venerdì 8 febbraio 2019

Il Misogallo

Con due secoli di ritardo rispetto a Vittorio Alfieri, il governo “gialloverde” ha finalmente compreso quanto un’Italia libera e unita non possa nascere se non in odio alla Francia. Alfieri scriveva questo dopo la delusione dei propri ideali giovanili vissuta vedendo quello stesso popolo, che si era riempito la bocca della parola “libertà”, arrivare al punto di costruire, con la sua osannata “republique”, una tirannide peggiore di quella dei re. Il genocidio della Vandea, il primo dell’età contemporanea, e il terrore giacobino, anticipazione (con il suo rovesciare ogni diritto ed ogni ragione, con il suo condannare come “nemici” tutti quelli che non riuscivano a dimostrare la propria innocenza e con il suo perseguitare le persone per la loro appartenenza politica o etnica, a prescindere da colpe e meriti individuali) dei grandi totalitarismi del novecento sono lì a dimostrarlo, per chi ancora fosse così ingenuo da cantare a cuor leggero la “marsigliese”. 

Un po' di storia...


Rispetto ai tempi dell’Alfieri, poco la Francia ha fatto per farsi riamare e molto ha invece commesso per meritarsi un odio ancora più acceso. Una manciata di anni dopo il ritorno dell’Alfieri in Italia, Napoleone, con il trattato di Campoformi, “vendeva” la Repubblica di Venezia (con tutti i suoi possedimenti di cui peraltro, piccolo particolare, egli non era affatto “legittimo proprietario”) all’Austria. Ciò rendeva da un giorno all’altro esuli patrioti come Ugo Foscolo, che altro non potrà se non comporre un’immortale ode alla sua Zacinto e giurare altrettanto immortale odio a Bonaparte. Nasceva così, soprattutto, la questione dell’Irredentismo italiano a nord-est, che si risolverà (parzialmente) soltanto nel 1918, con la vittoria nella prima guerra mondiale (sotto questo aspetto, considerabile anche come quarta guerra d’Indipendenza) e che oggi è di nuovo riaperta, considerato come fra pochi giorni cada l’anniversario dell’esodo dei Dalmati e degli Istriani da terre che, prima del pasticcio napoleonico, erano state veneziane (e quindi, per traslato, italiane) per più di mille anni (fascismo, jugoslavia, tito, nazismo, partigiani e compagnia sono tutte disgrazie venute dopo, a cascata rispetto a quella “rapina con omicidio” ai danni della Serenissima repubblica).

La narrazione tutto sommato filofrancese che la scuola “Piemontese” ha deciso di fare dell’Unità d’Italia trascura (o comunque minimizza notevolmente) alcuni importanti particolari. Il primo: nel 1859 Napoleone III, nel bel mezzo della Seconda Guerra d’Indipendenza (che aveva promesso invece di combattere fino alla liberazione di tutto il Nord Italia), si ritira inopinatamente, per motivi di politica interna (temeva di perdere consenso spendendo uomini ed energie in una guerra di cui ai Francesi, evidentemente tutt’altro che nostri “buoni cugini” affezionati alla nostra libertà dallo straniero, non fregava nulla), ma ottiene comunque, in cambio dell’intervento fino a quel momento prestato (che ci aveva fruttato la Lombardia e poco altro), Nizza (patria di Garibaldi) e la Savoia (terra natale dell’omonima dinastia regnante) che Cavour aveva promesso in origine. E qui, di conseguenza, nasce anche l’irredentismo italiano a nord-ovest, che quindi non potrà poi, nel 1940, essere ascritto alla sola propaganda fascista (“Nizza, Savoia, Corsica fatal…”). Il secondo: nel 1848, lo stesso Napoleone III (quello che Victor Hugo chiamava perfidamente “il piccolo” per distinguerlo dall’altro) aveva inviato a Roma il generale Audinot (cui ancora, in città allora pontificie come Bologna sono intestate vie!), in sostegno del potere temporale del Papa e contro i patrioti italiani, per spegnere nel sangue la “repubblica romana” del triumvirato Mazzini-Saffi-Armellini. E si dovrà attendere il 1870, con la guerra franco-prussiana e la provvidenziale disfatta francese di Sedan (dove finalmente quel parvenue della storia venne accerchiato e distrutto dalle truppe di Von Moltke) per poter annettere Roma al neocostituito Regno d’Italia e porre fine a quell’anacronismo che era lo stato pontificio (e poteva piacere solo ad un amante del sottosuolo cristiano come Dostojeskij).

Ma queste sono quisquiglie rispetto a quanto accaduto nel Novecento. Il secolo inizia con Parigi che ci soffia da sotto al naso la Tunisia (uno degli ultimi pezzetti d’Africa non ancora colonizzato e geograficamente molto più vicino all’Italia che non alla Francia). Noi, per ripicca, scegliamo di allearci con gli ex-nemici austriaci e il nuovo Reich del Bismark formando la Triplice Alleanza.

