venerdì 2 marzo 2018

DALLE TRAGEDIE DI CORINTO E DELL'ANTICA GRECIA A QUELLE DELL'ODIERNA LATINA E DELL'ITALIA FEMMINISTA



Cercherò di dare una spiegazione differente da quella proposta dai media mainstream occidentali e dal Telefono Rosa ai noti fatti di Latina, dove un appuntato dei Carabinieri ha sparato alla moglie e ucciso le figlie prima di suicidarsi.
 
Non esistono mai spiegazioni razionali per una tragedia, ma cogliere le pulsioni profonde che spingono gli esseri umani all’irrazionalità e alla distruzione può aiutare a comprendere il mondo in cui si vive, dietro i veli di Maya della sua auto-rappresentazione.

Per vendicarsi del tradimento e della fuga di Giasone, per scappare con il quale aveva sacrificato tutto di se stessa (patria, famiglia, fratello), Medea decide di uccidere i figli avuti da lui. “O dio, o giustizia cara al dio, o luce del sole”, intona, con voce ferma e terribile, l’eroina tragica nella memorabile trasposizione cinematografica che ne fece Pier Paolo Pasolini. Rinnegando ogni promessa ed ogni amore, il fedifrago, dopo aver sfruttato l’aiuto di Medea per sconfiggere il padre di lei, al momento di tornare in Grecia non considera più la “barbara” come una possibile moglie e sceglie di abbandonarla, alla pari di uno strumento non più utile, quasi una umanità di “serie b”. Merita quindi, agli occhi terribili ma giusti del dio, la più crudele delle punizioni. Non è un caso che Medea fosse sacerdotessa di Apollo, il dio che, in altra occasione (la difesa di Oreste dal matricidio) aveva sentenziato “il padre è il vero genitore”.
Il prevalere dell’odio contro il marito rispetto all’amore verso i figli si giustifica dunque in questo: i figli, nel mondo Greco, sono visti come proprietà del padre. Ne consegue che, volendo nuocere massimamente all’uomo, volendo rendergli il resto della vita un unicum di rimpianti e sofferenza, sia “naturale” per Medea, nella lucida follia propria dell’eroina tragica, uccidere quelle stesse creature che ha messo alla luce.
Il fatto che in ben più di un’occasione il mondo contemporaneo veda verificarsi la situazione esattamente opposta, con i mariti traditi o abbandonati che per vendicarsi delle ex-mogli uccidono i figli avuti in comune, dovrebbe far riflettere le banditrici del femminismo sul fatto che, forse, la cosiddetta “lotta al patriarcato” o, volendo essere più pragmatici, l’interpretazione a senso unico femminil-femminista delle leggi sul matrimonio, sul divorzio, sull’affidamento, si sia spinta troppo in là, al punto da far apparire “naturale”, nella lucida follia di un uomo senza più speme, vendicarsi della moglie attraverso i figli in maniera uguale e contraria a quella di Medea.
Forse lo sciagurato carabiniere, membro di un corpo preso di mira dalle barzellette per gli strafalcioni culturali, non ha mai nemmeno letto la tragedia di Euripide, ma sicuramente, vivendo in questa società occidentale dove, dietro i piagnistei femminei e le leggi femministe pseudo-egalitarie, si cela la prepotenza ancestrale del matriarcato, deve aver percepito nel profondo del proprio animo l’identificazione dei figli come bene principale della madre piuttosto che del padre.

Accentuare dunque la deriva femministico-matriarcale di leggi e costumi non potrà che aggravare la situazione.

La solita femminista "anti-violenza" del telefono rosa parlava iersera per radio di "realtà italiana ancora ancorata a pregiudizi del patriarcato" e raccontava della "legge maritale". Come se con le leggi di uno due secoli fa si potessero spiegare i fatti di oggi meglio che con le leggi attuali (che come mostrerò, sino femministe e matriarcali, non il contrario).
 
Forse è lei che resta ancorata a pregiudizi del secolo scorso. Mi scuso della mia ignoranza, ma non avevo mai sentito parlare di legge maritale (“anche per firmare un semplice assegno serviva il consenso del marito”) prima che la tirasse fuori lei (sono però abbastanza abituato a dover replicare alle accuse storiche, anzi, anacronistiche, del femminismo verso gli uomini che “hanno sempre tentato di opprimere le donne” per poter dire: “parliamo sempre di un mondo in cui, nelle classi popolari, né marito né moglie sapevano cosa fossero assegni o conti in banca, e nelle classi agiate, le “dame” non avevano bisogno di firmare alcun assegno potendo chiedere i più costosi regali ad ognuno dei loro trecentosessantacinque amici/ammiratori/amanti giornalieri dietro la testa cornuta del marito”).

Io (come quello sventurato carabiniere) sono nato, cresciuto nel secolo femminista e sono stato abituati fin da piccino ad avere le bambine come compagne della mia stessa istruzione, le maestre come autorità da ascoltare e le donne in genere come degne di qualunque professione liberale, mentre l’immaginario fanciullesco era costellato di cartoni animati dove eroine, avventuriere o studentesse di materie tecnologiche (memorabili quelle di “jane e le ologram”) stavano di paro alle loro controparti maschili.
La mitologia egalitaria ha iniziato a mostrare crepe nel suo velo di inganno non per intromissioni di “residui patriarcali”, ma per il contatto con la realtà.
E’ stato uscendo dal mondo dei cartoni animati che ho scoperto come, ad esempio, quelle le ragazze-ormai-donne pronte a reclamare parità nei moderni diritti fossero le stesse a pretendere eterno mantenimento degli antichi (naturali?) privilegi, ad esempio nel corteggiamento, dove

  • viene lasciato volentieri a noi l’ingrato "dovere" di farsi sempre e comunque avanti per primo, con le difficoltà non solo soggettive a vincere la naturale timidezza, ma pure oggettive a dover agire "alla cieca" (senza poter conoscere in anticipo quali tempi, modi e scelte d'azione possano avere gradimento e quindi successo - come si fosse in guerra con l'ordine di attaccare senza conoscer forze e intenzioni del "nemico" -  privi pure - come si fosse ad una partita a poker impari in cui una delle due parti conosce le proprie e le altrui carte, mentre l'altra deve giocare, appunto, "alla cieca" - della possibilità di sapere se si possiedono o meno quelle particolari doti, di atteggiamento o di aspetto, di sentimento o intelletto, pretese dalla controparte per un rapporto, e non apprezzabili nel primo incontro, e, quindi, investiti dall'ingrato dovere di procurarsi un'occasione per renderle sensibili dalla fanciulla da cui si è attratti, la quale invece, nel momento stesso in cui è approcciata, ha perfetta conoscenza di come e quanto è, intensamente, subitaneamente ed a prescindere da tutto il resto, apprezzata, desiderata, voluta, se non altro per la propria bellezza), il rischio di esser guardato con sospetto e fatto sentire uno fra i tanti (un banale scocciatore, un uomo "privo di qualità" o un pezzo di legno davanti a cui permettersi di tutto, uno specchio su cui testare l'avvenenza, o un "molestatore" di cui lamentarsi e su cui sfogare ogni rabbiosa reazione), o, anche quando (sempre più raramente) viene trattato con umanità, di sentirsi un mendicante senza speranza alla "corte dei miracoli" d'amore (non si può certo pretendere il "miracolo" di essere, fra milioni di uomini nel mondo e fra migliaia di pretendenti che ogni anno "insidiano" le "cortesi damigelle", proprio "l'anima gemella" della fanciulla incontrata per puro caso in quel giorno e dal cui “fascino arcano”, con fatale magnetismo, ci sentiamo attratti senza ancora conoscere nulla di lei, come il cavaliere Renato Degrieux nell'aria di apertura della Manon Lescault) e con la sicurezza, quindi, di dover vivere continuamente un susseguirsi di illusione (senza l'idealizzazione non è possibile scegliere donna alcuna come "unica") e delusioni (per via, ancora prima che di una personale "inadeguatezza", di una "legge delle probabilità contrarie" comune a tutti) che, se sperimentata già in giovane età, può avere effetti devastanti sulla psiche e sull'autostima dei futuri uomini, e che nessuna donna (checché se ne dica), se non altro perché non è costretta né da natura né da cultura a farsi sistematicamente avanti per prima (con i relativi rischi e sacrifici e le conseguenti fatiche e sofferenze, degne di quelle campagne militari cui Ovidio paragonava la suddetta Ars) può dire di conoscere per prova diretta;
  • ci viene posta innanzi, ad ogni piè sospinto,  l'ambiguità del "forse che sì forse che no" degno di un contrasto "madonna-messere" di Ciullo d'Alcamo (in cui l'approcciata può giocare sull'indecisione propria e altrui a piacimento, per preciso interesse, diciamo, "economico-sentimentale", così come per gratuito sfoggio di preminenza erotica, per non dire sadico diletto, in cui c'è almeno il 50 percento di probabilità che i dinieghi, lungi dal significare un disinteresse della donna, denotino al contrario la volontà di mettere alla prova l'effettiva realtà ed intensità delle intenzioni dell'uomo, di indurlo a provare, riprovare con nuove sorprese e "rilanci", insistere e resistere a rifiuti finti e a perfidie vere, di vedere insomma quanto egli sia disposto ad offrire e soffrire, non solo per ottenere la "migliore offerta" da lui sotto ogni aspetto, ma per aumentare il proprio "valore" dinnanzi a tutti gli altri, non solo per immotivato "bullismo psichico" nei confronti di un particolare individuo, ma per bisogno di misurare la propria avvenenza o appagare la propria autostima, e in cui un errore in un senso può portare, da qualche anno, alla denuncia per stalking, e da secoli, all'ossessività folle di un Orlando furioso e alla disperata pazzia di un Torquato Tasso, ma un errore nell'altro porta a ricevere l'eterno disprezzo delle donne in quanto "indecisi", "pavidi nel corteggiamento", "pigri", "insicuri", "incapaci di osare"- e tutto quanto davvero potrebbe essere tratto dalla retorica bellicista di una borghesia che dal caldo del proprio comodo e sicuro salotto critichi i soldati al fronte costretti a combattere per essa - e alla conseguenza sistematica di dover confidare i propri "teneri sensi" e i "tristi e cari moti del cor" alle "vaghe stelle dell'Orsa);
  • veniamo condannati ad una “prostituzione psichica” nella quale, come la più sfortunata delle meretrici nella Londra vittoriana doveva fare delle sole grazie corporali con tutti gli i passanti siamo costretti - se vogliamo avere speranza giocando sui grandi numeri- a mettere sistematicamente in mostra quanto pensiamo sia più apprezzabile della nostra personalità, del nostro studio, del nostro lavoro, del nostro spirito, di ogni aspetto insomma della nostra vita materiale e psicologica, ad ogni occasione di incontro con l'altro sesso, ad offrire di tutto in pensieri, parole ed opere, per la sola speranza, a dare con probabilità uno per ricevere come funzione di variabile aleatoria, in cui, come in una corvée medievale, siamo tenuti a prestare, senza alcun diritto ad una "retribuzione", senza poter accampare diritti, né attendere ricompense di alcun genere, il meglio della nostra opera, non in un contratto libero e razionale in virtù del quale si otterrebbe una contropartita, ma nell'ambito di una "servitù" irrazionale e "feudale" cui siamo tenuti verso le "Donne" in quanto tali, come i vassalli lo erano verso i propri signori, in cui siamo a priori tenuti a "pagare", non solo e non tanto in denaro - comunque necessario secondo certe convenzioni sociali davvero ottocentesche, includenti cene, vacanze, weekend, regali e compagnia - quanto anche e soprattutto in tensioni psicologiche - quando si è comunque sotto esame davanti a colei la quale, posta sul piedistallo dalla naturale bellezza e dal nostro stesso disio, può scegliere in ogni momento se divertirsi con noi o contro di noi - recite - quando si dovrebbe fare la parte dei "gran fighi", dei "grandi uomini di successo" o dei "grandi conquistatori" per apparire desiderabili tramite l'evocazione di tante belle - e immaginarie - donne precedentemente disposte a concedersi a noi, per identificarci tacitamente con un "uomo che non deve chiedere mai" e che quindi deve per forza avere eccezionali qualità di corpo e spirito, per simularci simili a star hollywoodiane e lasciar credere di aggiungersi ad un "club esclusivo" in caso di concessione a noi - dignità - quando si dovrebbe agire da attori per compiacere la vanagloria delle donne recitando sentimentalmente il loro copione, o da giullari per farle divertire magari rendendo ridicoli noi stessi e lasciandoci poi irridere e illudere nel disio).

