lunedì 24 novembre 2025

Con quale faccia?



I. INTRODUZIONE

Ovviamente non mi riferisco all’aspetto estetico.

Se lo facessi, nel caso della presidente del consiglio non varrebbe nemmeno il motto “ogni scarrafone è bello a mamma sua”, dato che una volta ella stessa riportò le parole della madre: “bella de ‘ mamma se’ sempre tanto brava… però truccate perché così me pari ’n ranocchio!”
E nel caso della Schlein l’idea non avrebbe parole (le “idee senza parole” sono della destra e nel suo caso le parole che si potrebbero trovare sarebbero offensive). E poi, essendo pure all’opposizione, infierire anche sull’aspetto non sarebbe da gentiluomini. La satira, difatti, si fa sul potere. A Berlusconi davano del nano e alla Meloni (sempre in nome della parità di genere) possiamo applicare lo stesso... metro (absit iniuria verbis), ma sull’altra meglio tacere.

Parliamo invece della “faccia morale”che le accumuna.

Con quale faccia le due “signore” della politica italiana possono e potranno chiamare alla mobilitazione intere generazioni di giovani maschi in future guerre contro la Russia o altre presunte “dittature”? Con quali parole proveranno a convincere i loro soldatini a rischiare la pelle ed a sacrificarsi per “la patria”, per l’Europa (o per “ideali” come il “progresso” e la “parità di genere”), dopo quello che stanno dicendo e soprattutto facendo?

Perché qualcuno dovrebbe morire per una nazione che per bocca dei suoi politici, dei suoi intellettuali, dei suoi magistrati, presenta il genere maschile come “colpevole a priori”, come “sbagliato”, come “eternamente oppressore”?
Ormai, infatti, la narrazione femminista, un tempo ad appannaggio solo di certi boomers orfani di Marx, è diventata, come si suol dire, “bipartisan”.

E allora deve diventare bipartisan anche la risposta maschile.
Non un uomo, non un soldo, non un maschio per la guerra. Non per difendere una “patria” che per le femministe dovrebbe essere chiamata “matria” e che, per volere della presidente del consiglio, valuta la vita di un uomo meno rilevante di quella di una donna (vedi la proposta di legge sul cosiddetto “femminicidio”) e (sempre per volere della presidente del consiglio, lieta di abbracciare le tesi della Boldrini e di farsi selfie con la Schlein) abolisce, per i nati maschi, il principio di presunzione do non colpevolezza (vedi l’altra proposta di riformulazione del reato di “violenza sessuale”).


II. SUL "FEMMINICIDIO"

Se qualcuno si permette di notare che l’incidenza dei reati violenti (ossia la percentuale di persone che delinquono appartenenti ad un dato gruppo umano) degli immigrati è “x volte” quella degli italiani, viene tacciato di razzismo (perché, sebbene faccia notare un fatto, il suo modo di porlo all’attenzione nasconde la volontà di mettere in cattiva luce una certa etnia…).

Se io faccio rilevare che, durante la rivoluzione bolscevica e lo stalinismo, una percentuale consistente (o comunque anche in questo caso “sovrarappresentata”) di dirigenti del partito comunista sovietico colpevoli di crimini contro l’umanità, dittature sanguinarie ed olocausti dimenticati come l’holomodor era di origine israelitica, vengo tacciato di antisemitismo (nonostante i dati siano storicamente accertati). Perché la necessità di impedire ad ogni costo che fatti storici e crimini reali vengano usato jn maniera strumentale per incitare all’odio o alle discriminazione contro interi popoli e che dalla colpa personale si passi a quella “collettiva” prevale anche su ogni libero dibattito storico…