Eppure, al momento dello scoppio della grande guerra, un po’ perché l’irredentismo a nord-est (il Trentino, la Venezia Giulia, l’Istria, la Dalmazia) è più sentito di quello a nord-ovest (Nizza, Savoia e Corsica, tutto sommato, “pesano” meno da un punto di vista geografico e storico), un po’ perché, nonostante tutto quanto subito dagli eredi dei Galli, ci sentiamo comunque, per lingua, cultura, letteratura, costumi e modo di essere artisti, più vicini a chi fin dai temi dei Romani è di qua dal Reno che non a chi è di là, scegliamo di correre in soccorso della Francia. Il Vate D’Annunzio, forte dei suoi trascorsi parigini e della sua comunanza di gusti e stili con gli artisti francesi della belle epoque, accende gli animi inneggiando alla comune difesa della “Latinità” dai “barbari” germanici.

Dopo 3 anni di guerra e 600.000 morti, al momento di sedersi al tavolo della pace proprio nella reggia francese di Versailles, i nostri amati “cugini” ci tirano il pacco: di quanto promesso dal patto di Londra (partecipazione alla spartizione delle colonie tedesche, accrescimento dell’influenza nei Balcani, Istria e Dalmazia fino a oltre Zara e Sebenico) ci vengono concesse solo le briciole. La Francia (assieme all’Inghilterra) ha la sfacciataggine (nonostante quanto messo nero su bianco quattro anni prima) di appoggiare la demagogica politica del presidente americano Wilson che decide di creare ex-nihilo la cosiddetta “Jugoslavia” (un abominio frutto della piramidale ignoranza della geografia e della storia che sarà causa di più di una tragedia nel secolo successivo). Della serie: i nemici che abbiamo sconfitto come austroungarici si rinominano Jugoslavi e mantengono quanto avrebbero dovuto cederci. Solo un cretino (o un filibustiere in malafede) può a questo punto pensare che l’Italia, a prescindere da Mussolini, non avesse tutti i motivi morali, politici, civili e storici per combattere la guerra mondiale successiva dalla parte opposta rispetto a quella di simili “alleati” (come direbbe Dante, “il modo ancor m’offende”: il ministro francese, che soffriva di prostata, ebbe il coraggio di dire, a proposito di quello italiano, che si lamentava dell’ingiusto trattamento riservato dopo la vittoria ad un alleato come l’Italia: “se potessi pisciare come lui piange…”). Il Vate si ravvede, ma troppo tardi: "Volgiamo le spalle all’Occidente che ogni giorno più si sterilisce e s’infetta e si disonora in ostinate ingiustizie e in ostinate servitù. Separiamoci dall’Occidente degenere che, dimentico d’aver contenuto nel suo nome «lo splendore dello spirito senza tramonto», è divenuto una immensa banca giudea in servizio della spietata plutocrazia transatlantica." (pare il ritratto del governo Macron scritto esattamente 100 anni prima)

Ed è qui che nasce il capolavoro dei professorini di storia, degli intellettuali di sinistra, dei venduti della penna, i quali hanno scambiato l’antifascismo per anti-italianità (Benedetto Croce non glie lo avrebbe perdonato). Parlano, da allora, di “pugnalata alle spalle della Francia” per il nostro intervento in guerra del 1940. Avremmo dovuto infliggere una pugnalata al cuore nel 1939, altroché!

In nome dell’Europa, nel dopoguerra si sarebbe anche potuto dimenticare tutto, se, negli ultimi anni, i Francesi, assieme peraltro ai Tedeschi, non avessero iniziato ad usare regole ed istituzioni europee per mero tornaconto nazionalistico, a danno dei paesi meno “forti” (soprattutto a danno dell’Italia, saccheggiata dalle multinazionali francesi quando, a ruoli invertiti, ogni tentativo italiano viene stoppato dai mangiarane con qualche pretesto). Insomma, ci fanno la morale sul debito, ma quando a loro è servito sforare per non distruggere del tutto lo stato sociale che hanno ancora, lo hanno fatto. Ci fanno la morale sull’immigrazione, ma da tempo non accolgono più nessun povero migrante. Ci fanno la morale sul libero mercato ma pare che per loro la libertà sia solo quella di acquistare i nostri marchi più prestigiosi (forti di un’economia che, grazie al nucleare e ai rapporti particolari con le loro ex colonie come l’Algeria, non deve fare i conti con la dipendenza energetica).

Soprattutto, cento anni dopo la Tunisia, ci hanno fregato pure la Libia (la quale, con Gheddafi, pur fra alti e bassi e tante polemiche, era comunque la “nostra” ex-colonia con cui avere rapporti “particolari” e “privilegiati”), a prezzo di una guerra civile sanguinosa giustificata con la solita retorica “democratica” e “rivoluzionaria”, di una destabilizzazione di tutta la regione che ha portato l’Isis quasi a minacciare le nostre coste, di un azzeramento del tenore di vita del popolo libico (prima relativamente benestante ed ora alla disperazione), di una inevitabile nuova crisi migratoria (ancora in corso).

Un po' di attualità...
Ce ne sarebbe abbastanza da non permettere mai più ai francesi di appellarsi a termini evidentemente retorici come “Europa”, “pace”, “democrazia”, “libertà”: tutte favole in bocca a loro come già preconizzato dall’Alfieri.