In termini concreti, per chiunque non voglia restare come Leopardi a “fare all’amore col telescopio”, si prospettano in sequenza

  1.  una matta e disperatissima "caccia" (saremmo i primi, credeteci, a rinunziare ben volentieri a questa "visione del corpo della donna come preda", ma l'effetto congiunto delle disparità naturali e della mente delle donne reali, per nulla intenzionata a rinunziarvi, rende il paragone venatorio il solo possibile), tanto virtuale, sui siti d'incontro (dove a qualunque creatura di sesso femminile basta una foto per ricevere 1000 “like”, una battuta per ricevere mille proposte amorose, e la sola presenza per essere al centro dell'attenzione di mille ragazzi, e dove quindi autostima, pretese e sadismo rischiano di raggiungere livelli astrali, con la conseguenza, per tutti gli avventori, di essere cestinati direttamente senza lettura e senza appello, di essere trattati come dei "punching-ball" erotico-sentimentali con allenarsi a fare battute per disprezzare e deridere e a trovare modi per scaricare la controparte umiliandola e facendola sentire un nulla, di essere "presi dallo scaffale" solo per essere irrisi con sarcasmo o illusi con leggerezza ovvero perfidia e poi gettati per una parola, una battuta, un dettaglio di personalità o addirittura senza un motivo), quanto "reale", in certi luoghi di barbari "divertimento" (ove si divertono realmente solo le ragazze, poiché, potendo volteggiare nell’aere mostrando le loro forme, godono, per gli stessi motivi di cui le femministe si lamentano a proposito del "corpo delle donne", del privilegio mentale di sentirsi mirate, disiate ed accettate da tutti, al primo sguardo e a prescindere da tutto per quello che sono - belle, ché quando manca la bellezza supplisce l'illusione del desiderio - nonché spesso anche di quello economico di entrare gratis -quindi sono già appagate nell'autostima senza bisogno di alcuna conoscenza e di alcun rapporto, mentre i ragazzi, i quali sarebbero invece costretti a compiere "cavalleresche imprese" per farsi notare, mostrare particolari virtù per farsi accettare e “fare comunque qualcosa per "star di paro" ed essere accettati socialmente, avrebbero bisogno, per sperare di essere parimenti mirati, disiati ed accettati per quelle doti di sentimento o intelletto in cui la particolare donna nata per apprezzarle potrebbe percepire il fascino di una bellezza non solo corporale, avrebbero bisogno, se non di modi e tempi da romanzo dannunziano, almeno di un minimo di silenzio per poter usare la parola, far sentire il tono della voce, far apprezzare la scelta dei vocaboli, se non ancora delle immagini, delle musiche e delle idee evocate da questi);
  2. una situazione di partenza decisamente impari, tanto quantitativamente (il numero di belle fanciulle disiabili e disponibili è necessariamente di diversi ordini di grandezza minore di quello di garzoncelli e uomini disianti e potenzialmente concorrenti, sia per disparità di desideri - mentre il maschile desidera l'altro sesso con la rapidità del fulmine e l'intensità del tuono per le grazie corporali, ed ogni altra dote, sebbene sicuramente necessaria per un rapporto duraturo, viene colta solo successivamente e comunque, senza il trasporto per la bellezza, non potrebbe da sola mantenere l'attrazione, il femminile in genere pretende mille altre virtù, non tutte fisiche, non tutte evidenti, non tutte oggettive, che moltiplicano il numero di uomini i quali potrebbero a priori concorrere - sia per disparità di comportamenti - mentre un uomo rimane continuamente disiante e bisognoso d'ebbrezza di sensi dall'adolescenza alla vecchiaia, una donna, a parte gli eventuali furori giovanili e le ancora più eventuali trasgressioni adulte, tende, passata la l’età nova, a cedere alla propria naturale monogamia)  quanto qualitativamente (poiché il bisogno di godere della bellezza non appena questa si fa sensibile nelle “grazie ch'è bello tacere” non è, in termini di frequenza, di intensità e di danni psichici in caso di inappagamento, paragonabile nei due sessi, per motivi ormonali prima che culturali e psicanalitici prima che socio-economici, e poiché la forza, la profondità e l'immediatezza con cui nell'uomo, a similitudine di una cascata che irrompe alla calura, di un fiore che sboccia, di un cielo stellato che splende e di quant'altro Lucrezio cantava nel “De Rerum Natura” a proposito della “voluptas cinetica” di Venere Genitrice, non ha corrispettivo nel "razionalismo sentimentale" con il quale una donna può comodamente indagare ogni aspetto fisico e psichico di un uomo, chiedersi cosa di sentimentale, di intellettuale, d’istintuale o di caratteriale le risulta più necessario o gradito e selezionare conseguentemente i pretendenti) e, di conseguenza, socialmente (poiché chiunque anche solo lontanamente assomigli ad una figura in grado di suscitare un sia pur minimo palpito di desiderio è subito circondata da uno stuolo di amici/ammiratori pronti a tutto per un sorriso, poiché anche le fanciulle di bellezza non certo "alta e nova" si possono permettere un comportamento decisamente "altezzoso", o comunque possono avanzare pretese da "miss mondo") con pochissime probabilità di successo;
  3. un approccio problematico (alle difficoltà psicologiche di cui si è parlato prima, a quelle numerico-probabilistiche cui si è accennato or ora, si vanno aggiungendo quelle legali, considerando che, "grazie" alle stesse femministe che difendente, qualunque atto, detto, parola, gesto, regalo o persino sguardo pur non avendo nulla in sé di violento o molesto possa essere considerato tale a posteriori dall'impredicibile e arbitrario “sentire” della donna);
  4. quella maschera di servitù imposta a tutti gli uomini verso tutte le donne chiamata galanteria (per la quale non solo fisicamente, ma pure psicologicamente - è il caso delle battute, delle immagini, degli atteggiamenti sociali definiti scorretti solo perché "offendono" la "soggettività" femminile, mentre tutto quanto lede la diversa ma non inesistente sensibilità maschile, da certe battute con poca comicità e molto disprezzo di genere a certi "diritti a (s)vestirci come ci pare" ovunque e comunque, fino a quanto più avanti definirò come "stronzaggine", viene visto come sciocchezza di cui ridere e per cui deridere o addirittura come prerogativa di cui vantarsi e per cui "lottare" - si dà la precedenza alla “dama”, la quale finisce così troppo spesso per sentire di potersi permettere di tutto senza dover affrontare le conseguenze, come una delle scimmie sacre del templio di Benhares), fior fiore, come diceva giustamente Schopenhauer della stupidità cristiano-germanica e mostruosità della società occidentale di cui tutto l'Oriente ride, come ne avrebbero riso i Greci;
  5. le "forche caudine", appunto, del corteggiamento (nelle quali la dama di turno, sfruttando le disparità di numeri, desideri, tempi e modi di cui ho discusso sopra, potrebbe permettersi qualunque irrisione al disio, qualunque umiliazione pubblica e privata, qualunque inflizione di dolore fisico e mentale, di senso di nullità, di inappagamento nel sesso e nella psiche con conseguenze variabili dalla cosiddetta “anoressia sessuale” al suicidio);

Insomma, quando si esce dall’età dei cartoni e si entra in quella della ragione, si capisce come la “naturale e giusta” uguaglianza fra i sessi nasconda invero una disparità di natura assai poco equa nei nostri confronti, che ci impedisce di avere davvero “pari opportunità” di scelta e di forza contrattuale in quanto davvero conta innanzi alla natura, alla discendenza ed alla felicità individuale.