Epperò, se si parla di crimini contro le donne, pare che il principio secondo cui la responsabilità penale è solo personale possa avere delle eccezioni. Altrimenti non si sentirebbero politiche e femministe parlare di “maschi da rieducare” o “società da rifondare”. Altrimenti non si sentirebbero nei talkshow frasi come “se il 95 percento dei reati violenti è commesso da uomini significa che c’è un problema culturale”. Altrimenti il femminismo mainstream non potrebbe usare le ondate emotive e di sdegno per fatti di cronaca nera come “argomento” per bollare come “misogino” chiunque osi dissentire dallo storytelling femminista/progressista. E approvare ogni 25 novembre leggi incostituzionali (e contrarie ad ogni diritto e ad ogni ragione).
Pazienza che si siano inventate un termine giuridicamente e storicamente ridicolo (perché per parlare di “femminicidio” servirebbe dimostrare la volontà coerente di un’entità statale o criminale di sterminare le donne, in maniera simile a quanto necessario per parlare di genocidio, per il quale non basta dimostrare l’esistenza di pochi o tanti crimini di guerra isolati o continuati…).
Pazienza che passino sotto silenzio come, volendo usare il medesimo vittimismo per “l’altra metà del cielo”, il 95 percento dei morti sul lavoro siano uomini (anche in questo caso si potrebbe parlare di “problema sociale” e di “mancata parità di genere in una società dove si considera la vita di un uomo sacrificabile per un magro stipendio…”).
Quanto non si può tollerare nemmeno con la pazienza di Giobbe è che per legge si stabilisca l’uccisione di una donna più grave di quella di un uomo. Inserendo infatti la prima come “reato autonomo di femminicidio” e imponendo di default la pena dell’ergastolo e lasciando invece la seconda nel generico reato di “omicidio” (dove la discrezionalità del giudica può partire da pene più lievi come “solo” 15-20 anni di carcere) si crea un grave vulnus nel principio costituzionale di uguaglianza di cittadini davanti alla legge….


III. SUL REATO DI VIOLENZA SESSUALE

Come tutti i mentitori, anche il femminismo inizia da qualcosa di apparentemente ragionevole. “Il sesso senza consenso è violenza”. Chi potrebbe sostenere il contrario? Peccato che la giurisprudenza non possa fondarsi su slogan (per quanto condivisibili) e debba invece basarsi su prove. Come si fa a “provare” di aver avuto il consenso?

Proprio per questa impossibilità, fino a ieri l’altro, si chiedeva a chiunque accusasse di violenza qualcun’altro di provare almeno l’assenza di consenso tramite la presenza di violenze più o meno esplicite (e no certo “presunte”).

Infatti il reato si chiama “violenza” sessuale, non “sesso senza consenso”. Ovvero il delitto consiste nell’usare violenza (o altra forma di coercizione o inganno, come quella indicate nell’articolo 609, come la sostituzione di persona, la minaccia, l’approfittare di inferiorità fisica o psichica ecc.) per ottenere un rapporto sessuale (presumibilmente a questo punto ovviamente senza consenso), non nel porsi in condizione di non essere in grado di dimostrare di aver ottenuto un “consenso libero e attuale”.

I Romani, addirittura, che, nel loro apollineo amore per la chiarezza, odiavano qualunque forma di opacità giuridica e di ambiguità legale (introdotte poi da barbari e bizantini…), non guardavano neanche al consenso ed in automatico consideravano violenza qualunque atto con una donna che fosse sotto la patria potestà altrui.
Certo questo non poteva essere mantenuto nel contesto dei diritti individuali proprio al moderno stato di diritto.
Ma non si è certo dovuto aspettare neppure la modernità (e tantomeno il femminismo): già nel medioevo un principe illuminato, 
Federico II di Hohenstaufen (non diciamo di Svevia altrimenti gli scribacchini dei giornali scrivono poi “Svezia” come già avvenuto qualche annetto fa…) aveva promulgato leggi imperiali (quindi valide in tutto il Sacro Romano Impero) in difesa della donna, che punivano la violenza a sfondo sessuale. Ovviamente la vittima doveva dimostrare di essersi “adeguatamente difesa” (proprio perché già allora era impossibile dimostrare altrimenti il consenso e per evitare episodi come quello della principessa di Avignone in "Brancaleone alle Crociate", dove la dama, per non dover ammettere di “fare peccato” concedendosi spontaneamente, si concede solo a chi la “branchi” con violenza).
E’ ovviamente una bufala che nel “patriarcato” (qualunque cosa ciò voglia dire) lo stupro non fosse un reato. Non bastasse l’episodio della cacciata dei Tarquinii da Roma (in seguito allo stupro di Lucrezia commesso da Bruto, figlio di Tarquinio il Superbo: tanto grave era per i romani quel fatto che cacciarono addirittura il re… alla faccia della presunta “cultura dello stupro”), basta guardare al codice Rocco fascista. Se prima la “difesa” della donna era troppo spesso delegata al padre o alla famiglia, lì nasce (giustamente) il reato di violenza carnale con cui lo stato tutela tutte le persone, ed in particolare tutte le donne, a prescindere dallo stato civile, dalla condizione sociale e dalla “reputazione” (protegge, giustamente, anche le prostitute).
La legge attuale sulla “violenza sessuale” risale al 1996 e di nuovo, rispetto al precedente reato di violenza carnale, aveva due aspetti, uno condivisibile e l’altro meno. Quello condivisibile è stato il passaggio da reato contro la morale a reato contro la persona. Quello meno condivisibile è stato l’inserire potenzialmente nella “violenza sessuale” non solo tutto quanto ogni mondo civile ha da sempre riconosciuto e punito come stupro, ma qualsiasi non meglio definito “atto sessuale”. E’ lì che femministe radicali, scribacchini intellettualizzati e giudici fantasiosi hanno (a volte, ovviamente non sempre) inserito letteralmente di tutto: dal concedersi “controvoglia” della moglie alla prestazione non pagata alla prostituta, dalla (villana e incivile sì, ma violenta anche no) mano sul sedere al do ut des della dipendente in carriera che si concede al capo e poi si pente, dalla ragazza che racconta di non ricordare nulla dello “sballo” della sera prima in cui si è ritrovata a letto con uno sconosciuto alla ex-fidanzata o ex-moglie che, per ripicca o per interesse  (nella causa di divorzio) definisce ex-post obbligato un rapporto a cui invece si era prestata volentieri.


