale, ma non hanno potuto far nascere qualcosa che era già presente in natura (in quanto necessario alla vita per diversi motivi). E allo stesso modo qualcosa di innato non potrà mai essere cancellato dalla cultura. Se la cultura pacifista (falsa) contemporanea pretende di negare l'aggressività come parte della natura dell'uomo, essa (come evidente negli odierni giovani maschi) finirà inevitabilmente per esplodere in forme incontrollate. Ecco perchè soprattutto i giovani maschi (le femmine hanno già nella "gara per la bellezza" loro concessa in occidente un modo per sfogare la loro diversa e non già inesistente aggressività, anch'essa spesso competitiva inter-genere) devono essere educati alla competizione (e non solo alla collaborazione): se la loro naturle aggressività non viene rivolta all'esterno (con una competizione) verso finalità comunitarie e anagogiche (quali certamente sono quelle della conoscenza) si ripiegherà all'interno in maniera nichilistica ed (auto)distruttiva.
Per ultimo, ciò costituisce anche una giustizia sociale e temporale verso i giovani maschi.
Si tratta di dare alla conoscenza (e al successo nello studio, sempre meritato) quel valore intersoggettivo, conferente primato e prestigio sociale a chi lo possiede, che nel modello sociale attuale è rappresentato dal denaro (o dal successo effimero, spesso solo fortunato), di rendere il sapere quello che in natura e per le femmine è la bellezza, una dote immediatamente evidente ed oggettivamente valida con cui essere universalmente mirati, amorosamente disiati e socialmente accettati al primo sguardo, a prescindere da tutto il resto, con la stessa rapidità, la stessa forza, lo stesso trasporto con cui le belle donne lo sono per le grazie corporali e di cui le donne sentano bisogno e brama di intensità , immediatezza e ineluttabilità  pari a quanto provato dall'uomo innanzi alle forme femminee) non si ha alcuna speranza di bilanciare in desiderabilità e potere la bellezza in un eventuale rapporto, nè di renderlo possibile e gradito agli occhi della donna (tanto da indurla a concedere un incontro solus ad solam in cui eventualmente rendere sensibili quelle qualità  di sentimento o intelletto, d'apprezzamento soggettivo e arbitrario, pretese da quella singola donna per un rapporto, non visibili al primo sguardo nè rivelabili nei banali rapporti della vita moderna, ma necessitanti del tempo dato al corteggiamento, della modulazione della voce, della scelta dei vocabili, del fluire di immagini e suoni come nella poesia, del reciproco coinvolgimento tramite squisitezze intellettuali o eloquenti silenzi, sguardi espliciti o parole implicite, dello scambio di "colloqui, sogni e taciti pensieri", della condivisione di ricordi ed emozioni, degli sguardi più eloquenti delle parole e delle parole più poeticamente taciute dei silenzi).
Perchè, dunque, si è preteso da ogni lato di rendere i ragazzi meno competitivi? Ovvio: per il duplice fine di renderli più vulnerabili innanzi alle ragazze (togliendo loro quella possibilità di conseguire primato e prestigio sociale necessaria a bilanciare in desiderabilità e potere la bellezza e ottenere pari possibilità di scelta e forza contrattuale in quanto davvero conta innanzi alla natura ed alla felicità individuale, quel modo costruito dai saggi per poter dire anche da parte maschile una parola rilevante su quanto riguarda discendenza) e di maledire in eterno quanto in natura caratterizza e nella storia ha caratterizzato nei momenti ascendenti delle civiltà il genere maschile!


i) Perchè non possiamo permetterci di diventare meno "violenti"

Si vogliono i ragazzi "meno violenti". "Violenza" in tale caso deriva da "vis-roboris" (forza) o dall'accezione falsificata da cristianesimo e femminismo (ingiustizia, oppressione, spesso definite semplicemente dal punto di vista egoistico, e invidioso, di chi in uno scontro aperto e leale non potrebbe prevalere, o comunque in maniera avulsa da ogni riscontro oggettivo e rilevante e basata sul minimo e presunto "danno" ad una soggettiva sensibilità sempre pronta ad autoeleggersi come "parte migliore dell'umanità" e quindi "legge" e "morale")? In primis la forza è lo strumento primo con cui risula possibile ad un'anima ricca di idealità e feconda di sogni regalare al reale l'immagine e la sembianza dei propri sogni e dei propri ideali. Solo chi ritiene il mondo avere già un senso in sè (dato magari da un dio al di fuori di esso, come nel cristianesimo o dalla mera ripetizione di forme sempre uguali - come nella concezione matriarcale della terra come matrice cosmica da cui ogni individuo dirama e a cui ogni individuo ritorna dopo un'esistenza effimera) può vedere a priori negativamente un atto utile a regalare al mondo valori, bellezze e significati (in maniera del tutto simile alla violenza formatrice dell'artista in grado di trasformare il blocco di marmo informe in un'opera dotata di forma e quindi valore, significato e bellezza, e quindi in diritto di decidere quale forma essa debba avere, cosa debba essere incluo in essa e cosa escluso e ridotto in polvere). Anche volendo concedere la "presunzione di innocenza" all'articolista ed alla filosofa e presupponendo quindi che per "comportamenti violenti" intendano soltanto quegli atti di prepotenza e oppressioni di certi bulli verso i ragazzi e le ragazze più deboli, mi resta più di una perplessità.
Tutto quanto detto al punto precedente, infatti, viene necessariamente condito e avvelenato dalla millenaria (anzi, connaturata) invidia della debolezza verso tutto quanto è bello, forte e palpitante di vita (e pertanto capace di generare verso l'alto, come appunto quel tipo umano, virile e aristocratico, mostratosi storicamente in grado di concepire opere di grandezza, potenza e durata degne degli dèi, di compiere imprese più che umane per forza, coraggio e splendore e tali da fondare città e civiltà nonchè da costituire il mito fondativo di intere epoche, di volgersi al nobile, al grande, all'eroico nel oggi non più visibile nella piccolezza del mondo moderno, femmineo e democratico, ma ancora comprensibile, per esempi, leggendo fra le righe i vari fondamenti etico-spirituali delle civiltà indoeuropee: l'Iliade omerica, l'Eneide virgiliana, la Baghavad Gita, i poemi persiani, l'Edda, il Beowulf, la stessa Commedia Dantesca). Tale invidia non solo ha indotto nel mondo delle idee a fare di ogni valore un disvalore (presupposto per la sovversione politica, religiosa ed etica del mondo moderno) e a chiamare colpa la forza, crimine l'opera di grandezza e virtù la debolezza (come in quella sovversione dei valori denunziata da Nietzsche ed iniziata con le varie rivoluzioni cristiane, socialiste e femministe), ma, nel mondo delle cose e degli uomini, ha portato a svalorizzare, denigrare, incolpare i giovani maschi per il semplice fatto di essere tali. E ciò è evidente non solo nell'arbitraria identificazione di competizione, forza, vigore, propensione all'affermazione di sè con "oppressione" (insita nel fare del termine forza, in latino "vis, roboris", ovvero "violenza" in senso ascendente e profondo di "forza