Difatti, nella sfera dell’autostima, della desiderabilità, dell’accettazione sociale (ovvero in quanto MOTIVA gli esser umani a ricercare lavoro, denaro, posizione, al di là delle apparenti, necessariamente superficiali in quanto legate al mondo-come-rappresentazione, spiegazioni “socio-economiche”), la donna ha, per natura (e quindi ANCHE per cultura) il privilegio di ricevere il desiderio amoroso (o pre-amoroso) dei coetanei (e non), il sorriso degli astanti, l’accettazione di tutti, semplicemente per quello che è, per la sua grazia, la leggiadria, la bellezza (e laddove questa manca, supplisce l’illusione del desiderio), senza alcun obbligo sociale di “fare necessariamente qualcosa”, di competere con altri, di mostrare eccellenza in questa o quella dote più o meno pretesa o apprezzata, di primeggiare in certi ambiti per avere visibilità, di fare insomma “qualcosa” per non essere trasparente alla comunità e negletta dal sesso opposto.
E nella sfera del potere ha dalla propria, tramite quei ruoli naturali (madre, confidente, amante) che nemmeno la più misogina delle società potrebbe estirpare, la possibilità (già intravista da Rousseau) di influire sul mondo e sugli uomini tramite quanto in essi di più profondo e di irrazionale.
Sarà pure “naturale” l’uguaglianza (e già su questo si potrebbe filosoficamente discettare a partire magari da un Nietzsche sostenitore della selezione e dell’accrescimento della vita contro il “grande riflusso” rappresentato proprio dalla spiritualità “cristiana” e “femminea” della pace e dell’uguaglianza), ma, se l’ancor più naturale preminenza femminile in tali sfere non viene bilanciata da opportune e solide costruzioni sociali, dalla natura l’uomo avrà solo la sofferenza (simile a quella per fame) degli augelli cantanti l’amore disperato e irraggiungibile, l’invivibilità sessuale ed apolide degli elefanti (questi sapessero poetare, ci racconterebbero di pene peggiori di quelle dantesche, vissute continuamente nella continua frustrazione del disio per via del branco matriarcale e nella solitudine dopo la cacciata ad opera della matriarca), per non dire (un uomo saggio deve saper immaginare dove, nel caso peggiore, potrebbero portare  l’impossibilitati a bilanciare socialmente la preminenza femminile nei desideri di natura), la fine dei fuchi (costretti comunque a inseguire la regina per sperare di riprodursi, sono uccisi da essa dopo l’accoppiamento se vincono, o vengono lasciati morire di fame se perdono).
Quando cerchiamo di bilanciare, con lo studio, il lavoro, la posizione sociale, la ricchezza, la fama, il successo, la cultura, il potere, il denaro tutto quanto in desiderabilità e potere è dato alle donne dalle disparità di numeri e desideri nell'amore sessuale e da quelle psicologiche correlate alla predisposizione all'esser madri, ci troviamo d’innanzi a:
  • una scuola dell’obbligo nella quale la maggioranza del corpo docente è ormai femminile, il che non sarebbe un problema se femminili non fossero anche i valori insegnati (estremismo egalitario, pacifismo demagogico, mitologia democratico-tellurico-matriarcale degna del più palloso Tolstoj ed altre idee “moderne” per origine, fine e natura inconciliabili con quei valori virili e aristocratici propri dei grandi popoli indoeuropei fondatori di città e civiltà e costituenti il mondo etico-spirituale da cui emergono un Omero o un Virgilio i quali, quindi, ormai incompresi – anzi incomprensibili - non possono più muovere ad interesse ed entusiasmo l’animo dei giovani) e i metodi adottati (condanna dell’istinto competitivo e dell’esclusione per selezione e altre fisse montessoriane che rendono l’apprendimento quanto di più noioso e inutile possa apparire agli occhi del giovane maschio sano di mente e di istinto);
  • Un immaginario hollywoodiano (cui fatalmente ci si ispira al liceo)) nel quale i personaggi maschili sono troppo spesso raffigurati o come “molesti”, “bruti”, “violentatori” da punire nel modo più profondo, vasto e doloroso e umiliante possibile, dal calcio nelle palle all’omicidio, o come mezzi ritardati psichici resi ancor più ingenui dal desiderio, pezzi di legno davanti a cui permettersi di tutto, pupazzi da sollevare nell’illusione e gettare nella delusione, e in virtù del quale è un miracolo se un adolescente (nel periodi più delicato della propria formazione, quando non può ancora contare su poteri e ricchezze per bilanciare socialmente la bellezza che già fiorisce sulle coetanee) riesce a preservare quel grado di autostima minimo necessario alla sopravvivenza
  • Una cultura ufficiale dalla quale tutto quanto è, più o meno ragionevolmente, visto come “femminile”, è presentato quale “bello”, “buono”, “pacifico”, “moderno”, “evoluto”, “raffinato”, ”complesso”, mentre tutto ciò che viene più o meno fondatamente sentito come maschile viene visto quale “brutto”, “cattivo”, “violento”, “vecchio”, “primitivo”, “rozzo”, “semplice”, con il risultato che solo quell’esiguo numero di eletti dalla mente geniale, dall’intelletto finissimo, dalla cultura profonda e dalle conoscenze sconfinate in grado di immaginare e (ri)conoscere (nella storia e nella vita) una verità contraria a quella “mainstream” può ormai avere sufficiente autostima per emergere nello studio e nella professione;
  • Un mondo del lavoro funestato ormai da quote rose ed altre iniziative “culturali” con il fine di favorire le donne (e quindi, in un mondo a risorse limitate, penalizzare gli uomini) proprio nei mestieri, nelle posizioni, ed oggi pure negli sport, grazie ai quali gli uomini possono individualmente e meritocraticamente ottenere con lo studio, il lavoro, la dedizione, il sacrificio (e, necessariamente, la fortuna)  i mezzi per avere “pari opportunità” di scelta, di potere e di apprezzamento nella sfera erotico-sentimentale rispetto alle donne. NOTA [Se non vi è ovunque un 50 e 50 percento fra i sessi, non sempre è colpa di discriminazioni nascoste nel lavoro o rappresentate nello sport: certi mestieri richiedenti sacrifizi, rinunce e fatiche fin dallo studio universitario, e implicanti poi limitazioni di tempi e modi di vita sono probabilmente ricercati, perseguit e scelti dagli uomini con più frequenza e intensità non perché le donne siano meno capaci (versione maschilista) o perché ne siano scoraggiate/impedite (versione femminista), ma semplicemente perché sono principalmente gli uomini ad averne estrema necessità, pena vedere frustrati i propri sogni non solo e non tanto lavorativi ed economici, ma soprattutto psico-amorosi e vitali. Per le donne studiare, lavorare, fare carriera è una delle scelte possibili (anche se il femminismo fa finta sia l’unica), mentre per noi è un obbligo (giacchè senza “superlavoro” e “superguadagno” non potremmo mai godere stabilmente della presenza di “supergnocche”, o ricevere tutti i giorni un “super-apprezzamento” sociale, mentre le nostre controparti femminili, anche disoccupate o senza titolo di studio, potrebbero con le loro grazie, selezionare fra i trecentosessantacinque pretendenti giornalieri – non sono di meno, altrimenti non potrebbero lamentarsi delle molestie quotidiane - quello che per aspetto fisico, sentimento o intelletto o posizione sociale le attrae di più, e, comunque riceverebbero sorrisi e complimenti e benvenuti in ogni luogo di lavoro e divertimento, e potrebbero in ogni unione contare sulla forza “contrattuale” data dalle disparità dei bisogni psico-sessuali). Questa è la verità (naturale). Il resto è conseguenza (umana).]
La società, in generale, è sempre più invivibile per noi uomini per via delle leggi a senso unico su aborto, divorzio, molestie e cosiddette violenze sessuali.
