Sono antifemminista perchè non voglio che le donne possano mantenere
gli antichi privilegi (corteggiamento, galanteria, mantenimenti, protezioni,
favori materiali e psicologici) assieme ai moderni diritti.
Sono antifemminista perchè voglio sia data agli uomini almeno la
possibilità di compensare (con lo studio, il lavoro, la posizione sociale, il
prestigio, la ricchezza, la cultura, il potere e quant'altro possa conseguire
da meriti o fortune individuali) tutto quanto, in desiderabilità e potere, è
dato alle donne per natura dalle disparità di numeri e desideri nell'amore
sessuale nonché da quelle psicologiche legate alla predisposizione all'esser
madri.
Sono antifemminista perchè solo bilanciando in tal modo i poteri nella
realtà effettuale (non quella delle figure dello spirito hegeliane, astrazioni
intellettualizzate sempre presenti al fondo dei discorsi del socialismo
progressista in genere e del femminismo in particolare, ma quella abitata da
persone reali con istinti veri e concrete azioni), solo riducendo il vantaggio
femminile nella realtà di ogni “stato di natura” (quello dei desideri naturali,
degli impulsi vitali, dei bisogni psichici innati e profondi che muovono
ultimativamente ogni azione ed ogni scelta umana alla fine, anzi, al principio,
della catena delle cause, quello insomma che Schopenhauer chiamava “mondo come
volontà”), grazie a costruzioni di origine e significato propriamente virili
nel “mondo come rappresentazione” (educazione, arte, etica, stato, società), è
possibile anche per gli uomini avere la stessa possibilità di scelta e la
stessa forza contrattuale delle donne in quanto davvero conta davanti alla
natura, alla discendenza ed alla felicità individuale, in altre parole, pari
opportunità di vivere liberi e felici.
Sono antifemminista perchè non voglio che una moglie dica al marito
cosa fare, gli imponga di fare, o induca a fare (o non fare) qualcosa, grazie
semplicemente alla aperta o tacita minaccia di privarlo dell'appagamento dei bisogni
naturali legati ai sensi (tale minaccia, pur sempre esistita nella storia,
diviene vera fonte di tirannia nel matrimonio femminista, il quale impone
l'obbligo di fedeltà senza vincolarlo a quanto un tempo erano allusoriamente
detti “doveri coniugali”, con le conseguenze immaginabili per il sesso più
bisognoso di appagare i sensi carnalmente).
Sono antifemminista perchè non voglio che una fidanzata possa
convincere il fidanzato, indurlo o costringerlo a fare qualcosa che odia o che
lo degrada (montare mobili, fare shopping noioso, girare per l’Ikea nel w/e) o
a vivere la vita diversamente da come egli vorrebbe con la esplicita o
malcelata minaccia di lasciarlo, la quale, da legittima che è in ogni stato
liberale, diventerebbe invece totalitaria, terribile e paralizzante se, come
vorrebbero gli stati femministi, non fosse possibile per i garzoncelli, in
alternativa al fidanzamento, rivolgersi alle sacerdotesse di Venere prostituta
per appagare i loro bisogni di bellezza e piacere.
Sono antifemminista perchè non voglio che (come inevitabilmente avviene
in occidente in conseguenza della sopravvalutazione estetico-filosofica della
figura femminile operata da un femminismo che altro non fa se non proseguire
con altri mezzi ideologici la stupidità cavalleresca dell'alto medioevo) una
ragazza, più o meno bella, più o meno colta, più o meno intelligente, più o
meno ricca, possa far sentire qualunque ragazzo (magari anche di livello
estetico, intellettivo e di estrazione socioculturale pari o superiore) uno “sfigato”
trattandolo con malcelata sufficienza, o addirittura con aperto disprezzo e con
pubblica irrisione solo perchè non corrisponde ad assurde pretese da rotocalco,
ha timidamente tentato un approccio o ha ingenuamente cercato di carpirne i
favori in maniera a posteriori non corrispondente agli inconoscibili gusti ed
agli imperscrutabili fini dell'interessata.