fondatrice, ordinatrice e formatrice di civiltà", un sinonimo di "violenza" in senso nichilistico e distruttivo o comunque parente di "ingiustizia e oppressione"), ma anche in quella, ancora più grave in quanto non implicante neppure dalla controparte l'accettazione di una concezione virile del mondo, fra "modo naturale di mirare, disiare e seguire la bellezza" e "mancanza di rispetto per la dignità della donna", fra insomma "desiderio poligamo" e "colpa, difetto", quando non "reato e crimine". Ghiaccia continuamente il sangue è l’apprendere, da vari fatti di cronaca giudiziaria e mondana, di poter risultare vittime della vendetta femminile non solo in seguito a chissà quale malefatta compiuta, non solo per un tradimento (è comprensibile, anche se non giustificabile, che chi si senta tradito dalla persona amate cerchi ogni mezzo, foss’anche l’uso strumentale e falso della violenza di legge, per vendicarsi: peccato che quando siano gli uomini ad adoperare mezzi illeciti come la violenza diretta non vi sia alcuna comprensione per i motivi, ma solo condanna di genere per “la violenza maschile”), ma addirittura per il solo fatto di essere mossi da desiderio poligamo, vale a dire per il solo fatto di essere uomini (e di non reprimere la propria natura intima, vera e profonda). Tali donne "vendicatrici" (come ad esempio le false accusatrici di Assange o la cameriera di Strauss-Kahn e le di lei seguaci mentitrici propagandiste), sono a loro volta vittime della demagogia femminista (di origine americana, ed evidentissima nella cultura "del genere"), la quale, nel suo tentativo di far sentire in colpa gli uomini “per natura”, in ogni momento della loro vita quotidiana, a prescindere dalle effettive azioni e idee dei singoli (nemmeno la propaganda di Gobbels era riuscita a far sentire in colpa gli “indesiderati” in maniera così capillare, a ricordar loro la loro “inadeguatezza” in ogn momento e in ogni intimità), ogniqualvolta desiderano, ogniqualvolta mirano, ogniqualvolta provano ingenuo trasporto per la bellezza non appena questa si manifesta ai sensi nelle lunghe chiome, del claro viso, nello slancio della figura, nelle membra statuarie, nelle forme rotonde dei seni, nella piattezza del ventre, nelle perfette e (a volte) lunghissime gambe modellate, nella pelle liscia ed abbronzata e nell'altre grazie che, come direbbe Dante, “è bello tacere”, è riuscita a convincere la quasi totalità della popolazione femminile ad identificare l’espressione poligama del naturale disio di bellezza e piacere dei sensi e delle idee con la “cultura maschilista” o “retrograda” (come se i desideri di natura potessero variare per contratto sociale o decisione ed educazione dei singoli!). Non sta scritto da nessuna parte che il cercare di godere della bellezza nella vastità multiforme delle creature femminili implichi necessariamente vedere tutte queste a priori come meri oggetti (e non solo come persone oggetto di desiderio secondo natura e soggetto di possibile scelta sentimentale o anche solo ludica) o addirittura come bambole da manipolare e cui mancare di rispetto (come non esistesse la possibilità di accordi chiari e consensuali per trovare sempre un compromesso fra le esigenze di entrambi). Casomai sono il comportamento perfido e l’ideologia menzognera di molte di esse, in occidente, a spingere anche i più pacifici e rispettosi fra gli uomini a trattare con azioni e parole certe donne per come si meritano (ovvero replicando con crudeltà e falsità alle loro perfidie sessuali e alle loro bugie morali). Mancanza di rispetto è invece, con vestimenti (svestimenti), movenze, parole (dette o non dette), o comunque atteggiamenti, sguardi, comportamenti volutamente ambigui, il suscitare, per capriccio, moda, vanità, interesse economico-sentimentale (aumento del potere contrattuale su tutto il genere, o sull’uomo voluto, tramite il negarsi), gratuito sfoggio di preminenza erotica o addirittura sadico diletto (dell’attrarre chi si vuole solo respingere, del sollevare nel sogno chi si vuol far solo cadere nel disprezzo, dell’illudere chi si vuol solo deridere e far sentire nullità innanzi a colei che da tutti tutto può avere, del suscitare disio solo per compiacersi della sua negazione e di come questa, resa massimamente beffarda, umiliante e dolorosa possibile per la psiche e a volte pure il corpo del malcapitato, possa far provare le pene dell’inferno della negazione dopo le promesse del paradiso della concessione) disio in uomini che non si ha alcuna intenzione di conoscere per un eventuale rapporto (sia esso basato sul divertimento o sul sentimento) o anche solo per verificarne l’eccellenza nelle doti volute (ed eventualmente godersele in un flirt dalle possibilità aperte), ma solo di trattare come freddi specchi su cui testare l’avvenenza o come pezzi di legno innanzi a cui permettersi di tutto (qualsiasi provocazione più o meno sessuata, qualsiasi irrisione al disio, qualsiasi ferimento intimo, qualsiasi tensione emotiva, qualsiasi dolore di corpo e di psiche, qualsiasi umiliazione pubblica o privata, qualsiasi inflizione di senso di nullità momentaneo, inappagamento fisico e mentale fino all’ossessione, disagio da sessuale ad esistenziale). Purtroppo tutto questo (che genera sofferenza emotiva sul momento ed alla lunga produce mali come l’anoressia sessuale, il precoce bisogno di prostitute, l’incapacità di sorridere alla vita e al sesso e di approcciarsi a quello opposto senza vedervi potenziale fonte di ferimenti, inganni, perfidie e tirannie, o addirittura il suicidio o comunque l’assenza di interesse per la vita e speranze di felicità) è chiamato “diritto della donna” e chi lo contesta come “violenza psicologica sugli uomini” è detto a scelta “maschilista”, “retrogrado” o “giustificatore della violenza” o, nel migliore dei casi, trattato come un bambino troppo patetico e sensibile. Ecco per che, sia detto per inciso e per l'ultima volta, non possiamo sentirci a nostro agio con l'emotività in questo mondo: perchè quando siamo noi stessi di ciò veniamo incolpati (perchè la cultura femminista non riconosce il maschile nemmeno nel suo disio poligammo come parte della natura, ma come costruzione arbitraria di una cultura oppressiva, secondo ovviamente il punto di vista malato, antivitale, perfido e anacronistico delle femministe). < \br> E innanzi alle nostre sofferenze per la natura che ci viene o negata o repressa o comunque derisa, ferita e umiliata da modi, costrizioni e irrisioni femminil-femministe, che si fa? Si cerca di costruirci attorno un mondo più vivibile (come sempre si pretende di fare per le donne anche laddove esse non hanno partecipato nè con il genio nè con il sacrificio all'edificazione?. No: si pretende di "rieducare" la nostra natura (per loro solo cultura) fin dall'infanzia. Neanche Hitler arrivava a tanto con i propri nemici. Lui, almeno, si contentava di eliminarli. Non pretendeva di farli vivere da apolidi, nell'infelicità e nell'inappagamento e nella frustrazione sempiterna della loro natura dando poi ad essi stessi la colpa delle loro stesse sofferenze e dei loro stessi disagi!