  • Per sempre più vaste, vaghe e onnicomprensive leggi sulle cosiddette “molestie”, anche solo uno sguardo può, ex-post, diventare “molestia”, anche solo un complimento “offesa all’autostima della donna” ed un tentativo di corteggiamento “stalking”. Distingueranno pure le donne fra corteggiamento e molestia, fra approccio e importuno, ma se il discernimento è lasciato al giudizio arbitrario ed ex-post della presunta vittima, nessun uomo ragionevole farà mai neppure un tentativo. Non si può sapere in anticipo se un complimento, un aforisma, un atteggiamento fisico o psicologico, un invito, un verso, oppure soltanto uno sguardo sarà gradito o meno, se e come verrà interpretato come lusinghevole forma di interesse oppure verrà deprecata come volgarità, insulto a sfondo sessuale, disturbo della propria quotidianità. Lo stesso comportamento, lo stesso irrompere nel cammino altrui può risultare piacevole digressione dalla noia quotidiana (a prescindere dal fatto di voler o meno proseguire il flirt) ovvero fastidiosa scocciatura, a seconda della persona che più o meno esplicitamente con esso si propone in senso erotico-sentimentale. E chi è costretto ancora da (questi sì) stereotipi di genere a farsi avanti per primo non può, ahilui, sapere a priori se possieda o meno quelle specifiche qualità d’aspetto, d’intelletto, di sentimento o di posizione sociale richieste dalla controparte per essere minimamente preso in considerazione come qualcuno diverso da “uno fra i tanti”, da un “banale scocciatore”. E questo senza contare che, non esistendo altra “prova” dal soggettivo sentire riportato dalle parole della donna, anche chi non ha fatto o detto assolutamente nulla di “sessualmente” offensivo, o anche solo vagamente invitante ad un principio di seduzione, possa essere accusato e multato a capriccio. Se la definizione del confine fra lecito e illecito è lasciata alla arbitraria interpretazione e alla irriproducibile (e spesso inconoscibile) sensibilità della presunta vittima, come sarà possibile anche per chi non ha fatto nulla di male dichiararsi innocente? Se una donna dichiarerà di essersi sentita molestata, come farà l'uomo accusato a sostenere il contrario, non essendo nelle sue facoltà entrare nella psiche della controparte e mostrare che non vi è stata sensazione di molestia? Che la donna menta o meno, l'uomo potrà soltanto dire di non aver avuto intenzione di molestare e di non aver compiuto nulla di oggettivamente molesto. Se però l'oggettività del diritto è sostituita dalla soggettività femminile la condanna risulterà sistematica (poiché il reato verrà definito a posteriori e a capriccio della presunta vittima).Bella prospettiva per uno stato di diritto. Già che dobbiamo (nostro malgrado) sempre fare la prima mossa senza poter sapere a priori se il tentativo sarà gradito (e rischiando di essere trattati con malcelata sufficienza o addirittura con aperto disprezzo, quando non con una dose di violenza fisica e psicologica spettante piuttosto a veri e propri assalitori, se con immediatezza e sincerità, attraverso la parola, lo sguardo, il gesto, esprimiamo il disio spontaneo -o comunque l’apprezzamento subitaneo – per le lunghe chiome, il chiaro viso, la figura slanciata, le membra marmoree, la pelle liscia ed indorata come sabbia baciata dall’onda e dal sole, le braccia scolpite, le gambe lunghissime e modellate, le rotondità del petto, il ventre piatto e levigato e l’altre grazie che, come direbbe Dante, “è bello tacere”, o comunque di essere chiamati “molesti” se, dopo magari essere con fatica e buona volontà riusciti, nella speranza di compiacerle e di stabilire un contatto sia pur solo momentaneo ed emotivo con loro, già che dobbiamo farci avanti e continuare con complimenti formulati e inviti meditati, senza poterci arrendere ai primi dinieghi (pena l’eterno disprezzo delle donne per i “pavidi nel corteggiamento”), già che dobbiamo (per pretesa loro) insistere, resistere ai dinieghi (da esse una buona metà delle volte appositamente posti come prova, dal significato del tutto opposto ad un invito ad andarsene), inventare nuovi modi, nuove proposte, offrire e soffrire sempre di più (per permetter loro di verificare il nostro interesse, accrescere il nostro disio, valutare con calma l’eventuale presenza in noi delle doti da voi volute, pregustarle se presenti o irriderle se assenti, indugiare in tale condizione di preminenza psicosessuale), già che dobbiamo (per disparità naturali) sottostare alla condizione psicologicamente critica di chi è costretto a fare qualcosa (o comunque ad essere “sotto esame”) innanzi a chi invece è già mirata, disiate e accettata per quello che è (bella, quando non vi è la bellezza supplisce l’illusione del desio) e può già rilassarsi e scegliere se divertirsi con noi o su di noi, dando con ciò la possibilità alla dama di turno di usarci (per capriccio, moda, vanità, interesse economico-sentimentale, gratuito sfoggio di preminenza erotica, patologico bisogno di autostima o sadico diletto) come freddi specchi su cui testare l’avvenenza, pezzi di legno innanzi a cui permettersi di tutto, come giullari del cui disio irridere, come attori condannati alla parte dei dongiovanni per compiacere la vanagloria femminile, come cavalier serventi costretti a dare tutto in pensieri, parole ed opere per la sola speranza, come mendicanti d’amore alla corte dei miracoli indotti, nell’attesa della sportula a guardare e implorare dal basso verso l’alto colei dal cui gesto dipendono il paradiso e l’inferno, o addirittura come pupazzi da scegliere fra tanti, sollevare per gioco nell’illusione (fingendo apprezzamento) e gettare poi con il massimo del disprezzo, dell’umiliazione e del dolore, punching-ball insomma per gli allenamenti delle stronze, ci viene pure detto che se anche in buona fede sbagliamo l’approccio (o la non immediata interpretazione delle intenzioni femminee nel corteggiamento) dobbiamo essere multati se non indoviniamo il complimento preteso o perseguiti come “stalker” se  interpretiamo nel senso sbagliato il reale messaggio dei dinieghi o dei forse della donna (l’errore nel senso opposto, prendere per no veri quelli finti, condanna da sempre al monologo sotto le vaghe stelle dell’Orsa)? Se proseguirà questa deriva di leggi e costumi circa la cosiddetta “molestia sessuale” e il cosiddetto “stalking”, nessun uomo dabbene mai più corteggerà. Come si fa infatti a sapere a priori se un complimento, un atto, uno sguardo fugace, un atteggiamento continuato sarà considerato molesto o meno? Nel dubbio un uomo savio non farà assolutamente nulla. Un indeciso non tenterà. Un timido non insisterà. Non ci si lamenti allora se gli uomini non vogliono più corteggiare: ora alla naturale timidezza, alla razionale considerazione di non convenienza (nel dare tutto in pensieri, parole e opere per ricevere come funzione di variabile aleatoria), all'emotiva ritrosia a doversi sentire "sotto esame", al rifiuto psicologico a trovarsi nella condizione del cavalier servente pronto a tutto per un sorriso e potenzialmente vittima d'ogni tirannia, umiliazione e inganno, si aggiunge pure il pericolo di essere multati e la consapevolezza di venire trattati (sia pure per ora solo amministrativamente) con la violenza psicologica e l'odio spettanti semmai a veri violentatori, o comunque di venire considerati "molesti" per il fatto stesso di aver espresso (senza alcuna intenzione violenta o molesta) il proprio disio di natura (e quindi di essere condannati o all'eterno disprezzo dall'altro sesso o ad un continuo nascondimento di sé), anche quando non si sono usate parole volgari o offensive (non lo sono né "dio ti benedica", né "come sei bella", utilizzate come esempio di “motivi per essere mitragliata da una giustiziera in gonnella” in un demagogico videogioco “antimolestie” di qualche anno fa). Magari certe multe (come certe smitragliate) resteranno pure virtuali, ma l'uccisione della spontaneità nei maschi è ormai reale. Anche senza denunce reali e sventagliate di mitra virtuali, quanto ferisce profondamente e fa perdere per il futuro la capacità di sorridere alla vita e al sesso o comunque di esprimere con spontaneità la gioia del (principio di) disio amoroso e di approcciarsi alle ragazze senza vedervi sorgente di perfidia, inganno o tirannia è il fatto stesso di sentire contro di sé (proprio da parte di chi si sta immediatamente, irresistibilmente e profondamente apprezzando, ingenuamente e soavemente mirando, probabilmente amorosamente disiando), disprezzo, rabbia, addirittura odio proprio mentre si apprezza sinceramente (con la parola, lo sguardo, o il gesto), ci si abbandona ingenuamente al disio (senza alcuna intenzione ostile o violenta) e si è mossi almeno da un principio di attrazione amorosa (la quale, almeno per l'uomo, sorge sempre dalla vista, come direbbe Cavalcanti, il più nobile dei sensi: "chi è questa che vien c'ognom la mira, che fa tremar di chiaritate l'aure, e mena seco amor sì che parlare null'omo pote ma ciascun sospira"). E quel disprezzo, quella rabbia e quell'odio non son virtuali, sono il motore di queste leggi e del movimento “me too” che le ha ispirate”. Come si può pretendere che un uomo addirittura corteggi, quando anche solo la prima naturale espressione (più o meno raffinata, più o meno poetica, più o meno esplicita a seconda delle inclinazioni, degli stili e delle conoscenze di ciascuno) del suo desiderio per le grazie femminili può essere ad esclusivo arbitrio della presunta vittima reputata un’infrazione alla legge? Questo porterà ad una uccisione sul nascere della spontaneità di ogni uomo (soprattutto se giovane) in ogni rapporto con le donne e un conseguente progressivo allontanamento di ogni uomo dotato d'intelletto dal genere femminile. Sarà anche vero che la maggioranza delle donne non denuncerà un ammiratore per un complimento osè, e si limiterà a segnalare i casi davvero molesti, ma se si supponessero tutte le persone buone e giuste non servirebbe neppure la legge. Quanto rende questa leggi abominevoli è il fatto di permettere a quel sottoinsieme di donne false e perfide di denunciare chicchessia per capriccio, vendetta arbitraria, ricatto, interesse o gratuito sfoggio di preminenza erotico-sociale (nel poter far finire nei guai un uomo con l'arma dell'attrazione sessuale e nell'esser creduta a priori mentre l'altra parte è tenuta a tacere e se parla reputata indegna d'ascolto e degna solo o del riso o del disprezzo). Non sto dicendo che le donne siano tutte perfide e sadiche, sto solo esprimendo il mio sdegno per una giurisprudenza tale da permettere a chi lo sia di infierire massimamente sul primo uomo incontrato per strada. Sarebbe come una giurisprudenza che permettesse agli stupratori di infierire sulle vittime (le donne se ne lamenterebbero anche senza considerare tutti gli uomini stupratori).