Ma anche questo non sarebbe sufficiente a farsi odiare dall’autore di questo blog se il governo francese non avesse recentemente varato due misure nazifemministe: l’istituzione del reato di acquisto di prestazioni sessuali (ovvero il divieto di andare a puttane e quindi l’obbligo per ogni uomo di scegliere fra frustrazione sicura del disio e possibile tirannia attraverso di esso) e la multa per chi approccia e rivolge complimenti alle donne per strada (con la scusa delle molestie si rende quindi pure potenzialmente reato anche l’ultimo modo rimasto per procurarsi favori femminili: accettare di passare sotto le forche caudine del corteggiamento che, ahimè, iniziano sempre da una nuova conoscenza e da un complimento).

Micron dovrebbe essere decapitato in piazza per il suo collaborazionismo con la doppia tirannide finanziaria e femminista!

Il mio odio si fa anche politico quando vedo gli stessi alleati delle nazifemministe accusare di “nazismo” le uniche parti politiche ancora relativamente non troppo compromesse con la finanza internazionale e la misandria femminista. E’ il caso di Macron e di Henri-Levy che, dopo aver contribuito a diffondere il duplice cancro del potere finanziario (che divora ricchezze reali in nome di indici cartacei) e dell’empietà femminista (che divora la stessa natura dell’uomo, considerato colpevole in quanto tale, sbagliato in quanto maschio), parlano del “populismo” (ovvero di ogni idea politica non disposta a chinare il capo al pensiero unico dei diritti umani senza vera umanità e del liberismo vera senza libertà), del “nazionalismo” (ovvero di ogni amore per la propria nazione, “una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue, di cor” non svendibile ad interessi economici), del “sovranismo” (ovvero di ogni legittima pretesa dei popoli di non cedere la propria sovranità a meccanismi burocratici che di europeo hanno solo il nome e a finanzieri senza patria con interessi spesso fuori d’europa) come di una “lebbra” che distruggerebbe “l’universalità, la verità, l’amore” (questi ex-giacobini parlano ormai come preti dell’ancien regime!)

Lasciamo stare l’universalità, con la quale fin dai tempi di Robespierre e Napoleone i francesi si sono sentiti in diritto di invadere il mondo raccontando la favola dell’esportazione degli ideali rivoluzionari (appunto pretesi essere validi universalmente quando manco funzionavano nella loro patria), ma che oggi un Henri-Levy (uno di quelli che lodava l'intervento Usa in Iraq nel 2003, giustificato agli occhi del mondo con le prove false fabbricate dall’amministrazione Bush! Uno che era con Sarkozy e con Obama quando i due “eroi della rivoluzione e della democrazia” gettavano la Libia nel caos che dura ancora oggi raccontando la favola della “primavera araba”) abbia il coraggio di parlare di “verità” grida vendetta.

Ha la faccia tosta di dire che “la verità era uno dei pilastri della democrazia attaccato alle fake news dei populismi”?
Dopo che lui e tutto il suo amato “Occidente libero”, per almeno 70 anni (per non dire, aggiungo sottovoce da nietzscheano, da 2000, se li consideriamo come ultimi epigoni delle menzogna egalitarie e delle favole progressiste nate con il cristianesimo!) hanno mentito su tutto!

Decenni di bugie progressiste...
Hanno mentito sulla storia
             quando hanno attribuito ai tedeschi "barbari" (visti come pericolosi guerrafondati) ed al "militarismo prussiano" (presentato come brama di conquistare il mondo) la colpa della prima guerra mondiale, mentre erano piuttosto gli inglesi ad aver conquistato (da gentiluomini in patria e pirati sugli oceani) un quarto delle terre emerse, a mantenere la quasi totalità dell'oro su cui si fondava il valore del denaro (gold standard) e quindi a voler stroncare qualunque potenziale "concorrente" (tanto economico quanto politico);
             quando hanno fatto credere che i motivi della seconda guerra mondiale fossero solo le brame di potere del "grande dittatore", mentre erano piuttosto in gioco, in politica estera, i terrotori che storicamente erano stati almeno in parte tedeschi e, in politica interna, la possibilità effettiva di reggere una società contemporanea non sull'usurocrazia bancaria (Ezra Pound docet) ma sul lavoro (impedendo così alla finanza senza patria di arricchirsi a danno dei popoli come avveniva prima e coma torna ad avvenire ora);
             quando nel caso della guerra civile italiana, hanno raccontato di liberatori contro collaborazionisti, di buoni contro cattivi, mentre i primi erano semplicemente a servizio o dell'internazionalismo comunista o di quello angloamericano, ed i secondi erano quelli che si sono rifiutato di cambiare bandiera in una guerra in cui l'Italia, già mutilata della vittoria nella grande guerra dagli alleati, aveva tutto il diritto (per il proprio posto al sole) di scendere in campo a fianco dei tedeschi, mentre i primi (dopo magari essere stati fascisti quando faceva loro comodo) si sono "da rossi" abbandonati a torture, esecuzioni e vendette trasversali indegne di ogni concetto di umanità, ed i secondi (almeno per quanti ne ho potuto personalmente conoscere) hanno dimostrato una coerenza, un coraggio ed una dedizione alla causa (giusta o sbagliata che fosse) veramente degni dei trecento di Leonida.