l) Perchè non possiamo, non dobbiamo, non vogliamo, diventare "uomini nuovi"

Ecco che si arriva alle parola d'ordine di ogni mito egalitario e progressista: “uomo nuovo”. E si pretende che io mi sforzi di diventarlo, sacrificando persino la mia felicità e i miei interessi (i quali consisterebbero nel restare da solo o coi genitori, e nel giocare con la serietà del fanciullo ai giochi che più mi appagano e nel rimanere libero per ogni divertimento ed ogni godimento poligamo della bellezza), per conformarmi a quanto voluto dalle donne moderne e dalla società di oggi. Ma non si può pretendere che io mi sacrifichi per qualcosa in cui non credo, in cui non posso identificarmi e in cui vedo la negazione della mia natura, come una società appiattita sui valori femmineo-pacifistici dell'egalitarismo introdotto nella morale dal cristianesimo e poi fattosi storia con le varie rivoluzioni giacobine, socialiste e femministe. Per me tutto questo è segno di decadenza, come mi mostra la storia. Questo esaltare la pace e le donne è tipico di chi sa concepire il vivere solo come mera conservazione senza altro scopo da quel pacifico e tranquillo benessere materiale e morale da bestiame bovino voluto in ogni tempo dalla plebe, dalle femmine e dalle vacche. Se fossimo rimasti a questa visione femmineo-pacifistica saremmo rimasti fuori dalla storia, prigionieri della specie, o comunque appiattiti al tutto indifferenziato delle società matriarcali senza classi (incapaci di ordinare il chaos in kosmos, di conoscere valori, bellezze e significati superiori all'illusoria felicità individuale ed alla patetica fuga dal dolore e quindi di fare degli strumenti della tecnica strumenti per un nuovo paradigma). Se invece siamo passati dalla preistoria alla storia, se in essa abbiamo conosciuto il nobile, il bello, il grande e l'eroico, quali ce li mostrano l'Iliade, l'Eneide, i poemi persiani o la Baghavad Gita, se siamo passati dalle caverne ai palazzi risorgimentali, dalle pitture rupestri al cenacolo, dai suoni gutturali alle liriche immortali, dagli oggetti di pietra alle meraviglie tecnologiche, dal dover cercare cibo e riparo a poter produrre abbondanzae sicurezza, dall'essere determinati e dominati dall'ambiente al poter decidere di esso, di sè, della propria stessa natura e del proprio destino,è stato grazie a quei popoli indoeuropei fondatori di città e civiltà e ai loro valori virili e aristocratici,comportanti la concezione della vita non quale conservazione di sè e ripetizione di forme di vita sempre uguali, bensì quale continuo superamento con il conseguente ordinamento gerarchico in grado di porre in alto il tipo umano in ciò più eccellente (guerrieri e sapienti). Ora, dopo il compimento di quasi duemila anni di sovversione egalitaria, siamo a un bivio: da una parte, l'ultimo uomo che ha inventato la felicità, l'uguaglianza, i diritti umani, e (conforme alla credenza sulla natura lineare del tempo consustanziale al giudeocristianesimo e sulla hegeliana "necessità storica") sogna di far terminare la storia in un verde pascolo in cui tutti sono felici (e uguali) poichè non succede più nulla, dall'altra parte il superuomo che vuole provocare una frattura nel tempo della storia e rigenerare quest'ultima, conformemente ad una visione sferica del tempo (in cui il più antico mito è meta e modello per il futuro). Superfluo rimarcare come nel primo caso l'umanità ricadrebbe prigioniera della specie, ovvero di una vita quale mera ripetizione di forme sempre uguali (in particolare forme eudemoniche e demoliberali), perdendo la qualità peculiare (che l'ha contraddistinta nei tempi storici))di poter continuamente modificare la propria stessa natura, non cristallizzandone una ma riprendendo di volta in volta dagli altri animali l'uno o l'altro aspetto secondo la propria volontà e le proprie necessità, mentre nel secondo compirebbe un salto di livello qualitativo paragonabile a quello fra uomo naturale e uomo storico (ecco il terzo uomo). In tale caso non possono non essere meta e modello per il futuro i valori fondamentali (etico-spirituali) della Grecia omerica, di Roma, della Persia iranica, dell'India dei veda, della Germania sacra e imperiale e di tutte quelle "genti eroiche" capaci di compiere imprese esprimenti forza, coraggio e splendore più che umani e tali da fondare città e civiltà, di generare opere di grandezza, potenza e durata degne degli dei e tali da costituire il mito fondativo di intere epoche, di concepire nell'arte come nella religione, nella politica come nella storia, nel pensiero come nella società, strutture mirabili nate per misurare i millenni e non essere raggiunte dai contemporanei nè superate dai posteri. Perchè dovrei arrendermi nella sfera etico-spirituale? Perchè dovrei accettare come fonte del valore e come definizione di bene quanto proposto da chi, per odio e invidia verso ciò che era in alto e tendeva verso l'alto (come dimostrano le fasi ascendenti della storia e della civiltà segnate dal principio solare e apollineo della Grecia, di Roma, dell'India dei Veda, della Persia degli Arii), ha distrutto ciò in cui avrei potuto identificarmi? Perchè dovrei accettare la resta totale alla sovversione? Come nei riguardi della sovversione cristiana dei valori Nietzsche continua a rivendicare come bene quanto è sinonimo di forza, guerra, rischio, coraggio, aristocrazia, selezione, vita ascendente, disinteresse per l'eudemonia e malora per i malriusciti, contro ogni spirito dei tempi, così anche rispetto a questa sovversione femminea (che del cristianesimo e dell'egalitarismo è proseguimento) io continuo ad affermare come bene e come fonte di valore e diritto quanto è virile e aristocratico in senso eminente, contro ogni tendenza egalitaria di ieri e di oggi (certo che il domani apparterrà a noi anti-moderni e anti-umanisti, costi quello che costi in termini di "felicità individuale" e "dolore umano"). Per me la fonte del valore rimane spirituale e ascendente come nel mondo virile e aristocratico dei grandi popoli indoeuropei fondatori di città e ciivltà, rispetto a cui femminismo e giudeo-cristianesimo sono chiari elementi di decadenza storica, estetica, morale e psicologica. Resa impossibile, con la sconfitta militare del fronte anti-egalitario nell'ultima guerra mondiale, una resistenza propriamente armata, e, con le persecuzioni economiche, sociali e giudiziarie verso chi non si allinea alla versione ufficiale della storia e della morale, pure la resistenza ideologico-culturale, l'unica forma possibile di resistenza è quella esistenziale. Se rimango fanciullo rimango, in ogni senso, intoccabile da parte del mondo moderno. Il mio rifiuto a "maturare" è la testimonianza della fedeltà al mondo della tradizione contrapposto a quello moderno. Nietzsche impazzì perchè diventare folli era il modo migliore per restare sani in un mondo che aveva ormai sovvertito ogni valore. Io ri-divento fanciullo perchè restare immaturi è l'unico modo per maturare in un mondo che ha ucciso ogni senso anagogico dell'essere uomini. Un mondo quale quello moderno, totalmente effeminato nei valori, materialisticamente egalitario, individualisticamente eudemonico, volto all'utile e al tempo, incapace di definire altro che crimine o follia ogni tentativo di ordinare l'umano secondo i criteri del sacro e dell'eterno, abituato a chiamare favola ogni slancio (fuori dall'io) al nobile, al bello, al grande e all'eroico (quali pure sono eternamente mostrati dall'Eneide, dall'Iliade, dalla Baghavad Gita, dai Poemi Persiani) e pazzia ogni rifiuto dell'illusoria felicità individuale e della patetica fuga dal dolore, inetto a concepire diversamente da una mostruosità un ordinamento sociale volto non ad interessi materiali (ridotti al rango di mezzi) ma al superamento dell'umano (secondo le vie di azione e non azione) e a porre in alto il tipo umano più eccellente in tale superamento (guerrieri e sapienti), disabituato a concepire come vera vita quella spirituale ed ascendente data dal padre (contro quella corporale e conservativa semplicemente materna) non merita uomini. Rifiutandomi di divenire "uomo" come lo pretenderebbe il mondo moderno, mantengo del fanciullo la (per i contemporanei, pericolosa) furia dionisiaca capace di creare e distruggere mondi, ovvero quanto servirà, una volta distrutto il mondo attuale, per generarne uno nuovo.

m) Sono inadatto al cambiamento?

Beh, se il cambiamento consiste nel togliermi per legge le armi con cui bilanciare quelle naturali altrui nell'agone della vita, allora sono inadatto come lo sarebbe un leone a cui vengano tolti gli artigli o un augello a cui vengano amputate l'ali. Mica si pretenderà che diventi un serpente che può strisciare e cambiare pelle. Mi manca il veleno.