IV. SUL CONSENSO LIBERO E ATTUALE

Quindi che cosa avrebbe di nuovo la riformulazione proposta dalla Boldrini ed approvata dalla Meloni assieme alla Schlein?
Che sia necessario avere il consenso era ovvio da secoli. Pare che la novità sia una sorta di “inversione dell’onere della prova” relativamente al consenso.
Ma ciò, oltre ad essere un abominio in generale (dovrebbe sempre essere l’accusa a dimostrare al di là di ogni ragionevole dubbio la colpa dell’imputato, non questi a dover cercare prove a propria discolpa…), è proprio impossibile nello specifico: essendo il consenso uno “stato interno” della mente della presunta vittima, nessuno, per quanto intimo conoscente, potrà mai essere sicuro della sua presenza (se non appunto basandosi su manifestazioni esterne registrabili e verificabili come la parola, il gesto, l’atteggiamento, ecc.). Ma anche registrando, filmando e fianco certificando tutto con marca da bollo, firme e controfirme, l’accusatrice potrà sempre dire di aver cambiato idea, di star fingendo, di non essere mai stata convinta fino in fondo… e l’accusato non avrà nessun modo per smentirla.

Già adesso è possibile essere accusati, processati e forse pure condannati senza prove, per colpa di una sentenza della Suprema Corte di Cassazione risalente (vado a memoria) al 2010, dove si scrive che, in mancanza di riscontri oggettivi o testimonianza terze della presunta violenza, il giudice può acquisire come “fonte di prova” la semplice testimonianza della “parte lesa”, qualora ritenuta “credibile con motivazione”. Motivazioni che “scienza” forense individua nella “credibilità oggettiva” del racconto, il quale deve essere privo di contraddizioni, coerente, plausibile almeno in abstracto (come se, contro l’insegnamento kantiano, l’essere fosse un predicato, come se i talleri immaginari - di cui Kant parla per smentire la prova ontologica di Sant’Anselmo sull’esistenza di Dio - avessero caratteristiche diverse da quelli reali a parte il fatto - rilevabile soltanto con l’esperienza e non con la speculazione - che i primi non esistono ed i secondi sì, come se, insomma, un romanzo “verista” fosse la stessa cosa di un fatto storico verificato) e nella “credibilità soggettiva” della denunciante (come se fosse possibile distinguere, nella stessa persona, il ruolo della parte in causa e quello della testimone imparziale).

Già da 15 anni si leggono in rete casi di ex mariti che perdono tutto perché, per trattare la causa di divorzio da una posizione di forza, la ex moglie li accusa di violenza (intanto finiscono nei guai poi magari dopo anni dimostrano o la loro innocenza), di ragazzi che passano un paio d’anni ai domiciliari (per poi in alcuni casi essere assolti ed in altri condannati senza prove) perché la fidanzatina (per paura di prendere le botte da un padre retrivo) racconta di essere stata stuprata o perché la loro “conquista” occasionale (per non “perdere la reputazione” con le amiche o semplicemente perché a mente fredda valuta quel rapporto come “nocivo alla propria immagine” in moderni termini di “marketing delle relazioni”) si pente di aver ceduto fra “i fumi dell’alcool e della trasgressione” e racconta di non aver dato il consenso.