Pazienza, ho iniziato allora a dirmi da adolescente, rinuncio ad essere "fascista" (le virgolette sono dovute al fatto che ero definito così unicamente per il mio irredentismo dannunziano) e guardo al presente.

Il mio presente è però una società dove le menzogne "liberal" hanno posto le premesse di una vera e propria tirannide femminista,
             quando hanno presentato il femminismo come "emancipazione", mentre in realtà tutto quanto, nel mondo come rappresentazione (cultura, stato, società) da esso viene definito "oppressione" era l'equo, umano e pacato bilanciamento dei privilegi naturali femminei nel mondo come volontà;
             quando hanno fatto credere che il femminismo volesse solo parità di diritto (e doveri), mentre, nella realtà sotto i nostro occhi,  si rivela costantemente un trucco femminile per mantenere assieme antichi privilegi (galanteria in ogni senso lato, corteggiamento, desiderabilità fino al possibile esercizio della tirannia) e moderni diritti;
             quando hanno convinto gli stolti che il femminismo non avesse nulla contro gli uomini in quanto tali, mentre la cronaca di tutti i giorni, depurata della distorsione giornalistica, narra di uomini distrutti (con i metodi descritti nelle note a questo e ai precedenti capitoli) dalle leggi femministe su aborto, divorzio e violenza sessuale.

Pazienza, ho continuato a dirmi, accetto le "pari opportunità" (tanto non mi toccavano direttamente e facevo finta fossero giuste al di là della mia visione filosofica che ho cercato di delineare), non mi sposo, non faccio figli, non conquisto, neanche corteggio, così evito tirannie, accuse false, stronzaggine. Anzi, vado solo a puttane, così non ho bisogno di bilanciare (ormai impossibile proprio per colpa della parità di genere) desiderabilità e potere per trombare (mi basta pagare). E invece no. Le menzogne "liberal" sul femminismo sono andate oltre

             fino a vietare quasi ovunque la prostituzione (con fake news del genere "sono tutte schiave" e deliberazioni parlamentari basate su documenti pseudoscientifici prodotti da lobbies femministe che hanno prima allontanato qualunque ricercatore discorde dal loro approccio ideologico);
             fino a far percepire alle donne come "normale" sbottare su internet contro chi ha cercato (magari maldestramente, ma non certo con ostilità) di approcciarle, creare videogiochi per "vendicarsi" dei complimenti (figuriamoci allora se fossero insulti!), scrivere manuali su come fare "meglio" le stronze;
             fino a far sentire inappropriato o addirittura sbagliato ogni disio di bellezza (da cui oscuramenti di miss italia e sparizione delle grid girls dalla F1), ogni tentativo realistico di conquista (da cui la montature del metoo e la colpevolizzazione contro chi ha la possibilità, finalmente, di contare su qualcosa di oggettivamente valido ed immediatamente evidente - soldi, posizione sociale, prestigio, potere, cultura - con cui bilanciare la bellezza, di cui si è discusso)  ogni detto, gesto o occhiata avente la sola "colpa" di esprimere disio naturale per il corpo della donna e di non essere da questa (a posteriori) gradito (cosa che non si può peraltro sapere in anticipo e che comunque sarebbe da rischiare nella prospettiva del "dovere di corteggiare" imposto de facto ai maschi);
             fino a rendere potenzialmente reato anche uno sguardo.

Potevo allora rinunciare alla mia natura? Rinunciare a desiderare? Rinunciare ad essere maschio? Al massimo, potevo guardare altrove, cessando di essere "sessuocentrico". Smettere di guardare il mio ombelico (o quello che c'è sotto) per guardare il mondo?

Bene, ma allora i "liberal" hanno iniziato a mentire anche sulla storia che si svolgeva sotto i miei occhi

             quando hanno presentato le varie rivoluzioni "colorate" in nordafrica e in medioriente come un 1848 arabo, mentre erano chiaramente pilotate dagli interessi materiali e ideali degli Usa e dei loro alleati (come si evince dal peggioramento nelle condizioni di vita in quei paesi che costringe i cittadini a emigrare da noi);
             quando hanno dipinto il golpe in Ucraina come una sollevazione popolare mentre era chiaramente un'operazione pilotata ancora una volta dai "filantropi" di Wall Street (mentre i servizi segreti russi erano occupati a fare la guardia ai giochi invernali di Sochi) al fine di portare l'Ucraina nell'UE e nella Nato;
             quando hanno presentato Putin come un nuovo Hitler mentre, semmai, era la Nato ad avere intenzioni di allargare ad est il proprio "spazio vitale" mentre la russia, allora come nel 1941, semplicemente difendeva i propri confini geopolitici,
             quando diffamano i governi di Polonia e Ucraina come "dittatoriali" solo perchè non hanno accettato di cedere la sovranità delle loro nazioni alla finanza senza patria e alla globalizzazione senza volto (perchè, insomma, vogliono una Polonia di Polacchi e un'Ungheria di Ungheresi, per sangue e per spirito) e a tal fine tentano di ridurre le influenze delle varie ONG e della propaganda progressista in genere in favore di una concezione più tradizionale e nazionale della cultura e della vita.