Potrebbero vivere bene le donne se fossero gettate in un mondo di brutalità nel quale le loro armi non potessero consegure effetti, se chiunque potesse con una sovrabbondanza fisica e numerica di forze abusare di ciascuna di loro o renderle schiave? Si potrebbe in tal caso far loro una colpa dell'essere fisicamente più deboli? Si potrebbero risolvere i loro problemi semplicemente incitandole a "cambiare" e "adattarsi ai tempi"? Si potrebbe pretendere che in ciò facessero proprie non solo armi maschili che non hanno ma pure finalità esistenziali maschili?
In tale situazione simmetricamente ci troviamo noi oggi, come lungamente descritto nei primi due capitoli.
Posso cambiare armi e strategia, ma non finalità. Posso cambiare le mie idee, ma non i miei bisogni naturali, nè tantomeno la mia intima natura.
E soprattutto non posso vivere libero e felice senza le armi per compensare nell'agone della vita (con le strutture sociali e le conquiste individuali) quanto alle donne (in desiderabilità e potere) è dato dalla natura.
La donna gode già del privilegio di natura e quindi di cultura di essere universalmente mirata, amorosamente disiata e socialmente accettata da tutti e al primo sguardo di per sè, per la grazia, la leggiadria, la bellezza (quando non c'è vi supplisce l'illusione del desiderio), senza bisogno di mostrare obbligatoriamente altre doti, compiere forzatamente altre imprese o raggiungere per forza certe posizioni nella società (cui invece sono costretti i cavalieri, i quali senza ciò sono puro nulla, socialmente trasparenti e negletti dall'altro sesso).
In termini di potere ha già il modo proprio (notato persino da Rousseau) di influire sulle cose e sugli uomini, all'interno di quei ruoli ad essa propri per natura e non cancellabili nemmeno dalla più misogina delle società (madre, sorella, amante, o anche solo amica/confidente) o comunque in ogni rapporto umano non banale (in cui l'influenza della donna sull'uomo è molto maggiore di quella inversa), grazie al poter agire su quanto negli uomini vi è di più profondo e irrazionale.
Ricchezze e poteri sono i mezzi con cui l'uomo bilancia (in desiderabilità personale e influenza reale sul mondo) quanto alle donne è dato per natura dalle disparità di desideri nell'amore sessuale e da quelle psicologiche correlate alla predisposizione all'esser madri (e quindi a plasmare un'anima pur mo' nata, a intuire bisogni e desideri prima anche siano espressi, a prevedere nell'infante comportamenti sociali e tendenze naturali, a siglare per prima la pagina bianca dell'infanzia dell'uomo, a influenzare quanto poi sarà la sua intima personalità).
Non possono essere tolti da chi ne ha bisogno per compensare per essere dati a chi li può usare in aggiunta ad altre armi.
Sono disposto a combattere per impedire questo.
I limiti sono necessari per tutti se si vuole una forma. E una forma sana di civiltà e di vita si regge su un'armonia di equilibri e compensazioni.
Dobbiamo smettere di fare il gioco di chi, prima, ci ha convinti, con favole egalitarie e distorsioni moralistiche e anacronistiche della storia (consistenti nel valutare con i parametri eudemonici e individualisti di oggi le ragioni del mondo anagogico e comunitario di ieri, nel quale gli uomini non avevano affatto la libertà di fare di tutto, ma il dovere di sacrificarsi nel proprio ruolo, esattamente come le donne), a smantellare tutte quelle mirabili strutture (dell'arte come della religione, della politica come della storia, del pensiero come della società), edificate nei millenni dai più forti, dai più saggi, dai più geniali e dai più coraggiosi epigoni maschili (dei grandi popoli indoeuropei fondatori di città e civiltà grazie ai loro valori virili e aristocratici) proprio al fine di permettere agli uomini di compensare tutto quanto in desiderabilità e potere è dato alle donne per natura (dalle disparità di desideri e da quelle psicologiche correlate alla predisposizione all'esser madre) e poi, senza più limiti nè remore nè regole, fa uso delle proprie armi naturali per raggiungere (sempre dietro il paravento della "parità" formale) un'incontrastata preminenza nelle sfere più rilevanti davanti alla natura, alla discendenza e alla felicità individuale (aiutata in questo peraltro da leggi applicate a senso unico contro ogni etica, ogni natura e ogni diritto, come nel caso di aborto, divorzio e violenza sessuale).
Proprio perchè quanto dici sulla "debolezza maschile" (ma io preferisco chiamarla sensibilità alla bellezza ed ingenuità di disio, poichè da essa possono derivare, testimoni i poeti, le più raffinate squisitezze intellettuali e le più delicate soavità sentimentali) è in parte vero (e dalla situazione dell'amor naturale, in cui mentre l'istinto maschile è disiare in ogni creature femminina la bellezza con la rapidità del fulmine e l'intensità del tuono non appena essa appare ai sensi nelle grazie corporali, conformemente alla necessità di propagazione della specie, quello femmine è sentirsi in ogni dove belle e disiate per attirare quanti più maschi possibili, metterli alla prova e scegliere chi eccelle nelle doti volute, conformemente alla necessità di selezione della specie, è, continua per sublimazione ad essere la femmina a scegliere e decidere e il maschio a seguire e faticare per essere scelto anche in molto altro se non intervengono freni e compensazioni) tutte quelle mirabili strutture dell'arte come della religione, della politica come della storia, del pensiero come della società, che la demagogia femminista ha convinto oggi a smantellare in nome di una finta uguaglianza, e che i più forti e saggi fra gli uomini fondatori di città e civiltà avevano storicamente concepito, anagogicamente per misurare i millenni e non essere raggiunte dai contemporanei nè superate dai posteri, ed edemonicamente per avere la stessa libertà di scelta e la stessa forza contrattuale in quanto più conta innanzi alla natura, alla discendenza ed alla felicità individuale, non costituivano "oppressione della donna" ma "giusti e umani bilanciamenti per l'uomo libero e felice".