Già adesso, per restare ai casi diventati famosi negli ultimi anni, vi sono parecchie situazioni di condanne perlomeno dubbie. Quella del figlio di Beppe Grillo, ad esempio. Non conosco né i dettagli né le persone coinvolte e dall’esterno è perfettamente possibile che, trascinato da un delirio di onnipotenza da bullo di periferia. abbia approfittato di ragazze non consenzienti usando droghe e alcol per estorcere loro, assieme ad amici complici, un rapporto non consensuale. Ma è parimenti possibile che siano state invece le ragazze ad approfittare della propria avvenenza e della “debolezza psicosessuale” altrui per “estorcere” un passaggio in auto, una notte in villa, un uso esclusivo della piscina e delle altre “facilities” tramite comportamenti e pronunciamenti sessualmente ambigui, lasciando volutamente intendere una certa “arcana promessa di felicità” (in gergo: “facendogliela annusare”).

Se stare in intimità con i ragazzi era cosa così traumatica per loro, perché accettare il loro invito a dormire nella stessa casa? Se i rapporti avuto sono stati un trauma, con quale leggerezza sono andate il giorno dopo tutte sorridenti a fare surf?

Certo, essere delle “profumiere” non implica meritare delle violenze, ma nemmeno avere diritto a raccontare di essere state violentate se di segni di violenza non c’è (come in questo caso) obiettivamente ombra ed invece ci sono molte ombre su tutto il resto.

Per stabilire un (legalmente e moralmente assai dubbio, peraltro) “diritto a fare le profumiere” da parte delle belle ragazze, mica possiamo togliere la presunzione di innocenza a tutti gli altri, o no?!

Poi ci sono pure i casi in cui l’innocenza dei condannati è stata certificata dalla stessa (falsa) vittima, la quale (dopo essere passata per vittima di uno stupro di gruppo finito su tutti i tg), ha scelto di fare del sesso di gruppo una professione, ha aperto una profilo onlyfans dedicato alle gang bang, litigato con l’attuale fidanzato (fino ad essere denunciata per stalking) e, registrata di nascosto nel fuori onda di un podcast, ha ammesso: “sono stati così coglioni che si sono dichiarati colpevoli e manco si ricordano che glie l’ho detto io di mettermelo dentro… praticamente me l’hanno messa sotto il naso l’occasione di accusarli” (a dimostrazione che non sono un’invenzione maschile le donne “borderline” che si “divertono” con le false accuse… così come del resto non sono purtroppo un’invenzione femminile gli stupratori veri! E la legge deve proteggere dalle une come dagli altri!). “Non cambia niente” - dicono le femministe, “perché comunque lei è un soggetto borderline”. Ma noi non possiamo, per la mania di far dipendere tutto dalle indecisioni e dagli instabili stati mentali e psicologici di una pornostar in erba, spezzare le vite di giovani ragazzi innocenti, come è stato fatto da questo stato “patriarcale” che li ha condannati (mi verrebbe da ridere, se non ci fosse da piangere).


V. ASSURDI TEORICI E PROBLEMI REALI

“Un no è no” - recita un altro slogan femminista usato già dai tempi dell’introduzione del reato di “stalking”.  Peccato che, per retaggio culturale “stilnovista” o, più prosaicamente, per “vantaggio psicologico-tattico” attuale, molte donne usino i no per forse, i forse per sì e se si chiede loro un sì esplicito (come le femministe dicono sia necessario) si sentono “svalutate” e si offendono.
Vengono da parte femminile, infatti, tutte le lamentele sugli “uomini che non ci provano più” e sui “ragazzi di oggi così pigri e insicuri che si arrendono ai primi no e non hanno più la pazienza e il coraggio di insistere e resistere fino a conquistare una donna…”.
A noi uomini lo slogan femminista andrebbe benissimo, se poi avesse come controparte, accanto all’obbligo per l’uomo di rispettare i no, un obbligo per la donna: “se è sì, dillo forte e chiaro subito, anziché lamentarti dopo che… non ci sono più gli uomini di una volta”.

Paradossalmente, le uniche “radicalmente femministe” in termini di “consenso libero e chiaro” sono proprio le prostitute: solo con loro ho visto in atto tutte le “dichiarazioni” e le “procedure” richieste dagli slogan femministi in termini di “sì esplicito” e “partecipazione attiva”. Cosa si può e cosa non si può fare, se è sì e fino a quanto dura il sì, “adesso basta”, “se vuoi proseguire… insert coin”, “se vuoi venire lì devi pagare l’extra”, “questo lo faccio e questo no”, “no questo no”, “sì questo vabbè di solito no ma con te sì però con l’extra…”, il consenso libero e il motivo per cui è dato, cosa bisogna dare in cambio, ecc.
Certo, poco poetico, ma è il prezzo da pagare per non avere ambiguità.