  • Per la legge sulla “violenza sessuale” la parola di una donna (se credibile), vale di fatto come prova (tanto che si finisce in galera immediatamente in attesa di indagini più accurate, come accaduto al ragazzo di bologna prosciolto dopo due anni di domiciliari quando finalmente le indagini difensive trovarono testimoni in favore, del processo, come accaduto a diversi ragazzi accusati di violenza su discotecare varie, o addirittura dell'appello, come accaduto a dua cagliaritani accusati di stupro di gruppo pur in assenza di ogni prova della violenza sessuale sul corpo della ragazza), mentre quella di un uomo, per valere, ha bisogno di schiaccianti evidenze in favore (i due romeni della cafferella sono restati in carcere persino dopo che il dna li aveva scagionati, per "il quadro inquisitorio comunque pesante", il che vuol dire "per l'accusa della vittima"). Addirittura negli usa (verso cui però anche l'europa si sta muovendo) anche solo chiedere all'accusatrice di fornire descrizioni dettagliate e dimostrabili dei fatti, riscontri oggettivi della presunta violenza, prove certe, oggettivamente valutabili e razionalmente quantificabili dell'effettiva gravità e realtà del danno ricevuto (il quale solo giustifica, in uno stato di diritto, una grave condanna) è considerato "seconda violenza" (esattamente come nel processo inquisitorio secondo la caricatura anticlericale, nel quale il mettere in dubbio l'accusa, tanto da parte dell'imputato quanto da parte del suo difensore, costituiva di per sè prova di colpevolezza o comunque aggravante del reato ipotizzato), quando al contrario è soltanto mettendo in dubbio entrambe le versioni e cercando senza pregiudizi riscontri nei fatti all'una o all'altra è possibile stabilire la verità. Mike Tyson non ha potuto far valere il fatto che l'accusatrice aveva falsamente accusato un altro. Koby Brian ha dovuto dimostrare la consensualità del rapporto (quando di norma dovrebbe essere l'accusa a dover provare la non-consensualità, non essendo il rapporto reato in sè ma solo se dovuto a minaccia o costrizione). Parlanti è in carcere senza prove. Ecco, questa è la "presunzione di innocenza" americana. chiunque può andare in galera a tempo determinato per la sola parola di una donna senza riscontri oggettivi. E l'uguaglianza è questa: qualsiasi accusa anche solo minimamente afferente al sesso diviene nell'inconscio collettivo di giudici, poliziotti e media identificata con la colpa più grave immaginabile, anche quando nulla ha a che fare con quanto ogni mondo civile ha in ogni tempo definito e punito come stupro. Ecco che così non esiste più non solo una presunzione di innocenza, ma nemmeno, per i colpevoli, una pena proporzionata all'effettiva ed oggettiva gravità della colpa. Qualsiasi minimo o presunto ferimento alla soggettiva sensibilità femminile nella sfera sessuale è considerato crimine massimo da punire nella miniera più ampia, dolorosa e umiliante possibile (e senza possibilità di normale difesa), mentre ferimenti anche più gravi alla diversa e non già inesistente sensibilità maschile vengono passati come trascurabile banalità, divertente normalità o addirittura diritto della donna. Toccare un sedere costa anni di carcere, mentre "toccare" in maniera molto più dolorosa, frustrante, e provocante ferimento emotivo, irrisione profonda, umiliazione pubblica e privata, sofferenza fisica e mentale, disagio da sessuale ad esistenziale il corpo o la psiche maschili (facendo ad esempi ripetutamente le stronze nella maniera che ho definito mille volte e che tutti, interessate comprese, sanno per vera) è addirittura divenuto stile pubblciitario o hollywoodiano. Cercare disperatamente di ristabilire un contatto con chi, nonostante tutto, è ancora la madre dei suoi figli, può costare al marito una condanna decennale, mentre ridurre la sua vita quella di un esule ottocentesco privato di casa, famiglia, roba, beni materiali e morali, figli, interesse per la vita e residue speranze di felicità non costa nulla alla ex-moglie (anzi fa guadagnare molto). Cercare di ottenere un rapporto sessuale in una maniera per la quale la demagogia femminista ha anche solo un minimo dubbio di consensualità (uso di alcool, corteggiamento insistente, promesse di favori lavorativi, atteggiamento da conquistatore ecc.) è considerato tanto grave da giustificare almeno dieci anni di carcere (anche quando i presunti danni alla presunta vittima, quando esistono, spariscono dopo la prima tinozza d'acqua bollente o vengono dimenticati dopo un congruo risarcimento) e provocare intenzionalmente ad un uomo danni ben più gravi e ben più certi (violenze fisiche e mentali nella sfera sessuale, come ballbusting pretestuoso o la stronzaggine del suscitare ad arte il disio e poi compiacersi della sua negazione e di come essa, resa massimamente dolorosa, umiliante e beffarda possibile da una studiata perfidia e da una premeditata e sperimentata tecnica, possa far patire all'uomo le pene fisiche e mentali dell'inferno della privazione dopo le promesse del paradiso della concessione, farlo sentire una nullità, ferirlo emotivamente, renderlo ridicolo davanti a sé e agli altri, umiliarlo in pubblico e in privato, provocargli irrisione al disio, sofferenza fisica e mentale, inappagamento fino all'ossessione e disagio da sessuale ad esistenziale, o addirittura, e i casi famosi non sono mancati, mutilazioni, devastazioni del corpo o della psiche tali da impedire di vivere ancora felicemente il sesso, come comunemente avviene ogni sera alle vittime delle tante stronzette da discoteca, spoliazioni di ogni ricchezza materiale e sentimentale, legalizzata come divorzio e mantenimento, confisca dei beni e privazione dei figli con qualche denuncia enfatizzata ad arte, distruzione con metodi femminili della famiglia e di ogni affetto privato e di ogni rispettabilità sociale, addirittura omicidi) vengono trattati come follie momentanee da curare con qualche mese di clinica. E anche in Europa si sta introducendo questa porcheria per la quale (alla faccia dell'uguaglianza) un uomo può finire in galera solo sulla parola dell'accusatrice senza riscontri oggettivi (mentre ovviamente non vale il contrario, e non solo perché la disparità di desideri è tale che sono sempre e solo gli uomini a doversi far avanti e quindi a rischiare accuse di violenza, ma anche perché, quando la violenza è femminile, come nel caso di accuse false di stupro che producono nella vittima, sottoposta da innocente a carcere, gogna mediatica, distruzione affettiva del mondo e pericoli di violenze fisiche e psicologiche di ogni genere quali ritorsioni, un trauma comparabile a quello di una vera vittima di stupro). E nessuno se ne lamenta. Basta dunque essere ritenuti credibili e saper raccontare storie credibili per far finire in galera qualsiasi uomo senza prove? Ma non è pazzesco e indegno pure del medio-evo? Come si può tollerare una cosa del genere in uno stato di diritto? Come si può concedere a tutte le donne su tutti gli uomini un potere di distruzione arbitraria della vita quale avevano i re, i principi e le polizie segrete nei momenti più bui della storia? Nessuno che osi dubitare (come ogni ricerca della verità pretende) sulla veridicità a priori delle accuse? Vi sono mille motivi per accusare falsamente: capriccio, vendetta arbitraria, ricatto, interesse economico-legale o gratuito sfoggio di preminenza nell'esser credute a priori e considerate unica fonte di verità e sensibilità umana mentre l'altra campana è tenuta a tacere o reputata degna del riso o del disprezzo. E anche se non ve ne fossero, deve sempre spettare all'accusa provare la sussistenza di un reato, non alla difesa dimostrarne la non esistenza (del resto, come insegna l'epistemologia di Popper, di quanto esiste è sempre possibile in linea di massima provare l'esistenza, mentre di quanto non esiste non sempre è possibile provare la non-esistenza). Non è necessario pensar male delle donne in particolare. Anche le persone più irreprensibili possono, in ogni ambito della vita, voler accusare falsamente qualcuno di un certo reato per i più reconditi e inspiegabili motivi, specie se rischiano poco o nulla (rispetto all'accusato) e sanno di essere credute gettando una presunzione di colpa sull'accusato. Più si toglie la presunzione di innocenza, più si incoraggia fra le persone la tentazione e il costume di togliere di mezzo gli "indesiderati" tramite la delazione (come nei regimi totalitari). Per questo in tutti gli altri reati, prima di chiedersi perché l'accusa dovrebbe mentire, ci si chiede se esistono prove del fatto denunciato. Non si può basare un'azione penale soltanto sulla parola di chi accusa, per quanto credibile possa apparire nel presente o essere stata in passato. Perché poi la credibilità della parola di una donna vale e quella di chi si deve difendere da lei no, anche se magari in passato è stato sempre credibile come e più di lei? Allora vi è disparità giuridica! Le "dame" sono trattate da aristocratiche con il diritto di definire i confini fra lecito e illecito e far valere la propria parola come prova anche di quanto non avvenuto. In uno stato di diritto non solo la parola di tutti deve avere uguale valore, ma è preferibile un colpevole fuori che un innocente dentro, quindi in dubio pro reo. 
  • Per la legge sull'aborto una donna ha non solo la possibilità di disconoscere ed abbandonare un neonato senza alcuna conseguenza legale, ma anche il diritto di decidere ad arbitrio (strano per un mondo dominato dal culto dell'individui autodeterminati uguali per nascita e dalla religione dei diritti umani e dei diritti dei più deboli) sulla vita e la morte del nascituro, mentre l'uomo ha il dovere sia di riconoscere e mantenere figli che non voleva (a volte neanche suoi), sia di accettare che un figlio voluto sia soppresso dalla compagna.
  • Per la legge sul divorzio, la donna ottiene sistematicamente la casa, i figli, metà o più delle sostanze del marito e soprattutto il diritto a scegliere se lavorare se ne ha voglia, se lo ritiene vantaggioso, se trova un impiego che la appaghi materialment e moralmente o farsi mantenere a vita dall'ex-marito in caso contrario (e anche qualora questo non ne abbia più la possibilità economica, come dimostrano i separati costretti a dormire in macchina, a fare gli straordinari o a divenire barboni, folli o omicidi nel tentativo di sostenere "alimenti" impossibili), mentre l'uomo ha il dovere di accettare il rischio di fare la fine di un esule ottocentesco (privato di casa, famiglia, roba, affetti e di ogni possibile speranza futura di felicità), di continuare a mantenere chi non sta più con lui (e magari si è messa con un altro con cui potrebbe benissimo vivere senza aiuti dall'ex) quando non di finire in galera per stupro coniugale, violenza domestica o stalking a causa di accuse false, infondate, distorte o esagerate ad arte e comunque usate a fini meramente strumentali per metterlo in condizioni di debolezza contrattuale nella causa di divorzio. Che una donna debba mantenere un uomo non accade mai, poichè, anche senza le disuguaglianze legali de facto, esistono quelle naturali di numeri e desideri, in conseguenza delle quali per le donne la posizione socioeconomica di un uomo è un criterio di scelta imprescindibile almeno quanto per gli uomini lo è la bellezza corporale nella scelta della consorte. Che un uomo possa accusare degli stessi reati una donna è parimenti raro per le disparità di fiducia a priori di cui per via di due millenni di cristianesimo e di stupidità cavalleresca e due decenni di demagogia femminista i due sessi godono presso polizia, società e tribunali.