Pazienza, mi dicevo ancora, piuttosto che mettermi contro queste "verità ufficiali", rinuncio a guardare a tutto il mondo e guardo solo in casa mia.
Anche qui, però, i “liberal” hanno mentito,

             quando hanno diffuso la narrazione degli italiani spendaccioni causa del proprio male e del proprio debito e quindi meritevoli di sgridate da Bruxelles, mentre, dati alla mano, il debito si è creato non per una maggiore spesa pubblica rispetto agli altri stati, bensì per maggiori interessi sul debito dovuti alla separazione fra Tesoro e Banca d'Italia (che dopo il 1981 non ha più potuto acquistare titoli di stato per difenderne la quotazione, lasciandoli in balia della speculazione e del gioco al massacro degli interessi crescenti), ovvero a quella situazione (dipendenza dello "spread" dai capricci del mercato) che sarebbe poi stata propria di tutta l'Europa dopo la creazione dell'Euro;
             quando hanno finto di dimenticare che la crisi del 2008 non è stata generata dai pur incompetenti governi italiani, ma dalle grandi banche d'oltreoceano (e dalle agenzie di rating complici che oggi fanno la morale) con le loro cartolarizzazioni ed è stata "rigirata" sull'Europa (e soprattutto sull'Italia) con metodi variabili dalla "finanza creativa" alla guerra contro chi (ad esempio Gheddafi) non accettava il dominio del dollaro (che quindi ha potuto essere stampato in grande quantità senza perdere valore: ecco come gli "evoluti" Usa sono usciti dalla crisi!).

Pazienza ancora, mi sono detto per l’ultima volta, lascio stare la politica e guardo solo la cronaca. Eppure, per l’ennesima volta, i “liberal” hanno mentito

             quando hanno iniziato a presentare le donne come vittime e gli uomini come colpevoli mentre i femminicidi sono in numero infinitesimo rispetto alle volte in cui le donne possono, con mezzi legali (anzi, da loro sentiti pure come naturali) distruggere la vita di un uomo;
             quando hanno continuato a lamentarsi delle "tante donne che non denunciano" mentre con minime ricerche sull'argomento si possono enumerare infiniti casi in cui proprio le denunce sono false o esagerate ad arte per trattare da una posizione di forza in fase di divorzio;
             quando hanno proseguito a lamentare le "troppe volte in cui le donne non vengono credute"
proprio mentre, contro ogni principio di ragione e di diritto, si è introdotta de facto (tramite il mantenimento di un meccanismo inventato - ironia della sorte - durante il fascismo e consistente nel considerare anche come testimone - quindi con l'obbligo di dire la verità - la persona denunciante e non il denunciato) la possibilità di mandare in galera ogni accusato sulla sola parola dell'accusa, anche prima e anche senza riscontri oggettivi o testimonianze terze della presunta "violenza".

Allora ho detto: piuttosto che mettermi contro tutto il mondo, guardo solo ai fatti miei. Purtroppo anche essi, pur limitati a privilegiato e relativamente chiuso mondo accademico, hanno a che fare con immigrazione, globalizzazione, Europa.
Qui i “liberal”
             hanno mentito sull'immigrazione, quando l'hanno raccontata come una occasione di arricchimento culturale mentre la realtà ce la mostra come la distruzione anche della semplice prospettiva di poter continuare a parlare la tosca favella (ovvero una delle lingue più antiche del continente, figlia legittima del Greco e del Latino, sicuramente la più musicale - pari al francese per la dolcezza dei suoni ma superiore per la varietà di registri - probabilmente la più poetica in sè, per la varietà di significati e significanti delle parole grondanti di tradizione e di richiami letterari, e comunque la lingua attorno a cui da Dante in poi si è formata la visione del mondo del nostro popolo) in favore di dialetti africani o indiani per strada (dove fra poco non si incontrerà un italiano neanche a cercarlo col lanternino) e di un inglese asettico e americanizzato a scuola (dove ormai, per puro gusto internazionalista, è vietato parlare in italiano anche con gli studenti italiani);
             hanno mentito sulla globalizzazione, quando l'hanno propagandata come un ampliamento di possibilità per imprese e persone dinamiche e meritevoli, mentre in realtà si è rivelata quanto Diego Fusaro sintetizza nel termine "glebalizzazione" (ovvero riduzione, tramite la concorrenza selvaggia di paesi non certo socialmente evoluti, dei salari e dei diritti a livelli precedenti le lotte sindacali e lo stesso stato liberale, nonchè distruzione - per colpa della guerra combattuta più sui costi e sui numeri che non sulla qualità - di interi settori artigiani e industriali prima di eccellenza);
             hanno mentito sull'Europa, quando l'hanno osannata come destino di armonia e cooperazione fra popoli liberi e sovrani (dopo anni di guerre fratricide), mentre in realtà l'UE si è scoperta essere una tirannide dei paesi più forti (Francia e Germania, ovvero quelli che avrebbero potuto unire l'Europa nei secoli precedenti con le armi) su quelli resi più deboli da regole ad hoc (tipo l'austerity utile alla sola Germania o certe politiche estere o energetiche favorevoli sfacciatamente alla sola Francia), una burocrazia utile alle grandi multinazionali per debellare la piccola impresa e alle grandi lobbies per imporre (ex lege) un pensiero unico e un unico modo di vivere alle gente (fine cui sono funzionali il femminismo e l'antirazzismo), un modo per rendere l'Europa una brutta copia degli stati uniti, distruggendo la classe media, il welfare, e, soprattutto, ogni ricchezza materiale (risparmio, piccola proprietà, benessere di vita e tutto quanto viene minacciato dalle "ricette europee" in materia economica con la scusa del "debito da ridurre") e morale (specificità etniche, linguistiche e culturali del popoli, minacciate dall'obbligo di integrazione degli immigrati - con la scusa dell'umanitarismo - e di americanizzazione degli autoctoni - con la scusa del progresso).