Ma l’ambiguità (o, per dirla col Leopardi, il vago) è l’unica condizione in cui la poesia può vivere. Infatti nei rapporti “romantici” non c’è nulla che abbia a che vedere con moduli di consenso, burocratese esplicito e carte bollate, né con il set di un film porno o con il sesso esplicito in genere… 
Se Ovidio, nell’ars amandi, paragonava l’amore alla guerra, il motivo è proprio questo: non si può mai dichiarare in anticipo le proprie mosse, chiedere consensi preventivi e parlare in termini di scambio come al mercato… Il rapporto, dal primo incontro fino all’atto conclusivo, è un continuo scivolamento in cui chi “attacca” deve sempre “sorprendere” il nemico (perché l’attacco abbia successo… ) ed è costretto a farlo “alla cieca”, valutando solo in base alle reazioni della controparte se insistere o “ritirarsi”. E’ stato così per migliaia di anni ed è ancora così persino nei paesi occidentali femministi di oggi, dove tutte le ragazze pretendono (ahimé, è il motivo per cui da tempo ho smesso di corteggiare… ma questa è un’altra storia) che sia l’uomo a fare la prima mossa e nessuna ragazza che non sia una escort (o un’aspirante pornodiva) accetterebbe mai di essere di fatto trattata come Valentina Nappi alle prese coi moduli del consenso prima di una prestazione filmata…

Ma che chi propone certe leggi non sia sintonizzato con la realtà è evidente anche dal lato opposto: le stesse sostenitrici del “consenso esplicito” lo motivano con la necessità di tutelare le donne che si “immobilizzano per la paura” e subiscono l’atto sessuale contro la propria volontà solo per non essere riuscite nemmeno a dire (a parole o a gesti) “no”.
Se questo può ragionevolmente accadere nel caso di un’aggressione ad opera di uno sconosciuto, situazione in cui in effetti la paura può mandare in “freezing” il cervello, risulta difficile sia il caso di situazioni “romantiche” (perché se una donna si sente tanto tesa in compagnia di un certo uomo non avrebbe neanche senso per lei appartarsi con lui o dargli corda…).
Pare che le femministe abbiano in pieno XXI secolo ancora l’immagine della neosposa di metà Ottocento che, ignara di ogni “educazione sessuale”, se ne stia rigidamente prona sul letto aspettando, in una rigidità di terrore misto ad attesa messianica, che il novello signor marito la “assalti” spalancandole con la forza le porte dell’estasi.
Chi abbia invesca avuto rapporto recenti e terreni con donne nate in questo secolo, sa che, nel 2025, le donne, anche le più giovani, sono tutt’altro che rigide, terrorizzate e ingenue nella sessualità ed anzi (ma grazie a Dio!) partecipano attivamente a tutti i tipi di rapporto.

Per cui, se posso essere d’accordo nel sostenere che, nel caso in cui una donna si irrigidisca e non partecipi più al rapporto l’uomo dovrebbe astenersi da qualunque altra azione prima di averne compreso il motivo, continuo ad essere perplesso sul punto della dimostrabilità del consenso: dopo un rapporto consensuale in cui la donna ha partecipato attivamente a tutte le fasi, come fa l’uomo a dimostrare a terzo che, appunto, il rapporto è stato consensuale?

Hanno posto la domanda ad un togato di alto rango (mi pare il presidente del tribunale di Milano o qualcosa del genere) ed egli ha risposto: 
“Naturalmente sarà necessario verificare le condizioni in cui si è consumato l’atto sessuale. Ovviamente non è che si arriva al punto di chiedere un consenso scritto, ma diciamo che d’ora un poi questo è un problema degli uomini”.
Quindi non i soliti “siti maschilisti”, non gli attivisti della questione maschile, non i blogger complottisti e antisemiti come me ed altri (secondo le accuse), ma un togato ammette che l’obiettivo della legge è di invertire l’onere della prova. Mettendo nei guai non gli stupratori certi (chi aggredisce per strada non si pone certo il problema del consenso), ma tutti (e dico tutti) i nati maschi che vogliano avere un rapporto intimo con una donna che non sia una escort dichiarata.


VI. IL RETROPENSIERO NEO(NAZI)-FEMMINISTA

Qui sono state accolte tutte le istanze del peggior femminismo radicale degli ultimi 20 anni.
Solo 15 anni fa, nonostante tutto (leggi sbagliate sullo stalking, sentenze incostituzionali della corte di cassazione, propaganda mediatica femminista già a go go), il principio “a priori siamo tutti non consenzienti, per cui in caso di accusa è l’uomo a dover dimostrare di non essere colpevole provando il consenso” era uno scenario dispotico che si poteva leggere solo nei siti ultrafemministi americani (ai tempi spesso pure populisti e pieni di proposte tipo castrazione chimica o peggio… si cerchi per parole chiave “Douge’s Law”).