Insomma, l’estremismo egalitario delle femministe produce leggi uguali per tutti solo all’apparenza, ma in realtà ad esclusivo beneficio del sedicente “sesso debole”, del sesso, meglio, che lamenta discriminazioni e violenze proprio mentre usa la coercizione dello stato e la violenza delle leggi per avere privilegi ed imporre vessazioni, abusi, arbitrii. “La tirannia del debole sul forte”, come direbbe Oscar Wilde, non sarà mai estinta. Il femminismo si usa di fatti di cronaca per insprirla.
Il discorso sarebbe lungo, ma mi sono già dilungato abbastanza sul resto. Qui dico solo che per parlare di "femminicidio" servirebbero tanto dati numerici paragonabili al genocidio quanto una volontà unitaria cosciente di sterminio di un gruppo da parte di un altro. Quanto al primo punto, le donne assassinate sono in numero minore degli uomini, che non saranno assassinati direttamente da donne, ma comunque muoiono violentemente all'interno di un sistema che li costringe ad emergere ad ogni costo nell'agone sociale pena l'esclusione (non hanno i modi propri per natura alle donne di cui ho discusso sopra). Quanto al secondo punto, è difficile sostenere che i singoli delitti siano frutto di una volontò unitaria paragonabile a quella di uno stato che pianifichi uno sterminio. Ciò non vuol dire che reati contro le donne non esistano, ma semplicemente che sono spesso la spia non di una particolare "malvagità" maschile, bensì di una umana incapacità di tollerare la perfidia femminea unita all'oppressione femminista. Non è questione di emancipazione, ma di bilanciamento, si tratta di tenere in piedi per gli uomini la possibilità di compensare con la posizione sociale, la ricchezza, il potere, il prestigio, la fatica, il lavoro, lo studio, il merito o la fortuna personali tutto quanto in desiderabilità dal mondo e influenza sul mondo hanno le donne per natura (dall'illusione del desiderio e dalle disparità psicologiche correlate alla predisposizione all'esser madre). Si usa spesso snocciolare cifre di omicidi e degli omicidi/suicidi per passione. Le cifre non sono bilanciate. Si riporta il marito che (magari prima di vedersi costretto a vivere privato degli affetti e dei beni, della casa, delle ricchezze e dei figliuoli, e dunque delle ragioni e dei mezzi per vivere) uccide la moglie, ma non si riporta il ragazzo che, caduto nella trappola amorosa della "dama" di turno, si impicca per disperazione sentimentale. La violenza è nel mondo, e per ovvi motivi gli uomini tendono ad usare quella fisica, le donne quella psicologica, ma non è scontato quale delle due sia più grave. Dipende dai casi. Inoltre non ci si può stupire se con l’inganno si genera quasi la follia nell’animo altrui e le reazioni sono inconsulte. Non vi è infatti il diritto di molestare nel sesso il prossimo con la menzogna o la falsa illusione (sia essa fisica o psicologica), né per gli uomini né per le donne. Se ammettete l'irrazionalità nel comportamento umano dovete ammetterla in amendue i sessi, non solo dove vi fa comodo. Fra uno che spara e una che suscita ad arte la disperazione per indurre al suicidio non trovo differenza. Distinguerei poi i delitti fra fidanzati e amanti, il cui movente è solo passionale puramente, da quelli fra coniugi, in cui subentrano molti altri fattori, quali la necessità di sopravvivere economicamente, di non farsi defraudare degli averi e dei figli, di doversi ricostruire una vita, di veder distrutto tutto quello per cui si era lavorato e sofferto (la famiglia, i beni, la casa ecc., l'avvenire sereno in familia, la vecchiaia consolatrice ecc.). Nel primo caso, spesso, il tutto è accompagnato sovente dal suicidio (per cui è il classico esempio di ciò che si dice "omicidio altruista"): è dunque una testimonianza di cosa accada se si porta al punto estremo il concetto di amore come sentimento assoluto, senza cui la vita, propria e altrui, non ha senso. Nessuno ucciderebbe o si suiciderebbe se considerasse l'amore come esclusivamente legato all'eros, o se si prendesse il sesso solo come un gioco ed un piacere. Il terribile sorge quando amore ed eros si intrecciano e diventano una giustificazione esistenziale, quando quello che nel puttaniere o nel seduttore è solo un desiderio di natura da appagare e di cui godere, si sublima e si razionalizza in un rapporto che dà senso alla vita (il fidanzamento, il matrimonio o l'unione amorosa in genere). Venendo a mancare quel rapporto, va da sé che anche la vita deve finire e finisce. Da questo punto di vista dovrebbe essere maggiormente apprezzato il puttaniere solitario: egli non uccide, poiché per lui l'eros non è apollineo (non coinvolge realmente la persona dentro l'uomo e la donna, ma solo la natura in loro). Nel secondo caso, invece, il tema amoroso non è sempre quello scatenante. Come detto, vi sono altri elementi decisivi. Lo vedo quasi come un distruggere pria di essere distrutti, una sorta di "muoia Sansone con tutti i filistei (le filistee?)". Spesso si tratta di una lotta per la sopravvivenza, di una vendetta per non subire la distruzione della propria famiglia, della propria identità, della propria vita, della propria dignità, del proprio onore. La vita dell'uomo separato è simile a quella dell'esule: senza famiglia, privato degli averi, della casa, dei mezzi di spostamento, spesso inviso all'ambiente sociale, lontano dai figli, vaga in cerca di una nuova vita, di un tetto e di un lavoro (anche umile o faticoso) che gli permetta di pagare i debiti (magari un mutuo contratto per la casa ora non più sua) e gli alimenti. Vi è chi prende tutto con dignità e con filosofia e con entusiasmo ricomincia daccapo (anzi, da meno quello che deve pagare della vita precedente), e chi invece concepisce tutto questo come un'insanabile ingiustizia (perché, se i sessi sono pari, i figli e la casa finiscono sempre alla donna, e la colpa quasi sempre a lui? Perché i capricci e le difficoltà psicologiche della donna sono sempre giustificate, con frasi del genere "è insoddisfatta della vita di coppia, della noia casalinga o del doppio lavoro ecc., del disinteresse del marito, si sente oppressa, soffocata ecc." e quelle dell'uomo, come le scappatelle, no?) alla quale si ribella nel solo modo possibile (una volta che la legge e la società gli sono contro): quello del tirannicida alfieriano (o, se vogliamo, del terrorista). Ho visto (nel mio lavoro reale) tante situazioni in cui i mariti vengono bersagliati dalle ex-mogli in ogni modo umanamente immaginabile, vivono quasi peggio dell'esule ottocentesco (alcuni dormono davvero in macchina perché non riescono a pagare l'affitto, tanti svolgono lavori faticosi con straordinari impossibili per pagare alimenti impossibili, tanti cambiano lavoro e città) e devono subire umiliazioni (pubbliche e private) di ogni sorta (dagli schiaffi ai quali non possono replicare per non essere accusati di violenza, alla calunnia con amici e tribunali), accuse false e infamanti (di default quella di violenza, spesso presenti altre invenzioni più fantasiose riguardo ad abitudini sessuali, comportamenti e fatti privati in famiglia), falsità e malignità (mettere i figli contro e sparlare con i conoscenti dando al marito la colpa di tutti), soprusi ed angherie, pignoramenti improvvisi e ingiustificati, veri e propri espropri (di auto e di case), e il tutto in maniera perfettamente legale e protetta dalla mentalità femminista e dalla società galante, che persino un uomo mite e pacifico come me (una volta ferito nell'intimo e in quello che doveva essere un aspetto di dolcezza) potrebbe trasformarsi in un efferato killer. Le psicologhe parlano in proposito di "pulsioni bruttissime", ma solo secondo il loro falso (in quanto non conforme né ad un'oggettività non esistente nella sfera sentimentale né alla natura intima dell'anima che deve essere giudicata: quella maschile) e inumano (in quanto non comprensivo dell'animo altrui) ragionamento di donna. Per me è molto più brutto subire passivamente la distruzione della propria vita (da parte di chi spesso fa ciò protetto dai benefici di legge e di galanteria) Io sono per la serie: se tu distruggi la mia vita io distruggo la tua. Le donne (e le psicologhe) pensano di poter continuare all'infinito ad approfittare di una posizione di preminenza di natura (nel sesso) e di galanteria (nella società) per infliggere umiliazioni e irrisioni psicologiche (nell'intimità, nei divertimenti pubblici, nella vita sociale), torture e giochini sentimentali per la loro vanagloria, derisioni (pubbliche o private), raggiri e vere e proprie tirannie (attraverso lo sfruttamento del desiderio) sessuali, senza subire le conseguenze delle proprie azioni perché protette dallo status di "donna": invece ogni tanto (non spesso, certo) la corda si spezza, a furia di tirarla. E certi pisquanoidi persino giustificano il COMPORTAMENTO DELLE STRONZE (quando non nascondono la realtà di quello delle "mogli-vampire" dipinte invece come povere vittime). Perché si uccide? Perché si impazzisce? Perché si diventa violenti? Semplice. Perché la pazienza ha un limite: non tutti gli uomini reali sono pari a San Giuseppe. A volte le donne pensano l'uomo essere un pezzo di legno davanti a cui si può fare di tutto, o un attore che deve recitare una parte voluta d’altrui (non siamo pagato per questo come invece le escort che l’hanno scelto). Invece non siamo né pezzi di legno né falegnami. E non tirare fuori la questione di Eva! Lasciamo la bibbia a chi l'ha scritta. Noi seguiamo il mito greco. E come quello ci basiamo sull'osservazione della natura e sull'utilizzo della logica. Concordo sul partire dall'assunzione che colpe e malvagità sono equamente distribuite fra i due sessi. Proprio per questo, quando un uomo vuole esercitare la propria malvagità, può usare direttamente la violenza diretta (mostrando in ciò comunque il coraggio di esporsi