Proprio perchè la donna gode del privilegio di natura e quindi di cultura d'esser universalmente mirata, amorosamente disiata, socialmente accettata per quello che è - bella (quando la bellezza manca o è mediocre supplisce l'illusione del desiderio)
senza bisogno di dover mostrare altre doti o di compiere imprese particolari (cui sono invece costretti i cavalieri i quali senza esse restano puro nulla socialmente trasparente),
il fatto di non avere sempre il femminista 50 e 50 non dipende da discriminazioni (del genere: "non ti permetto di svolgere questo mestiere perchè sei una donna" o "anche se fai questo lavoro a parità di competenza e straordinari ti pago meno perchè sei nata femmina")
ma dal tentativo umano e disperato dell'uomo di compensare con lo studio, il lavoro, la fama, il successo, la ricchezza, la cultura, il potere, la fatica, il merito o la fortuna individuali tutto quanto (in desiderabilità e influenza sul mondo) alla donna è dato delle disparità di desideri nell'amore sessuale e da quelle psicologiche correlate alla predisposizione all'esser madre (se un uomo non raggiunge una certa posizione di preminenza o prestigio sociale resta negletto dalle donne, perchè non è in grado di rappresentare ai loro occhi "la miglior scelta", "il miglior padre per la futura prole", l'eccellenza nelle doti qualificanti la specie e per questo desiderabili simmetricamente alla bellezza femminile, e trasparente per la società, perchè non può nemmeno contare su quel modo di influire sulle cose e sugli uomini proprio della donna, agito, a prescindere da cultura e società nei ruoli comunque presenti di madre, moglie, sorella, amante, amica, confidente, per tramite di quanto negli uomini vi è di più profondo e irrazionale e notato persino da Rousseau)
Proprio perchè voglio vivere libero e felice, appagato sia nel bisogno naturale di godere della bellezza così come questa è diffusa nella vastità multiforme delle creature femminine sia in quello psicologico di poter scegliere liberamente le persone con cui scambiare emozioni e sentimenti, i modi in cui interpretare la realtà, gli stili secondo cui percorrere ogni aspetto dell'esistenza,
e non essere soggetto nè, in particolare, durante quel residio di medioevo indegno di un uomo libero chiamato corteggiamento, a perfidie sessuali, tirannie erotiche, avvelenamenti sentimentali o irrisioni al disio da parte della dama di turno,
nè tantomeno nella vita in generale, a sottoporre sistematicamente i miei gusti, le mie scelte, i miei stili di vita, i miei pensieri, i miei desiri, la mie emotività, il mio sentire, il mio vedere il mondo, al giudizio ultimo del capriccio estetico, sentimentale, morale o "filosofico" femminile,
e non accetto di sottopormi come tu vorresti a "castità e obbedienza" verso una sedicente dea che nè promette un'eterna vita (anzi, solo di rendere la vita presente
un susseguirsi di negazioni, dannazioni, condanne della mia più profonda e vera natura
di riduzione ad apolide
di impotenza sociale e individuale di ogni mio pensiero ed ogni mia azione
di dipendenza di ogni mio bene e di ogni mio male dai gusti del genere femminile e dai capricci della dama di turno
di irrisione di ogni mio puro e ingenuo trasporto sessuale, emotivo e sentimentale e
di frustrazione sempiterna d'ogni disio)
nè mi tratta da figlio (piuttosto da cagnolino, o addirittura da automa chè nessuna persona amante imprigiona d'amore l'altro perchè lo disprezza e lo considera inferiore e non perchè lo apprezza e lo considera tanto prezioso e pieno di doti delicate e rare da aver bisogni di restare in gabbia, per non dire da schiavo, chè nessuna madre eserciterebbe la propria autorità sul figlio non per cullarlo, proteggerlo, appagarlo nei sogni e nei bisogni, ma per irriderlo, umiliarlo, costringerlo, farlo patire nel corpo e nella psiche e privarlo di ciò di cui ha disio naturale),
mi rifiuto, fino a quando non potrò disporre di qualcosa di immediatamente apprezzabile ed oggettivamente valido al pari della bellezza, con cui essere mirato, disiato e accettato al primo sguardo e a prescindere da tutto il resto come le belle donne lo sono per le loro grazie corporali,
con cui bilanciare ogni eventuale rapporto (anche solo emotivo) in desiderabilità e potere (o anche solo renderne interessante agli occhi della donna l'eventualità, tanto da concedere l'occasione di un rapporto solus ad sola in cui POI rendere sensibili le eventuali doti di sentimento ed intelletto da lei volute ma d'apprezzamento soggettivo ed arbitrario)
di cui le donne sentano bisogno e brama di forza e rapidità pari o superiori a quelli del mio natural disio di cogliere in loro la bellezza e di goderne l'ebbrezza dei sensi e delle idee,
di avere il minimo contatto non commerciale con una donna non prostituta.
Se vogliamo infatti ragionare in termini profondi e reali, dobbiamo rilevare come la donna, in quanto soggetto disiato, goda del privilegio di natura (e quindi ANCHE di cultura) di essere dal mondo apprezzata, ammirata, disiata al primo sguardo in sé e per sé, per la sua grazia, la sua leggiadria, la sua essenza mondana (quando manca la bellezza, vi supplisce l'illusione del desiderio), senza bisogno di compiere imprese (cui sono invece costretti i cavalieri i quali senza esse restano purno nulla) o di mostrare necessariamente altre doti, poiché l'uomo la desidera primieramente per la bellezza. Al contrario, poiché la donna vuole selezionare fra i tanti che la desiderano colui che "eccelle", l'uomo è costretto a mostrare un certo valore, a faticare, a competere, a raggiungere una certa posizione socio-economica o anche culturale e di prestigio, giacché il concetto di "eccellenza", trasposto nel mondo umano, non ha valenza soltanto estetica, ma si ammanta di una sfaccettata serie di significati ed implica conseguentemente per l'uomo un'altrettanto variegata serie di "imprese da compiere".
Se non vi riesce, rimane un puro nulla e non solo non ha alcuna speranza d'esser degnato d'uno sguardo dalle donne, ma risulta completamente trasparente per tutta la società (giacché non può esercitare nel mondo quell'influenza indiretta sugli uomini e sulle cose per tramite di quanto in essi è di più profondo e irrazionale, quell'influsso sui pensieri e sulle azioni che per disparità di desideri ed inclinazioni sentimentali è proprio della donna).
Chi non riesce a raggiungere una certa posizione di preminenza o prestigio nella società o comunque a mostrare eccellenza in  doti immediatamente evidenti a tutti ed oggettivamente apprezzate dal mondo, non potrà mai star di paro a chi gode per natura e cultura del privilegio essere mirata dal mondo, apprezzata dalle genti, accettata dalla società e disiata da tutti al primo sguardo in sé e per sé, per la propria grazia, la propria bellezza, quando c'è (quando non c'è, come detto, supplisce comunque l'illusione del desiderio), la propria leggiadria, la propria essenza mondana dunque, senza bisogno di raggiugnere una preminenza economica o lavorativa o mostrare obbligatoriamente altre doti e compiere imprese particolari (come devon invece far i cavalieri, i quali senza esse sono puro nulla e non hanno né stima né accettazione sociale né interesse da parte del sesso opposto). Davanti alla bella donna resterà sempre e solo un "uomo episodico", uno specchio su cui provare l'avvenenza o un pezzo di legno innanzi a cui permettersi di tutto (qualsiasi provocazione sessuale o meno, qualsiasi tensione emotiva, qualsiasi irrisione al disio, qualsiasi umiliazione pubblica e privata, qualsiasi ferimento intimo, qualsiasi riduzione al nulla, qualsiasi inflizione di sofferenza del corpo o della psiche, di inappagamento fisico e mentale degenerante in ossessione, di disagio da sessuale ad esistenziale), un attore costretto a compiacere con recite da dongiovanni la vanagloria femminile o un giullare cui irridere nel disio, uno fra i tanti pronti a dare tutto in pensieri, parole e opere (per non dire dignità, recite, offerte materiali e morali e sopportazioni di patimenti e inappagamenti) in cambio della sola speranza, un cavalier servente pronto a tutto per un sorriso, un orante che miri dal basso verso l'alto chi in maniera imperscrutabile può decidere del suo paradiso e del suo inferno, un mendicante alla corte dei miracoli che attende di ricevere ciò di cui sente bisogno. La sua vita sarà sempre e solo un susseguirsi di tensioni psicologiche, sofferenze emotive, godimenti sperati e patimenti ottenuti, amori sospirati e inganni subiti, paradisi sognati e inferni vissuti, promesse implicite e negazioni esplicite, bellezze vagheggiate e speranze deluse, tirannie potenziali e reali, inappagamenti fisici e mentali, umiliazioni pubbliche e private, sofferenze costanti nel corpo e nella psiche, disagi d'ogni genere e sempiterne frustrazioni d'ogni disio.
E tutto questo non perchè le donne siano particolarmente "cattive" (ovvero più cattive di qualunque essere umano si trovi realmente nella condizione di poter infierire sull'altro o comunque di esercitare una forza contrattuale infinitamente superiore a quella subita), ma semplicemente perchè un uomo privo di posizione sociale, ricchezza, potere, cultura, fama, prestigio, successo non ha in un potenziale incontro (il quale, se amoroso, ha sempre qualcosa dello scontro) alcuna arma da contrapporre a quella della bellezza, alcun valore con cui bilanciare (in desiderabilità e potere) un eventuale rapporto (il quale è sempre un dare e avere), alcuna dote, al pari della bellezza oggettivamente valida e immediatamente apprezzabile, per essere mirato da tutti, disiato al primo sguardo e accettato dalla società così come le donne lo sono per le grazie corporali (con cui quindi bilanciare il rapporto di forza contrattuale).