 ...e un po' di "amore"

Avete mentito su tutto ciò su cui vi era possibile mentire, cari “liberal”! E poi parlate di amore? Venite su radio a leggere interviste a quel vecchio cialtrone sedicente filosofo (per figuri simili ben ha fatto Celine a scrivere “Bagatelle per un massacro”) pubblicate su “Repubblica” con titoli quali “l’Europa è anche una certa idea di amore”?

Mi ricordate Trotzki, che in nome dell'amore per l'umanità dava ordini disumani all'armata rossa nella guerra contro i bianchi. Mi ricordate i preti, che in nome dell'amore di dio hanno costruito una religione di odio (abissale) verso tutto quanto, nell'uomo, nella civiltà originaria indoeuropea, è palpitante di vita (condannato come “peccato”), genera verso l'alto (accusato di “sfidare dio e le sue leggi”) e brama l'affermazione di sé nella storia (trasvalutato nei valori e narrato come “male”). Mi ricordate soprattutto le vostre alleate femministe, le più accanite oppositrici di Trump, le quali si strappavano le vesti, all’indomani delle elezioni, in nome dell'amore universale, accusando il vincitore di aver basato la propria campagna sull’odio, loro che da decenni seminano misandria!

Quale “amore” è il loro?
             Quello in nome del quale, dalla scuola elementare ai corsi universitari, dalle commedie di Hollywood ai simposi filosofici, dipingono l'uomo come fonte di ogni male della storia e causa di ogni loro infelicità personale fino a riuscire in qualche caso a suscitare in certi maschi "pentiti" un odio per la loro stessa natura?
             Quello in nome del quale usano l'arma della bellezza o comunque il privilegio psicologico del loro ruolo di corteggiate, per ferire, irridere, umiliare e affermare il loro diritto ad essere stronze?
             Quello in nome del quale convincono leggi e costumi a considerare inappropriato, deprecabile o addirittura ostile potenzialmente ogni tentativo maschile di propiziare un contatto intimo?

E su quale “amore” dovrebbe fondarsi quello che resta dell’Europa?
I Greci conoscevano ben tre precisi significati per la parola: eros, l’amore sessuale, filia, l’amore che ci spinge verso le cose e le azioni (amore per il sapere, amore per una data attività umana) e agapè, la pietà per chi soffre.

Il sedicente “amore” che i liberal e le loro amiche femministe venerano come dio

             non è certamente eros, perché il naturale trasporto verso la bellezza che sorge con la rapidità del fulmine e l'intensità del tuono nell'uomo davanti alle grazie femminili viene de facto inibito, condannato o comunque reso quasi impossibile da soddisfare nella società femminista, nella quale mostrarsi (e suscitare disio) è un diritto ma guardare (ed esprimere disio) è un reato e nella quale le disparità di numeri e desideri nell’amore sessuale fra maschi e femmine sono accresciute ad arte per generare nei secondi precipuamente frustrazione, senso di nullità e inappagamento;
             non è nemmeno filia, perché  tutto ciò che era amabile nella vita (l'arte, la letteratura, l’automobile, la scienza) è stato via via distrutto dalla declinazione “liberal” del “progresso” (l'arte, da generatrice di opere di genio fungenti da consolazione persino per l’infelicità umana di leopardiana memoria, è divenuta mera industria d’intrattenimento sottoposta alle sole leggi del mercato e della propaganda ideologica “liberal” – e quindi anche femminista - generanti ancora più infelicità soprattutto nei giovani maschi che avrebbero più bisogno di essere consolati; la letteratura è passata da luogo dell’anima in cui era possibile condividere sentimenti fra uomini distanti nel tempo a mercato in cui si parlano tutte le lingue fuorché quella della poesia che, da Petrarca a Leopardi, era invece riuscita, anche grazie ai licei, a costruire un substrato culturale comune in grado di rendere possibile persino la comunicazione fra i sessi da adolescenti; l’automobile è stata trasformata da alter-ego meccanico dell’uomo, da compagna dotata di anima ed oggetto di amore, ad elettrodomestico; la scienza è in pochi anni degenerata da episteme a insieme di opinioni valutabili tramite il numero di “mi piace” ricevuti e le facoltà scientifiche sono decadute da ricettacolo dei migliori sapienti fra i giovani del paese, da luogo di ambizione e di eccellenza - per entrare nel quale si sperava e soffriva durante le fasi di massimo impegno nell’ascesi della conoscenza - a parcheggio sociale per mediocri e centro di accoglienza per immigrati e profughi travestiti da studenti internazionali);
             non è infine neppure agapè, perché nessuna pietà vi è per quegli uomini i quali, non essendo riusciti a raggiungere una certa (e rara) posizione di prestigio o preminenza nella società, restano in essa trasparenti e amorosamente negletti dal sesso opposto, e se, con disperazione, tentano l’impossibile fortuna nell’approccio, o vengono respinti con sovrano disprezzo e tacciati d’esser molesti, volgari o violenti, o vengono sollevati nell’illusione e gettati nella delusione dal gioco della stronzaggine, non ricevendo in alcun caso conforto per il loro sempiterno inappagamento d’ogni disio (non solo nessuno stato paga loro sacerdotesse di Venere per una consolazione almeno carnale, ma anzi molti stati li multano o li perseguitano penalmente per averle cercate! E la morale liberal-femminista li dipinge pure come insensibili, oppressori, malvagi, solo e soltanto per aver cercato l’ebbrezza dei sensi e delle idee a pagamento, per non aver voluto passare sotto le forche caudine delle stronze, per non essersela sentita di atteggiarsi a conquistatori o di accettare tirannie erotico-sentimentali, insomma, li condanna per le loro debolezze erotiche che sovente divengono pure sentimentali!).