Oggi ne parlano i magistrati interpretando la volontà delle promotrici della nuova legge. Legge passata all’unanimità, su proposta della neofemminista più radicale d’Italia (Laura Boldrini) e per accordo delle due ali estreme della politica, la “fascista” Giorgia Meloni e la “comunista” Elly Schlein.
Questo significa che la democrazia è diventata una farsa, che tutti i partiti sono solo teatro alla pari del partiti dei contadini nei paesi dell’est comunista (finta opposizione).

Per chiunque conosca il fenomeno del neofemminismo e la sua natura non solo apertamente illiberale (questo era già evidente dagli attacchi alla prostituzione libera ed alle cene eleganti di Berlusconi... una delle poche "cose buone" del suo governo), ma a tratti persino ferocemente nazista (palese da quando si pone fra le violenze/molestie qualunque naturale espressione della sessualità maschile - dal complimento alla poesia, dalla fantasia allo sguardo… oggi persino la masturbazione e il porno - per far sentire in colpa chiunque per il semplice fatto di essere nato coi cromosomi XY, ogniqualvolta prova desiderio, ogniqualvolta fantastica sulla bellezza ogniqualvolta respira, ogniqualvolta apre bocca) è evidente il retropensiero che si vuole affermare con forza di legge. Per queste femministe non solo tutto ciò che minimamente ed ipoteticamente sfiori la loro suscettibilità è “violenza” (anche solo uno sguardo, anche solo un pensiero, anche solo una parola, anche solo, soprattutto, parole di dissenso dalla loro narrazione colpevolizzatrice del genere maschile), ma è “stupro” qualunque rapporto sessuale avvenga al di fuori di quella condizione di potere di scelta unilaterale ed assoluto che, quasi sempre, il genere femminile ha avuto “allo stato di natura” (le femministe direbbero “prima del patriarcato”) ed ancora ha nell’età scolare (quando la controparte maschile non ha ancora avuto tempo e modi di sviluppare “armi” per bilanciare la bellezza che già fiorisce sulle coetanee) e, oggi (per colpa dell’infantilizzazione della società e di una iniqua pretesa di “parità” di genere) anche oltre.

Il termine “consensuale” viene declinato solo dal lato femminile: solo se l’enorme disparità di numeri e desideri nell’amore sessuale (voluta dalla natura per fini incorrelati ad ogni concetto di equità e felicità umane ed unicamente afferenti alla selezione e la propagazione della specie) favorevole grandemente alle donne (cui spetta il più comodo ruolo di selezionatrici rispetto all’ingresso e faticoso ruolo maschile di “spermatozoo” che per sopravvivere deve competere e vincere) e da queste sfruttata quasi sempre senza limiti remore né regole, non ha un bilanciamento da parte maschile, solo se la “dama” di turno può far passare il pretendente sotto le forche caudine del vecchio corteggiamento (dove tante, troppe donne si permettono letteralmente di tutto: qualunque umiliazione pubblica e privata, qualunque irrisione al disio, qualunque inflizione di dolore fisico e mentale) oppure di’ scegliere senza corteggiamento ma con un click (come da una app di dating) qualcuno di decisamente più bello di loro (esempio preclaro: la sub-5 Meloni con l’over-7 Giambruno… eternamente liceale nella testa) le donne-femministe parlando di “consenso libero”.

Se invece l’uomo, per ottenere il rapporto, ha da offrire finalmente qualcosa di cui la donna ha bisogno/brama di intensità pari a quanto da lui provato davanti alle di lei grazie, se ha, ad esempio, “armi” come look, money e status per bilanciare tutto quanto in desiderabilità e potere è dato alle donne dalla natura e trova il modo per avere davvero (al di là dalle retorica costituzionale) pari possibilità di scelta e pari forza contrattuale in quanto conta davanti alla natura, alla discendenza ed alla felicità individuale, allora si parla di “forme di violenza”.

Se c’è di mezzo il money (come nel caso della prostituzione dichiarata dell’escorting o di quella non dichiarata dello sugardating, o ancora in quella “tradizionale” del matrimonio in cui in cambio del mantenimento il marito ottiene la compagnia ed i favori - amorosi e non solo - femminili) parlano di “violenza economica” (anche se tale termine si addice di più a certe pretese di mantenimento ed a certe rapine in sede di divorzio) o di stupro a pagamento (anche se a volte la prostituzione di oggi è spesso truffa sessuale ai danni di certi maschi sprovveduti…).