Ne consegue che per la donna la carriera è una scelta, per un uomo un obbligo. Altrimenti è infelice, non può godere di ciò di cui ha bisogno per natura e, al di là dei casi fortuiti, della favole dell'anima gemella o delle apparenze di maniera, non ha né accettazione né stima del sesso opposto.
Tutto ciò che ne consegue ulteriormente, ovvero il fatto che tutti gli uomini debbano lavorare mentre le donne possono scegliere se "essere indipendenti" o "farsi mantenere" (diritto non solo strappato de facto in ogni unione con le ben note disparità di numeri e desideri nell'amore sessuale grazie a cui la donna può adottare il grado di di ricchezza dell'uomo come criterio di scelta almeno quanto per l'uomo lo è la bellezza, ma sancito pure dalla cassazione per cui il tenore di vita del matrimonio deve essere mantenuto anche a costo di costringere l'ex marito a dormire in macchina o a continuare a pagare gioielli e vestiti firmati), il fatto che gli uomini debbano disporsi a svolgere lavori stressanti o alienanti (vedi management, finanza ecc.) solo perchè ben pagati e conferenti primato sociale, mentre le donne possano scegliere l'attività per indole (ad esempio l'insegnamento), per comodità (ad esempio gli impieghi "polleggiati"), per il tempo da lasciare alla famiglia e ai figli (ad esempio il part time), il fatto che siano principalmente gli uomini a dovere, nella lotta per il potere e la ricchezza, a commettere delitti e finire in carcere (poichè, innanzi alla sicurezza di avere una vita sessualmente e socialmente apolide, ridotta ad un susseguirsi di illusioni, irrisioni, ferimenti intimi, umiliazioni pubbliche e private e frustrazioni sempiterne d'ogni disio molti preferiscono il rischio del delitto e della galera), il fatto la maggioranza di chi muore, o spende la vita in sacrificio e fatica, nel lavoro, nella pace come nelle guerre sia costituito da uomini e non da donne (fatto trascurato dalle stesse femministe che non aspettano di avere un 30 percento di morti femminili sul lavoro o nelle "missioni di pace" per richiedere un 30 percento nei CDA e nei parlamenti), non è, come vorrebbero far credere stupidità maschilista e propagande femminista, frutto di condizione debolezza della donna o di discriminazione contro di essa, bensì di una condizione di "forza contrattuale naturale" femminile e del tentativo maschile di bilanciare collettivamente (un tempo, con le mirabili strutture dell'arte come della religione, della politica come della storia, del pensiero come della società) e individualmente (ancora oggi, con lo studio, il lavoro, la posizione sociale, la cultura, il potere, la ricchezza, la fama, il successo, e quant'altro consegue al merito o alla fortuna individuali) tutto ciò che alle donne è dato in desiderabilità e potere, dalle disparità naturali nell'amore sessuale e nella riproduzione e da quelle psicologiche correlate alla predisposizione all'esser madri, affinchè anche l'uomo abbia la stessa libertà di scelta e la stessa forza contrattuale delle donne nella realtà della vita al di là delle apparenza sociali).
Solo stupidità maschilista e propaganda femminista possono chiamare condizione di debolezza e di oppressione tale umano ed equo tentativo di bilanciare in influenza sul mondo a apprezzamento sociale ed amoroso quanto dato alle donne dalla natura.
La donna parte da una posizione di forza. L'uomo deve industriarsi per bilanciarla. Come somma stupidità maschile e ingiustizia femminile, quando vi riesce il bilanciamento è fatto passare come prova della debolezza della donna (tesi maschilista) o della malvagità dell'uomo (tesi femminista), quando non vi riesce sarebbe conferma della stupidità del singolo uomo (maschilisti) o dell'intero genere maschile (femministe).
Ecco dove sta la nostra reale debolezza sociale: nel veder considerata debole la donna quando noi riusciamo, con fatica, merito o fortuna o caso, a compensarne la forza in desiderabilità e potere.
Non solum l'uomo, per bilanciare una condizioni di partenza che lo vedrebbe svantaggiato in quanto più importante davanti alla natura, alla discendenza e alla felicità individuale, deve rischiare, faticare o comunque impegnarsi e spendere fortune o meriti individuali, sed etiam il frutto stesso di tale bilanciamento (quando riesce) viene presentato come colpa, come "ulteriore prova" della sua "discriminazione contro le donne", come ulteriore conferma che "queste sono deboli/vittime e vanno protette/risarcite" (quando non riesce è propagandato semplicemente come "conferma della stupidità maschile" o trascurato perchè in esso si spenga ogni speranza di felicità residua per l'uomo, sino al suicidio o alla perdita di interesse per la vita).

n) La necessità della compensazione

La compensanzione di cui parlo è necessaria non solo perchè, nel caso peggiore, si potrebbe altrimenti essere vittime ad ogni tentativo di contatto con il mondo femminile di perfidie sessuali, inganni sentimentali e tirannie erotiche d'ogni genere, ma anche perchè se non si può offrire alla donna nulla di suo reale interesse, nulla di oggettivamente valido e immediatamente apprezzabile al pari della bellezza (perchè una bella donna dovrebbe infatti accontentarsi di quanto ha l'effimera consistenza delle parole e delle emozioni e il valore aleatorio e momentaneo di presunte doti soggettive senza effetto sul mondo?), nulla di cui ella senta lo stesso bisogno e lo stesso desiderio provato dall'uomo per la sua grazie corporali, non si può sperare di instaurare con lei alcun rapporto costruttivo (nè quello di un fugace e piacevole incontro nè quello di una vita assieme).
Ogni rapporto umano prevede un dare ed un avere e solo gli illusi e distruttori sono convinti del contrario.
Nel mondo capitalista, persa (intendo come dote conferente primato o prestigio sociali) la virtù guerriera del mondo antico e quella poetica del mondo cavalleresco medievale, il mezzo preferito per tale compensazione è ovviamente il denaro, se non altro perchè, qualunque cosa se ne pensi e qualunque sia la propria posizione di accettazione/ostilità verso la società moderna e mercantile, rappresenta attualmente l'unico valore intersoggettivamente valido e immediatamente apprezzabile al pari della bellezza, con il quale essere dunque universalmente mirate, amorosamente disiati e socialmente accettati come le donne lo sono senza sforzo per le loro grazie corporali (le doti strettamente personali e sentimentali , che si mostrano solo con il tempo dato al corteggiamento, al dialogo e all'introspezione reciproca degli animi, non compensano nulla , perchè in un rapporto già esistente sono possedute anche dalla donna , mentre in un rapporto non ancora esistente non hanno il potere di attrarre chi invece possiede doti oggettive ed evidenti a proporre o accettare un incontro non banale, ed essendo di apprezzamento arbitrario, non universale e non immediatamente evidente , non danno mai potere contrattuale , giacchè, mentre con la bellezza una donna sa di poter trovare in qualunque momento altri pretendenti, un uomo, con le sue soli particolari doti di sentimento o intelletto, può trovare un'altra amante solo sperando di incontrare un'altra donna predisposta ad apprezzare proprio quelle doti e di avere l'occasione per disvelarle con calma e spontaneità, lontano dal caos dei fugaci incontri moderni e dalla tensione da esame degli appuntamenti "mirati", in modo da essere in esse apprezzato per il meglio di sè).