Un solo significato è possibile per il loro concetto di “amore”: la compassione in senso cristiano che ha, come presupposto, il porre l’origine del valore (e quindi del diritto) nel semplice fatto di essere nati per caso uomini e, come conseguenza, la negazione di ogni specifico e diverso tipo umano, di ogni valore affermato storicamente dall’uomo con le sue costruzioni d’arte, di politica, di pensiero, di società, di civiltà. Insomma, è proprio quell’amore per l’umano indistinto che cela l’odio abissale per l’uomo differenziato. Quell’amore indiscriminato che è odio verso se stessi, la propria identità, la propria civiltà e che, applicato all’Imperium Romanum, condusse alla decadenza (conseguenza dell’estensione indiscriminata a tutti della cittadinanza, dei diritti, eccetera). Applicato all’Europa di oggi, sta conducendo alla dissoluzione (biologicamente, tramite l’immigrazione di massa e psicologicamente, tramite l’americanizzazione di ogni forma di cultura) delle identità di sangue e spirito che ne hanno costituito il nerbo nei momenti più alti della sua civiltà, di cui la Grecia e Roma furono le origini e Gerusalemme il principio della decadenza.


Non si creda che tutto questo “amore” sia disinteressato. L’uomo avrebbe interesse a realizzare una società relativamente chiusa, l’accesso alla quale fosse regolato da leggi ferree e da prove di valore oggettivo, in modo da garantirsi, una volta entratovi per merito personale, di trovarvi dentro relativamente pochi “concorrenti” e relativamente tante belle donne, affascinate anche solo dall’aurea di una tale “eccellenza”. Sono le donne ad avere, al contrario, interesse a vivere in una società “aperta”, nella quale tutti i nati per caso uomini possano accedere, e dentro la quale non solo la concorrenza fra maschi sia altissima e inumana, ma i criteri della competizione, essendo lasciati al caso, possano venire di volta in volta stabiliti a capriccio (e a posteriori) della singola donna (senza che quindi gli uomini abbiano il minimo potere contrattuale, anche solo garantendosi, con un merito oggettivo socialmente riconosciuto - di cui una “open society”, con la sua ostentata disomogeneità antropologica, finisce inevitabilmente per negare l’esistenza -  un corrispettivo della bellezza femminile con cui essere apprezzati e quindi più facilmente scelti).
“Amore” e “società aperta” sono i modi in cui il gretto interesse femminile si fa politica e antropologia! Ed è appoggiato da quelli che, per loro stessi, si creano circoli iper-esclusivi in cui invitano mediamente cinque modelle per ogni maschio, forti delle loro possibilità di indipay miliardario! Altro che società aperta (che lasciano volentieri a noi creduloni)!