in prima persona e potendo restare, in quanto non menzogero, almeno ancora leale e rispettabile, in quanto non offuscato dalla menzogna e della codardia) mentre una donna deve ricorrere a quella armi sotterranee che la natura le ha conferito in ipercompensazione della minore forza fisica (appunto la perfidia, l'inganno, la crudeltà sessuale, il veleno sentimentale, la tirannia erotica, l'uso strumentale della persona tramite l'illusione amorosa o la finta amicizia, la violenza indiretta, il vittimismo, lo sfruttamento di leggi, costumi e sentimenti altrui, l'intorpidimento dei sensi e delle idee in un nero di seppia morale, il rovesciamento di ogni etica, di ogni logica, di ogni buon senso tramite il suo influsso psicologico su uomini ed eventi) Ecco allora come mentre l'uomo, nella sua azione malvagia, incontra sia i limiti della natura (la quale dota sempre chi è forte della capacità di autolimitarsi nel ferire, di istinto "cavalleresco" a seguire regole e a riconoscere limiti e a non infierire alla vista delle ferite, alrimenti le speci forti si estinguerebbero per autodistruzione) sia quelli della società (la quale da tempo immemorabile limita l'uso della violenza per poter esistere e prosperare e attua strumenti legislativi e morali per colpire gli elementi più brutali) la donna non conosce alcun limite nè dalla natura (chi non ha la forza non ha neanche l'istinto a limitare o perlomeno gestire la propria aggressività, come mostrano gli augelli pacifici che non essendo predatori si possono distruggere fra loro quando "litigano", per cui alla visa delle ferite la donna non solo non si trattiene, ma crudelmente si appaga dell'infierire, giustificandosi poi con qualche moralismo della vendetta) nè dalla società (la quale pare rilevare solo le violenze fisiche in quanto più evidenti, trascurando quelle sotterranee anche se spesso più gravi) Le donne, quando mosse dalle stesse malvage intenzioni dei bruti impieganti la violenza fisica sulle persone più deboli, non hanno nè limiti nè remore nè regole nell'impiegare in ogni modo, tempo e luogo le armi di cui la natura le ha dotate in ipercompensazione della presunta debolezza fisica: la perfidia sessuale, la tirannia erotica, l'avvelenamento sentimentale, l'istillamento della follia amorosa, l'ambiguità voluta, l'inganno dei sensi, il raggioro delle menti, il ferimento sentimentale, la mozione degli affetti, la provocazione e l'utilizzo della sensibilità d'animo altrui, l'uso scientifico dei sentimenti più delicati e più forti, l'intrigo sociale e il complotto sotterraneo, la manipolazione degli animi, la violenza della debolezza, il vittimismo, l'uso strumentale della persona (e delle leggi) a qualsivoglia livello, l'instaurazione di sensi di colpa, lo sfruttamento della gentilezza di core o della debolezza sentimentale, il capovolgimento sistematico della verità e l'intorpidimento dei sensi e delle idee come da nero di seppia. In ciò non vi è minore prepotenza, ma solo maggiore perfidia. Non più amore della pace ma meno chiarezza e coraggio nel proprio dire e nel proprio agire. La dimostrazione è costituita dal fatto che quando si trovano a dover agire su minori le donne sono ancora più violente (anche fisicamente) degli uomini (ditte americane consigliano baby-sitter maschi) e che quando invece devono far fronte agli uomini giocano a fare le deboli (pretendendo "protezione", fino al punto da divnire, nell'arroganza, del tutto simili a quelle scimmie sacre del templi di Benhares le quali possono permettersi di tutto sugli uomini senza dover temere le reazioni in quanto protette dal loro status di intoccabili) e poi utilizzano le disparità naturali (di desideri e di psiche) per sbranare in senso economico-sentimentale gli uomini (fino al punto da indurli al suicidio o alla perdita di ogni interesse vitale), quando non le leggi a senso unico per rendere la loro vita simile a quella degli esuli ottocenteschi privati di famiglia, casa, roba, degli affetti, dei figli, delle ricchezze, del frutto di ogni lavoro passato e futuro, di ogni bene materiale e morale, di ogni possibilità economica e psicologica di rifarsi una vita e a volte pure della libertà e della salute con accuse false o strumentalmente esagarate ad arte (conducenti alla galera preventiva grazie a stupidità cavalleresca e demagogia femminista applicate alla giurisprudenza, per la quale si può finire in galera sulla sola parola di una donna anche prima e anche senza riscontri oggettivi e testimonianze terze della presunta "violenza"). Non sono le donne meno assassine degli uomini, lo sono (per forza di cose) in maniera diversa: possono (per tutti i motivi variabili dal capriccio all'interesse economico-sentimentale, dal rancore generalizzato al patologico bisogno di sentirsi vittime, dalla vendetta arbitraria al gratuito sfoggio di preminenza sociale) distruggere (materialmente, moralmente, socialmente, economicamente, giudiziariamente, psicologicamente o anche fisicamente) la vita di chi vogliono (fino ucciderlo o a renderlo un morto vivente) senza doversi esporre in prima persona, ma semplicemente inducendo un altro uomo ad uccidere per loro o (sfruttando a fini personali le leggi a senso unico su aborto, divorzio e violenza sessuale) inducendo l'intera società ad essere l'esecutrice della volontà di assassinare socialmente la vittima designata. Fia delitto con loro la pietà, e colpa il dare loro ulteriori armi! Non voglio però neanche rovesciare simmetricamente l'accusa femminista agli uomini ed affermare che le donne come genere siano "più cattive" o "più colpevoli" di noi per natura. Concordo invece sul partire dall'assunzione che colpe e malvagità sono equamente distribuite fra i due sessi. Proprio per questo, quando un uomo vuole esercitare la propria malvagità, può usare direttamente la violenza diretta (mostrando in ciò comunque il coraggio di esporsi in prima persona e potendo restare, in quanto non menzogero, almeno ancora leale e rispettabile, in quanto non offuscato dalla menzogna e della codardia), mentre una donna deve ricorrere a quella armi sotterranee che la natura le ha conferito in ipercompensazione della minore forza fisica (appunto la perfidia, l'inganno, la crudeltà sessuale, il veleno sentimentale, la tirannia erotica, l'uso strumentale della persona tramite l'illusione amorosa o la finta amicizia, la violenza indiretta, il vittimismo, lo sfruttamento di leggi, costumi e sentimenti altrui, l'intorpidimento dei sensi e delle idee in un nero di seppia morale, il rovesciamento di ogni etica, di ogni logica, di ogni buon senso tramite il suo influsso psicologico su uomini ed eventi) Ecco allora come mentre l'uomo, nella sua azione malvagia, incontra sia i limiti della natura (la quale dota sempre chi è forte della capacità di autolimitarsi nel ferire, di istinto "cavalleresco" a seguire regole e a riconoscere limiti e a non infierire alla vista delle ferite, alrimenti le speci forti si estinguerebbero per autodistruzione) sia quelli della società (la quale da tempo immemorabile limita l'uso della violenza per poter esistere e prosperare e attua strumenti legislativi e morali per colpire gli elementi più brutali) la donna non conosce alcun limite nè dalla natura (chi non ha la forza non ha neanche l'istinto a limitare o perlomeno gestire la propria aggressività, come mostrano gli augelli pacifici che non essendo predatori si possono distruggere fra loro quando "litigano", per cui alla visa delle ferite la donna non solo non si trattiene, ma crudelmente si appaga dell'infierire, giustificandosi poi con qualche moralismo della vendetta) nè dalla società (la quale pare rilevare solo le violenze fisiche in quanto più evidenti, trascurando quelle sotterranee anche se spesso più gravi). Non mi lamento di quanto le donne siano malvage (lo sono quantitativamente e qualitativamente più o meno come gli uomini) ma di quanto leggi e costumi le lascino impunite nelle minoranze dei casi in cui davvero lo sono o addirittura, fermandosi alle apparenze, invertano la valutazione vittima-carnefice. Le leggi rilevano sistematicamente e puniscono duramente lo stupro (a volte anche senza o anche prima che l'effettiva gravià e l'effettiva realtà della presunta violenza sia chiaramente dimostrata ed oggettivamente rilevata nei fatti), ma con altrettante sistematicità e durezza non è invece punita la denuncia falsa o esagerata ad arte (sebbene il crimine sia parimenti mostruoso: il subire l'accusa ingiusta, la pubblica gogna, le violenze fisiche e psicologiche del carcere, il sentire da innocenti il mondo intero, spesso amici e conocenti compresi, come nemico implacabile pronto solo a distruggere senza sentire ragioni, il non riuscire ad essere ascolati e il venir bollati a priori degni del riso o del disprezzo, il non avere nessuno al di fuori forse dei famigliari disposto a credere alla verità vissuta e il subire un lungo processo o una lunga detenzione costituscono uno stupro psicologico non certo meno grave di quello fisico e capace di infliggere alla vita, alla mente, all'animo e alla residua speranza di felicità e tranquillità nella sfera quotidiana e in quella sessuale danni paragonabili a quelli subiti dalle donne realmente violentate). Per una pacca sul sedere si prendono ormai anni di carcere, mentre per quelle toccate che con mezzi diversi dalle mani e capaci di violare e molestare la sessualità in maniera molto più profonda, le ragazze si permettono sui coetanei (provocando ferimenti molto più gravi alla psiche, facendo le stronze *** (infliggendo irrisione al disio, ferimento intimo, umiliazione pubblica e privata, sofferenze infernali del corpo e della psiche, inappagamento fisico e mentale degenerante se continuato in ossessione, o comunque in problemi a lungo termine, dall'anoressia sessuale all'incapacità di approcciarsi alle ragazze o