Poichè tutto quanto in desiderabilità e influenza sul mondo è necessario e sufficiente per vivere liberi e felici, per poter scegliere liberamente e consapevolmente nelle sfere più rilevanti di fronte alla felicità individuale e alla discendenza, per poter avere forza contrattuale in quanto dà senso all'esistenza di un'anima, alle donne è dato per natura dalle disparità di desideri nell'amore sessuale (a lei favorevoli e da lei sfruttate in ogni modo, tempo e luogo senza limiti, né remore né regole, soprattutto nel ruolo di amante e soprattutto di amata) e da quelle psicologiche correlate alla predisposizione all'esser madre (e dunque al plasmare un'anima come si fa coi fanciulli pur mo' nati, all'intuire in anticipo i desideri e i bisogni, a parlare senza parole e a intendere senza mostrarlo, a vedere quanto alla coscienza altrui è ancora oscuro, a leggere dentro senza esser letta), in virtù della quale l'influenza della donna o sull'uomo, esercitata tramita quanto in lui vi è di più profondo e irrazionale, è molto maggiore di quella inversa (tanto all'interno di quei ruoli ad essi propri per natura e impossibili da cancellare da parte anche della più misogina delle società, quanto in qualsiasi altro rapporto umano),
mentre agli uomini può derivare solo dalla conquista di una posizione di primato o prestigio sociale, o comunque dal poter mostrare eccellenza nelle doti riconosciute intersoggettivamente dalla cultura come qualificanti,
porre limiti all'affermazione sociale degli uomini, creare difficoltà materiali (vedi azioni positive) o psicologiche (vedi demagogia antimaschile dai banchi di scuola allo stile pubblicitarip) all'emergere di una gran parte di essi o negare addirittura valore a tutto quanto più o meno diffusamente viene ritenuto proprio del maschile, proporre come migliore un mondo, un pensiero, un valutare tutto al femminile
equivale a privare gli uomini della libertà sociale e sessuale, a togliere loro ogni possibilità di scelta in quanto davvero conta nella vita (non intendo tanto lo "scopare" quanto il "sentirsi apprezzati"),
a renderli totalmente apolidi, trasparenti per il mondo e negletti dalle donne,
potenzialmente tiranneggiati (tramite i bisogni più intimi e da lì in tutto)
e sicuramente infelici e inappagati (esistenzialmente prima che sessualmente),
fino a far preferire loro la morte al sopravvivere in una condizione di negazione continua dei propri bisogni e della propria natura, di irrisione profonda della parte più vera e ingenua di sè, di umiliazione costante nel sesso ed oltre e di frustrazione sempiterna d'ogni disio.
Che la donna sia oggetto di disio non appena fa sensibile le sue grazie è voluto non dall'uomo, non dalla società, ma dalla natura onnipossente.
L'uomo può solo tentare di bilanciare socialmente con lo studio, il lavoro, la cultura, il denaro, il potere, la fama, il successo, il merito o la fortuna individuali quanto alle donne in desiderabilità amorosa e influenza reale sul mondo è dato dalle disparità di desideri nell'amore sessuale e da quelle psicologiche correlata alla predisposizione all'esser madre (a partire dal privilegi di essere universalmente mirate, amorosamente disiate e socialmente accettate di per sè, per la grazia, la leggiadria, la bellezza - quando non c'è supplisce l'illusione del disio, senza bisogno di compiere particolari imprese o mostrare per forza doti implicanti fatiche, cui sono invece costretti i cavalieri i quali senza esser restano puro nulla), in modo da avere anch'egli la stessa probabilità di sentirsi apprezzato, la stessa possibilità di scelta e la stessa forza contrattuale in quanto davvero più conta innanzi alla natura, alla discendenza, all'autostima ed alla felicità individuale (altrimenti rimane negletto dall'altro sesso e trasparente per la società e la sua vita diviene un susseguirsi di inganni, irrisioni, offese nell'intimo, riduzioni al nulla esistenziale e frustrazione sempiterne d'ogni disio).
Quindi alla fine è anche un discorso contro gli uomini.
Proprio non riesci a capire che ciò di cui tu ti lamenti è l'effetto non di una discriminazione ma di un privilegio? Del tentativo dell'uomo di compensare con lo studio, il lavoro, la fatica, l'impegno, la posizione sociale, la cultura, la ricchezza, il potere, il merito o la fortuna individuali quanto in desiderabilità reale e influenza sul mondo è dato alle donne dalle disparità di desideri e da quelle psicologiche correlate alla predisposizione all'esser madri?
Non riesci a capire che se noi uomini avessimo i vostri privilegi naturali eviteremmo volentieri di cercare per forza un lavoro stressante solo perchè ben retribuito, di sacrificare la vita alla carriera, di finire morti di lavoro (fra le statistiche che tu citi manca furbescamente quella della prevalenza maschile nelle morti sul lavoro) o in galera per aver tentato di raggiungere quella posizione senza al quale rimaniamo negletti dalle donne e socialmente trasparenti?
Non è la società ad essere sessista: la natura lo è. La società, se amante di quanto possiamo chiamare "equo vivere", può semplicemente tentare di compensare le disparità naturali, o, meglio, dare agli individui la libertà di compensarle.
E' quello che ha sempre fatto il mondo umano prima dell'avvento del femminismo.
Oggi come ieri la donna ha sempre privilegio di natura d'essere apprezzata, ammirata e desiderata in sé per la bellezza (e, quando non vi è, comunque per l'illusione data dal desiderio). Per naturale compensazione l’uomo ha sempre potuto proporre altre doti per essere simmetricamente apprezzato, a seconda del mondo. Il mondo eroico ed omerico aveva la virtù guerriera, il mondo cavalleresco e cristiano la cultura, il pensiero, le belle arti, la conoscenza, il cor gentile, il mondo capitalista ha il denaro. Forse un futuro (utopico) proporrà finalmente il puro spirito. Il mondo attuale, intanto, con tutti i suoi difetti, ha il denaro. Avrà tutti i difetti ma almeno permette all'uomo di compensare la disparità di desideri (non necessariamente sessuali) e inclinazioni sentimentali con la donna. Non è assurdo. E' invece assurdo un mondo che programmaticamente voglia eliminare le differenze.
E' ipocrita poi un mondo che chiama svantaggio il privilegio e chiama discriminazione una scelta (dettata da diversi desideri di natura).
Se vige la morale pseudo-cavalleresca, per cui sia per cultura sia per legge è sancito che l'uomo debba mantenere la donna (se questa non ha voglia di lavorare o di cercare un lavoro in grado di farle guadagnare quanto desidera), se anche per un semplice rapporto "free" l'uomo deve dare infinite cose in pensieri, parole, opere, fatiche, dignità (quando deve recitare da cavalier servente) e soprattutto doni e regali e inviti a cena, se una donna può ottenere (economicamente e sentimentalmente, oppure in moneta di vanagloria e autostima) tutto senza dare nulla più che un sorriso, se viene accettata, disiata o comunque socialmente apprezzata in ogni dove di per sè, in quanto "soave fanciulla", per la sua grazia, la sua leggiadria ed ogni altra dote attribuitale per natura e cultura (addirittura anche quando, come accade spesso, manca la vera bellezza) perché mai una donna dovrebbe faticare per arrivare a guadagnare tassativamente una certa cifra (come ha l'obbligo l'uomo per non essere un nulla) o raggiungere una certa posizione di prestigio socio-economico (quella indispensabile invece all'uomo per essere ammirato e potersi circondare delle donne che desidera) dato che già per natura piovono su di lei privilegi principeschi (in relazione all'uomo), complimenti, desiderabilità e ammirazione, o comunque accettazione, sociale e per natura le viene dato tutto?
Sarebbe molto stupida se non ne approfittasse, facendosi per quanto possibile mantenere o, se ama il lavoro, scegliendo una professione per puro gusto e non per soldi (ed è per questo e solo per questo che le donne svolgono mestieri meno remunerati ma non per questo meno appaganti in sé).