 Infine, un po' di Europa
“Unione Europea” ed “Europa” non sono sinonimi, bensì contrari. L’Europa, infatti, è semplicemente, come già aveva capito Nietzsche, il nostro destino inevitabile. “Se saremo così pazzi da non unirci col consenso”, ci ammoniva lo zio Friedrich, dovremmo sperare di essere conquistati per “via imperiale”. Tanto i francesi di Napoleone quanto i tedeschi del Kaiser mancarono la loro occasione storica di unire l’Europa nella potenza perché, quando erano all’apice della loro potenza nazionale, seppero vedere solo una Grande Francia ed una Grande Germania e giammai una Europa unita. Esattamente come la Markel e Macron di oggi, al di là della retorica. Ecco perché l’Europa non c’è.
L’Unione Europea, infatti, rappresenta in contrario di ciò che l’Europa dovrebbe essere per storia e destino. L’Europa dovrebbe costituire, se non una opposizione, almeno un’alternativa all’american way of life, ed invece la UE la sta trasformando in una sua brutta copia (sia per quanto riguarda lo smantellamento dello stato sociale operato dal neoliberismo, sia per quanto riguarda la sottomissione alle menzogne del politicamente corretto ed alla propaganda femminista). L’Europa dovrebbe porsi come obbiettivo il mantenimento, l’accrescimento e l’affermazione di tutte quelle identità di sangue e spirito che ne hanno costituito il nerbo nei momenti più alti della sua civiltà (la Grecia Omerica, presupposto per l’intero edificio della civiltà classica, la Roma della prima età Repubblicana, presupposto per le conquiste militari e civili dell’Imperium Romanum, giustamente rimpianto di Nietzsche come “grande costruzione”  e ultima possibilità di costruire di là dall’umano, la civiltà comunale e rinascimentale italiana, presupposto per l’uscita dall’era di mezzo in cui i “plantigradi”, per dirla sempre con Nietzsche, cristiano-germanici ci avevano piombato), ed invece la UE pone fra i propri “valori” proprio l’essenza sovversiva ed autodistruttiva del cristianesimo dell’accoglienza, dell’uguaglianza e dell’umanitarismo (contrario di umanesimo!) e nulla fa per impedire (anzi, molto lascia fare a lobbies internazionali per favorire) l’immigrazione massificata e massificante destinata (a questo ritmo) a dissolvere in pochi decenni e per sempre nel caos tutte le ricchezze (etniche, economiche, sociali e linguistiche) che i diversi popoli europei hanno, con il loro lavoro, il loro genio, le loro arti, saputo costruire in millenni di civiltà. L’Europa dovrebbe costituire un conglomerato di forze in grado di contrapporsi sia militarmente sia economicamente a potenze extraeuropee inconciliabili per tradizione e spirito (come gli Stati Uniti o la Cina) ed invece segue a restare all’interno della Nato (ovvero di quella moderna versione della Lega di Delo che permette agli Ateniesi yankee, mi si permetta il paragone irrispettoso ma efficace, di tiranneggiare ex-alleati con la scusa della protezione da un nemico esterno “persiano”) e ad avallare ogni atto di politica estera funzionale all’ormai intollerabile e barbara egemonia Usa (come le vergognose ed inique sanzioni alla Russia e l’appoggio incondizionato ed irrazionale ad Israele, ad esempio), per non dire dell’assenza di una geopolitica economica (se vi fosse, l’auto elettrica sarebbe osteggiata, in quanto strategia cinese per “semplificare” un mezzo di trasporto su cui le industrie europee avevano un primato tecnologico e “culturale” – il tutto solo mascherato da ecologismo in maniera non diversa di come un certo imperialismo USA si maschera dietro “interventi umanitari” - ed il diesel difeso contro il benzina, essendo il dieselgate, come detto prima, un “protezionismo mascherato” degli Usa per difendere le proprie motorizzazioni a benzina obsolete e inefficienti).
Constatata l’inadeguatezza storica dei Tedeschi e preso atto dell’inconciliabilità fra Unione Europea e ogni immaginabile “vita sopportabile” per gli Europei (soprattutto maschi, a giudicare dall’infame e menzognera risoluzione anti-prostituzione, voluta dalle lobbies femministe, approvata senza neanche discussione da un parlamento di servi, e motivo, nel 2014, di una mia precisa “condanna a morte” dell’UE e dei suoi componenti), non resta che guardare più ad est, verso quei Russi che già Nietzsche vedeva più “moralmente sani” perché più “barbari”. Del resto, con la parziale esclusione della parentesi sovietica, la Russia ha sempre dimostrato di poter costituire, proprio come una “Terza Roma”, un “impero di terra” in grado di mantenere uniti (senza dissolverli nell’indifferenziato di un mondialismo e senza schiacciarli con uno sciovinismo di stampo francese) diversi popoli di antica tradizione e preziose specificità, al contrario del mondo angloamericano che, per il suo prediligere (fin dai tempi dei predatori antenati degli Anglo-Sassoni) l’interesse gretto e la rapina (e quindi, modernizzando, la finanza rapace), nonché per il suo essere “liquido”, socialmente e antropologicamente (il mare è proprio la rappresentazione simbolica di una visione del mondo che non riconosce i confini, - i “muri”, come va di moda dire oggi – e quindi le forme, le differenze, le identità solide), è probabilmente più simile alla nemica Cartagine.
Da Macron, da Henri-Levy, da questa Unione Europea negazione di ogni spirito veramente europeo, di ogni volontà destino propriamente europea, di ogni identità e volontà popolari genuinamente europee, ci salvi la Russia. Sia Mosca la Terza Roma che mai cadrà! Putin non permette che ci sia una Russia senza Russi. Putin ha Dugin e non scribacchini neoliberisti per consiglieri. Putin non deve ordinare alla sua polizia di sparare sui manifestanti. Forza gillet gialli, siete l’unica cosa che ancora ami della Francia! Morte al governo francese!