Se l’uomo ha lo status (come nel caso del regista o del dirigente che possa offrire una carriera in cambio di un fidanzamento, o semplicemente nel caso di chi, avendo una posizione sociale elevata, gode di un’aurea di “fascino e autorità”) parlano (come quelle del metoo) di abuso di autorità oppure di patriarcato (dopo però aver accettato il do ut des, averne goduti i vantaggi del momento, prima di essere invecchiate ed essersene pentite ex-post).

Ora, se l’uomo ha il look (ossia il fascino che attrae a prima vista) parlano di “stupro": perché le one night stand (i rapporto occasionali) sono già ora ad appannaggio solo degli uomini bellocci (i normaloidi sono sessualmente invisibili nei locali ed hanno occasioni solo all’interno di long term relationship, in cambio di beta-providing). Ed ora anche i belli a cui le donne si concedono rischiano la denuncia se esse, soddisfatto il capriccio di una notte e tornate all’abituale depressione da gattare, o insoddisfatte per essere state scaricate e non aver avuto un fidanzamento, raccontano al PM di non aver dato un “consenso libero e attuale”.


VII. TERTIUM NON DATUR

Delle due l’una. O questa modifica all’articolo 609 bis del Codice Penale avrà un mero valore “esornativo”, di placebo per le femministe, e non avrà alcun effetto (se non quello propagandistico utile a governo ed opposizione per mostrare di aver saputo “lavorare assieme”). E non sarebbe la prima volta (da Tangentopoli in poi abbiamo provato tutti - Berlusconi e Prodi, Grillo e Salvini, Renzi e la Meloni - e nessuno ha mantenuto le promesse). Oppure avrà effetti che saranno catastrofici sulla vita e la psiche della totalità della popolazione maschile (e, di riflesso, pure femminile: allorquando gli uomini capiranno i rischi insiti in ogni situazione di intimità, i più avveduti preferiranno recarsi, pagando, all’estero negli FKK, piuttosto che rischiare di pagare col carcere approcci più o meno riusciti con le italiche donzellette, del cui livello estetico medio, del resto, Meloni e Schlein sono pienamente rappresentative, specie guardando alle militanti femministe… ma questo esula dal discorso… e non mi si dica che faccio body shaming o sessismo…  se loro suppongono tutti gli uomini stupratori, e quindi "bruti", fino a prova contraria, io potrà ben supporre tutte loro, fino a prova contraria... perlomeno brutte!).

Ma il fatto stesso che l’approvazione della nuova legge sul consenso libero e attuale sia stata accompagnata da un’azione di propaganda coordinata da tutte le forze politiche e salutata come un “progresso” dalla esponenti della stessa magistratura, che evidentemente accolgono acriticamente le tesi del femminismo radicale, fa decisamente propendere per la seconda ipotesi.

“Il consenso deve essere esplicito e non essere dedotto da atteggiamenti ambigui” - scrivono ancora le femministe su YouTube per replicare alle giuste osservazioni degli uomini “risvegliati”.

E allora a quale scopo mettere in atto atteggiamenti ambigui e far credere, con movenze, parole dette o non dette, (s)vestimenti o altro, che vi sia una disponibilità in effetti non sussistente o che poi si dissolve?
Dobbiamo forse dedurre che l’ambiguità sia voluta? Che si voglia suscitare disio solo per compiacersi della sua negazione (e di come questa, resa massimamente umiliante e dolorosa possibile da una raffinata e studiata perfida, possa suscitare le pene dell’inferno della negazione dopo la promessa del paradiso della concessione)? Che il fine sia non l’amore o il sesso ma la stronzaggine bella e buona, ossia il “gioco” di indurre ad arte a farsi avanti chi non si è interessate a conoscere (biblicamente o meno) ma solo ad attrarre e respingere per capriccio, moda e sadico diletto? A mostrarsi belle per attrarre tutti, e far sentire chi non viene ritenuto all’altezza un puro nulla, uno fra i tanti, un banale scocciatore? A chiamare “molesti” gli stessi che si sono voluti illudere e deludere per capriccio, moda, vanità, gratuito sfoggio di preminenza erotica, o calcolo economico sentimentale (mostrare il proprio valore agli occhi di uomini più interessanti, vero obiettivo del gioco di società)? Checché ne dicano le femministe, non ho mai sostenuto che le “stronze” meritino la violenza, ma, piuttosto, che il loro modi di agire socio-sessuale sia già, in sè, una non punita forma di molestia (per non dire violenza) sessuale e psicologica. Ora no solo, a fronte dell’iperbolica attenzione sulle minime e presunte molestia da parte maschile, la stronzaggine di certe donne viene ancora presentata come “normalità da sopportare senza fare storie” o addirittura “bello dell’essere donna”. Ma, per tutelare l’inesistenze e perverso “diritto a fare le stronze” (ovvero ad usare l’arma della bellezza e della sensualità per ferire, irridere e umiliare chi si trova in una condizione di debolezza psicosessuale, a similitudine di quanto i bulli facciano con la forza fisica contro i ragazzi più piccoli), si arriva a stravolgere ogni diritto ed ogni ragione nel codice penale. Non si spiegherebbe altrimenti la risposta che il togato di cui sopra ha creduto di poter impunemente dare a chi gli paventa il rischio dell’inversione dell’onere della prova. 