Se deve sempre essere l'uomo a "spendere" (sia materialmente, sia idealmente) per la sola speranza di conquista, deve esistere per lui ALMENO LA POSSIBILITA' di guadagnare di più, altrimenti dove trarrebbe le risorse per la "rincorsa"? O per voi è naturale che l'uomo viva perennemente infelice e inappagato?
La donna, per privilegio sia di natura sia di galanteria, ha la possibilità, nella sfera dell'AUTOSTIMA (erotica ed affettiva), di essere ammirata, disiata ed apprezzata al primo sguardo e, in quella del POTERE (personale e sociale) di influenzare l'agire e il pensare degli uomini (e quindi la storia), SENZA BISOGNO di faticare, compiere "imprese" o mostrare eccellenza in doti particolari (come i cavalieri che se non le dimostrano non sono né disiati né ammirati) o di raggiungere una posizione di preminenza sociale ed economica (come invece gli uomini che senza di essa non contano nulla).
E tutto questo vale per natura, poiché è il maschio ad essere indotto dalla natura ad onta di perigli e fatiche a seguire la femmina nel più fitto dei boschi e chissà dove, non viceversa.
Tale disparità DEVE essere compensata in un modo o nell'altro dall'ordine sociale. Il denaro è un mezzo (o il mezzo attuale).
Se le persone sono lasciate libere tale "riequilibrio" avviene senza discriminazioni, non per effetto di divieti o svantaggi alle donne, ma per conseguenza di libere scelte diverse dettate da bisogni diversi, inclinazioni diverse e doti naturali differenti. E' se si pretende di eliminare a posteriori tale riequilibrio che si compie azione ingiuste e discriminatoria in quanto un'uguaglianza imposta penalizzerebbe gli uomini DATO CHE il non avere il femminista 50 e 50 non deriva da discriminazione contro le donne ma dal fatto che esse (per privilegio naturale e culturale) hanno meno bisogno di certe posizioni e di certe carriere (per essere felici o anche solo socialmente accettate e amorosamente disiate) e quindi non vi spendono tanto tempo ed energia come sono invece obbligati a fare gli uomini: conseguentemente correggere a posteriori per avere il politicamente corretto 50 e 50 sarebbe come, per il puro gusto di "pareggiare", rallentare a metà di una competizione chi ha corso e faticato di più perché aveva più necessità di arrivare prima.
Se davvero si realizzassero i propositi del ministero delle pari opportunità la situazione sarebbe totalmente a svantaggio dell'uomo, e non certo pari o giusta.
Il desiderio è dispari.
La donna gode di un privilegio nella sfera, diciamo, erotico-sentimentale, che le deriva direttamente dalla natura. Tale posizione di privilegio (o, se vogliamo, di preminenza) diffonde i propri effetti, direttamente o indirettamente (e in maniera assolutamente indipendente dall'organizzazione sociale, la quale non può, anche volendo, vincere la natura in questo), in ogni aspetto della vita dato che, come mostra Freud, tutto ciò che desideriamo o vogliamo, consciamente o meno, deriva dal profondo degli impulsi sessuali. Di ciò non si può non tenere conto parlando di "parità", sempre che si abbia come fine una parità effettuale o, meglio, una uguale possibilità di ogni individuo di cercare la via per essere felice, o meno infelice possibile, secondo i propri personalissimi ed ingiudicabili parametri. In caso contrario significa o che si è troppo stupidi per capire la sostanza del problema oltrepassando l'apparenza o troppo perfide e false per ammettere di avere un vantaggio (molto più influente della superiore forza fisica maschile) il quale DEVE essere compensato da una società che voglia essere non dico giusta, ma almeno FUNZIONANTE (solo quanto è bilanciato, come lo è stato il mondo della tradizione, può funzionare a lungo). La terza via significa semplicemente ritenere accettabile la crudeltà della natura solo perché in questo caso va (o sembra andare) a vantaggio della donna, sottendere che l'uomo debba sempre essere tiranneggiato o reso profondamente degno del riso da questa e definire arbitrariamente la disparità naturale come "giustizia naturale" (ragionamento tipico delle ecofemministe: e sarebbe interessante la loro reazione a chi sostenesse giusto per l'uomo approfittare della brutalità fisica e delle forze naturali di coesione , ossia del branco, per schiavizzare le donne, perché è il discorso simmetrico a questo quello sostenuto da certe ecofemministe e da certe donne).
Rousseau credeva ingenuamente tale influenza delle donne (esercitata per mezzo di ciò che nell'uomo è di più profondo e di più irrazionale) un fatto positivo in quanto naturale, ma Leopardi e Schopenhauer hanno ampiamente dimostrato come alla natura poco importi dell'infelicità o della felicità dei singoli individui.
La felicità è un concetto speculativo e infinitamente soggettivo nelle sue possibilità (o, per i pessimisti, illusorio nella sua impossibilità), e non è raggiunto con il puro soddisfacimento del corpo, ma è oggettivamente riscontrabile che laddove non possono essere pienamente appagati i bisogni naturali (fra cui, per l'uomo, quelli di bellezza e di piacere, dei sensi come delle idee), l'essere vivente dotato di autocoscienza è inevitabilmente infelice.
Per questo è disumano non voler concedere all'uomo di poter compensare la situazione svantaggiata di partenza o lamentarsi delle conseguenze macroscopiche di ciò (vedi statistiche sui redditi), ovvero di come a volte l'uomo (non tutti sono imbecilli come sembra) vi riesca con le proprie forze (lavorando e guadagnando di più, sacrificandosi di più nella carriera perché non ha altra scelta).
Se una donna può avere la bellezza per essere apprezzata, ammirata, disiata al primo sguardo, un uomo deve poter acquisire altre doti parimenti oggettive e immediatamente apprezzabili per essere allo stesso modo ammirato e disiato e "pareggiare il rapporto" con la bella donna.
Se ella possiede la bellezza, di cui, sensitivamente e intellettivamente, l'uomo ha naturale ed intimo bisogno e verso cui è mosso da profondo e immortale disio, egli deve possedere e poter offrire a lei altre doti di cui la donna ha pari bisogno e brama e verso le quali è mossa a desiderio con ugual forza.
Ogni rapporto umano, fra uomo e uomo o fra uomo e donna, è fatto di dare ed avere (non necessariamente e banalmente in senso economico, ovviamente). Solo gli stolti possono credere il contrario e confidare nella gratuità (la quale non esiste neppure nel sentimento).
I rapporti fra uomo e donna nel regno dei cieli non mi interessano. Io parlo di quanto accade sulla terra. E' raro si incontrino San Francesco e Santa Chiara e poiché l'uomo deve poter godere realmente, di quando in quando, delle bellezze che abitano la terra, deve anche possedere quelle doti in grado di allettare e realisticamente disporre a concedersi le donne vere prima delle sante.
Se non possiede tali doti non ha nulla di concreto da offrire alla donna e da lei disiato e gradito, per cui non potrà sorgere alcun rapporto costruttivo con lei. E l'uomo con ogni probabilità sarà infelice e inappagato sia sensitivamente sia intellettivamente, oltre che mai apprezzato, con conseguenze sia distruttive sia autodistruttive.
Possibile che donne lauerate e intelligenti non capiscano queste semplici verità?
Sono gli spermatozoi che devono correre all'ovulo, non viceversa. Non possono essere "rallentati" per "parità". E sono gli animali maschi che devono lottare, inseguire e raggiungere e conquistare l'animale femmina che sta ferma e non ha obblighi. E per correre, inseguire, competere, serve la benzina, la forza, la fiducia. E la benzina, la forza, la fiducia, in un mondo capitalista, risiedono nelle possibilità economiche. Stupido negarlo. E negare dunque che la situazione attuale non sia frutto di una discriminazione, ma del tentativo disperato degli uomini di compensare il naturale privilegio delle donne significa essere ciniche e bare. Oltre che FALSE!