anche solo di sorridere alla vita e al sesso o addirittura disagio da sessuale ad esistenziale, conducente a volte persino al suicidio) non vi è alcuna figura di reato. Anche gli uomini sono a volte stronzi, ma le donne sono possibilitate ad essere più stronze, perchè possono sfruttare sia le disparità naturali di desideri (l'illusione della bellezza e il veleno del sentimento) e di influenza psicologica (la predisposizione all'esser madri, e quindi al capire in anticipo bisogni e paure, al manipolare un animo ancora ingenuo, all'anticipare desideri e rischieste, al parlare senza parole, fa sì che in ogni rapporto umano non banale la loro influenza sugli uomini sia molto maggiore di quella inversa), per agire a danno dell'uomo (tanto all'interno di quei ruoli ad essi propri per natura e impossibili da cancellare da parte anche della più misogina delle società, quanto in qualsiasi altro rapporto umano) con armi da cui questi non può difendersi, sia le impunità di leggi e costumi per permettersi di tutto senza dover temere le conseguenze (la cultura cavalleresca concede alle donne il diritto a parmettersi letteralmente di tutto davanti all'uomo senza dover temere le conseguenze poichè protette dallo status di dame intoccabili e la demagogia femminista promulga leggi letteralmente a senso unico nella pratica come nel caso dell'aborto, in cui una donna può decidere della vita e della morte di un figlio senza che il padre possa decidere in un senso o nell'altro, essendo solo obbligato al riconoscimento e al mantenimento in un caso e all'accettazione della soppressione del figlio dall'altro, come nel caso della violenza sessuale, in cui qualsiasi donna può far finire in galera qualsiasi uomo con la sola parola (anche prima ed anche senza riscontri oggettivi e diretti della gravità e della realtà effettive della presunta violenza), avendo il diritto di far valere come prova la semplice accusa (purchè credibile nel complesso e verificata fino ad un momeno prima della cosiddetta violenza) o addirittura di stabilire a poseriori e secondoi propri soggettivi parametri il confine fra lecito e illecito (come voluto dalla giustizia da operetta d'oltreoceano), come nel caso del divorzio, in cui un uomo è costretto a mantenere la ex anche quando questa ha "rotto" il "Patto" (di essere mantenuta in cambio della propria compagnia, vera e propria prostituzione legalizzata mutuata dal vituperato passato e ben lungi dall'esser di fatto modificata dal femminismo), mentre quest'ultima può sempre scegliere se essere "all'antica" (e farsi mantenere) se non i lavori possibili non la soddisfano o alla moderna (e lavorare se trova un'occupazione economicamente e psicologicamente soddisfacente), dovendo invece l'uomo sempre e comunque lavorare (prima, per raggiungere una posizione di preminenza o prestigio sociale tale da mirato, disiato e accettato dal mondo e dalle donne come queste lo sono in sè e per sè per la bellezza, la grazia, l'essenza mondana e la leggiadria, cessando cos' di risultare insignificante per le le une e trasparente per l'altro, e conquistando la possibilità di essere scelto da una di esse, poi per pagare gli alimenti) E questo è evidente nelle donne sia quando sono "normali" e secondo il loro istinto (prescindente dalle intenzioni coscienti) sfoggiano pubblicamente le proprie grazie (con lamotivazione apparente di vestirsi all'occidentale, star bene con loro stesse, seguire la moda) e studiano di essere massimamente belle e desiabili in ogni modo, tempo e luogo (anche quando non hanno intenzione di conoscere uomo alcuno) e trattano poi con malcalata sufficienza o con aperto disprezzo chiunque cerchi un qualsiasi contatto con loro o addirittura appellano molesto o violento chi secondo natura rimiri quanto da loro mostrato, tenti di ottenere i loro favori o anche solo di esprimere secondo natura il disio da loro suscitato o secondo un diletto a dir poco sadico attirano chi non hanno alcuna intenzione di conoscere e apprezzare, ma soltanto di irridere nel disio, ferire nel profondo, umiliare in pubblico o in privato, frustrare sessualmente o addirittura per vanitò, capriccio, patologico bisogno di autostima, interesse economico-sentimentale o gratuito sfoggio di preminenza erotica, suscitano ad arte il disio per poi compiacersi della sua negazione (e di come questa, resa da una scientifica e pianitifaca perfidia massimamente beffarda per il disio, umiliante per l'animo e dolorosa per il corpo e la psiche dei malcapitati, possa provocare le pene dell'inferno della privazione dopo le promesse del paradiso della concessione), sia quando sono conclamate assassione ed usano le armi della menzogna e dell'avvelenamento erotico-sentimenhtale dell'animo altrui per servirsi degli uomini nei loro crimini (vedi erica e amanda), passando per quelle che sfruttando le leggi femministe su aborto, divorzio e violenza sessuale per ridurre a capriccio la vita di un uomo a quella di un esule ottocentesco privato di casa, famiglia, roba, per privarlo della libertà e della rispettabilità sociale, per ridurlo con la sola parola (ancora prima di riscontri oggettivi e prove fattuali) ad un mostro da incarcerare e punire (anche senza prove) o, con l'arma erotica, a un fantasma privo ormai di qualunque interesse vitale, di qualunque capacità di sorridere alla via e al sesso, di qualunque residua speranza di felicità.

P.S. Vi chiedete perchè trovate donne che maltrattano bambini ma non donne che stuprano uomini nei bagni? Chiedetevi prima: quante tipologie esistono di stupro? Capirete che ne esistono essenzialmente due. La prima colposa, ovvero motivata dall'incapacità di uomini deboli di testa di trattenere le proprie pulsioni, la seconda dolosa, ovvero motivata dalla volontà cosciente di infliggere dolore e umiliazione all'altro attraverso la sfera sessuale. Quanto alla prima, la donna ne è esente in quanto non è costretta (a pena di infelicità, frustrazione, sofferenza del corpo e della psiche, inappagamento fisico e mentale, ossessione) quei bisogni naturali che a volte spingono gli uomini deboli di testa a cercare disperatamente di strappare con la violenza le grazie femminili. Quanto alla seconda, la donna può attuarla (ed anzi normalmente la attua senza manco accorgersene, chiamandola magari “gioco della seduzione”) senza dover esporsi nel campo dell'agire violento e diretto, in cui sarebbe sia fisicamente svantaggiata sia legalmente perseguibile. Ecco allora perchè trovate donne che maltrattano bambini ma non donne che stuprano uomini nei bagni! Semplicemente perchè la donna usa altri metodi per raggiungere gli stessi risultati, con il vantaggio di non risultare penalmente perseguibile. Non si tratta di maggiore bontà, ma di maggiore perfidia. Che la malvagità e la violenza delle donne non siano inferiori a quelle dei peggiori fra gli uomini è peraltro riconfermato dal fatto che quando esse si trovano davanti creature più deboli (ovvero i bambini) non abbiano remore ad usare la brutalità fisica (così come non hanno remore ad usare quella psicologica contro gli uomini nelle sfere in cui questi sono, per natura, più vulnerabili, come appunto quelle sessuali e sentimentali). Quelle stesse disparità di desideri che motivano a volte un atteggiamento violento o molesto nei vostri confronti danno a voi la possibilità di produrre (nel corpo e nella psiche della vittima, attraverso il ferimento della sfera sessuale) lo stesso effetto malvagio delle violenze delle molestie e persino degli omicidi senza la fatica e il rischio di agire, e la maggior perfidia viene fatta passare per superiorità morale! l'uso del veleno al posto della brutalità onesta come una maggior civiltà! In cosa consiste lo stupro? Nel provocare tramite la sfera sessuale un trauma incancellabile nella vita nella psiche. Le donne possono attuarlo anche senza violenza fisica, tramite le proprie armi (stupro psicologico). Ogni stupratore sfoga il proprio tipo di bestialità sessuale volgendo all'estremo negativo i propri istinti. Gli uomini (il cui isstinto è disiare la bellezza) nello strappare con la forza la concessione delle grazie corporali, le donne (il cui istinto è essere belle e disiabili) nel negare la concessione a chi hanno ad arte reso incapace di vivere sereno ed integro senza quella speranza e nell'infierire poi, con illusioni, sbranamenti (economici e sentimentali), inganni, perfidie, sofferenze fisiche e mentali, disagi da sessuali ad esistenziali (dall'incapacità di sorridere alla vita e al sesso fino al suicidio), umiliazioni (pubbliche e private) e delusioni, su quanto resta della sua vita e della sua psiche. Sarebbe impensabile che gli uomini stuprassero da donne (beh, in effetti i dongiovanni lo fanno, ma quelli sono come donne) e le donen da uomini (ovvero con la violenza fisica, nella quale sarebbero pure svantaggiate nonchè penalmente persegubili, quando più appropriato alle loro armi e alle loro pulsioni femminee è la violenza psicologica, cnella quale possono sfruttare le disparità naturali di desiri e manco rischiano nulla di fronte alla legge). Stesso discorso per l'omicidio. Perchè si uccide? per soldi o per vendetta. ma le donne possono ottenere entrambe le cose sfruttando le loro armi (ad esempio la tirannia erotica, il veleno sentimentale e l'uso strumentale delle persone, con i quali possono sempre trovare chi è disposto o ad uccidere per loro o a manovrare per loro le cose) e le leggi in loro favore (a senso unico su aborto, divorzio e violenza sessuale), senza rischiare nulla e infierendo spesso (in maniera peggiore di quanto immaginabile dai più efferati killers) sulla vittima costretta a sopravvivere al proprio omicidio sentimentale, economico, psicologico e sociale. Ecco perchè le donne condannate come omicide sono meno degli uomini! Altro che sesso debole e pacifico. Sesso perfido e manipolatore!