“Adesso dovrà essere l’uomo a dimostrare che la donna era consenziente?” - “Se io fossi un pm, davanti ad una donna che mi dice di aver subito violenza, la prova c’è già”. Poi naturalmente andrà valutata nel dibattimento. Diciamo che se l’uomo non è sicuro del consenso della donna, farà meglio ad astenersi. Ed è un principio di enorme civiltà”.

A questo punto meglio astenersi anche dall’esser cittadini italiani. Io rifiuto di essere cittadino di una nazione dove il sacro principio della presunzione di innocenza viene meno per rendere omaggio alla demagogia femminista imperante.

Se civiltà per tutto il resto opposte, come quella Romana (“in dubio pro reo”) e quella Ebraica (dove nella Bibbia il Signore comanda a Mosè di mandare assolto persone il figlio accusato di parricidio, piuttosto che rischiare di condannare a morte un innocente), hanno avuto da sempre proprio la presunzione di non colpevolezza come punto in comune, dovremmo pensare che risieda proprio in essa il principio di ogni civiltà.

Solo epoche barbariche come l’alto medioevo, l’Inquisizione, il terrore giacobino o quello stalinista hanno, per presunti “beni superiori” di volta in volta chiamati “salvezza ultraterrena”, “rispetto verso dio”, “salute pubblica”; o “difesa della rivoluzione”, sovvertito il principio ed imposto all’imputato di provare di essere estraneo alle accuse.

La storia le ha giudicate. Così come giudicherà anche, un giorno, i giudici e i legislatori di oggi. O chi fra i cittadini, è stato zitto.
Il minimo che si possa fare è esprimere il proprio dissenso in ogni modo luogo (dire “no” non deve essere una prerogativa delle donne che ricevono avances, ma di tutti gli esseri umani a cui vengono proposte anzi imposte leggi contrarie al diritto ed alla ragione). E, se non basta, ricorrere alla disobbedienza civile, alla rivolta fiscale o ad altre forme che, però, abbisognano, come ne caso della lotta al nazifascismo, dell’appoggio esterno. Credo infatti che, se siamo giunti al punto in cui persino fascist* e comunist* (notare gli asterischi del linguaggio inclusivo) concordano per mandare in galera anche senza prove il cittadino medio maschio (bianco, occidentale, bla bla bla), la questione non possa più essere risolta con tutti gli altri metodi che dal 1945 sono sempre bastati in democrazia. Se leggi come queste non vengono fermate dalla Corte Costituzionale (come in passato avvenuto con il "carcere obbligatorio" per i soli accusati di violenza sessuale... porcheria giuridica della premiata ditta Berlusconi & Carfagna), potrebbe essere necessario, per liberarsene, attendere una guerra civile e di liberazione, come avvenuto nel periodo 1943-45. E, per vincerla, servono l’Armata Rossa e i loro discendenti.

Poi ci si chiede perché “ci sono tanti putiniani in Italia”. Perché nella Russia del “dittatore” Putin la costituzione (proprio per prendere le distanze dal periodo sovietico come la nostra le prende  dal periodo fascista) stabilisce a chiare lettere che nessuno cittadino è costretto a provare la propria innocenza. E lì nessun giudice parlerebbe mai come l’innominato di cui sopra, ma, soprattutto, non condannerebbe mai un ragazzo che si è appartato con una ragazza solo perché questa, senza dimostrazione, poi racconta di aver revocato ad un certo punto il consenso.

Il principio è “in dubio pro reo”. Non “in dubio pro donna”, come pretende l’occidente ormai totalmente sovvertito e preda del totalitarismo di questo secolo.


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