Sono antifemminista perchè non voglio che un ragazzo si senta obbligato
a far propri pensieri, opinioni e visioni del mondo difformi dal proprio sé autentico,
ad adottare stili di vita non amati, a prendere scelte di lavoro o di studio
non pienamente conformi alla propria speranza di felicità e di libertà solo e
soltanto per avere una speranza di essere mirato, amato e accettato dalle
società femminil-femminista e dalle donne, o solo e soltanto per aumentare, con
il numero delle persone con cui venire in amichevolmente contatto, la
probabilità di incontrare una fanciulla desiderabile di cui essere oggetto di
scelta (la quale diviene unilaterale e imprevedibile, come ogni arbitrio ed
ogni tirannia, quando non viene compensata e frenata dalle strutture e dalle
posizioni sociali con forme che la demagogia femminista chiamerebbe
superficialmente “discriminazioni” - come appunto la possibilità per un ragazzo
capace e meritevole nello studio di accedere a posizioni di ricchezza e
prestigio superiori a quelle mediamente possedute dalle fanciulle desiderabili
- ma che hanno il solo scopo di rendere bilaterale la scelta e bilanciato il
potere).
Sono antifemminista perchè, se una ragazza ha la bellezza (o, meglio,
la sua illusione generata dal disio) per essere universalmente mirata,
amorosamente disiata, socialmente accettata (al primo sguardo, con la rapidità
del fulmine e l'intensità del tuono, senza bisogno di inventarsi qualcosa per
distinguersi dalla massa, senza necessità di mostrare altre doti, senza obbligo
di compiere quelle particolari imprese cui sono invece costretti i coetanei
“cavalieri”, i quali senza esse restano puro nulla socialmente trasparente),
allora è giusto, o perlomeno equo, che un ragazzo possa conseguire doti
immediatamente evidenti e valide intersoggettivamente al pari della bellezza
con cui “star di paro” a colei da cui è ineludibilmente attratto (non parlo di
quelle particolari doti di sentimento o intelletto, di apprezzamento del tutto
soggettivo, arbitrario e spesso pure casuale, che tanto gli uomini quanto le
donne possono avere, che hanno bisogno di modi e tempi particolari per
esplicarsi, magari di colloqui solus ad solam per rivelarsi reciprocamente, che
per persone non predisposte possono pure parere difetti insopportabili e che
dunque non possono dare alcun bilanciamento di prima attrazione e di successivo
potere, ma di quelle che, da subito evidenti, per tutti validi e da tutte desiderabili,
realizzano la magia di rendere a priori interessante per la donna concedere
quel colloquio in cui eventualmente, possono farsi sensibili i sogni e i taciti
pensieri, la delicatezza d'animo, la raffinatezza d'intelletto, la squisitezza
di cultura, la magnificenza dello spirito, la magica capacità di generare
immagini e suoni con le parole chiamata poesia, la facoltà, chiamata prosa, di
raccontare storie, miti e avventure per dire l'indicibile di sé, per parlare
con parole più brucianti delle più brucianti carezze, per comunicare all'altra
anima con un flusso più continuo dello scorrere di un torrente, e quant'altro
può essere espresso con la capacità e l'ordine del dire, con la modulazione
della voce, la scelta dei vocaboli, le sfumature degli aggettivi, e i sottesi
delle storie, i silenzi più eloquenti delle più eloquenti parole, i quali
sarebbero tutti inutili chiavi di porte per camere ignote appese al muro senza
la possibilità di aprire, prima, la porta principale con la master-key del primato
e del prestigio sociale).
Sono antifemminista perchè non ritengo “naturale” che (come avviene
sempre nei paesi femministi nonostante si faccia finta del contrario) fanciulle
di bellezza non alta ma di comportamento sempre altezzoso possano sfruttare le disparità
naturali di desideri per tirarsela all'inverosimile, che fanciulle anche solo
lontanamente paragonabili al moderno eterno femminino possano già atteggiarsi a
miss mondo, avendo in ogni tempo e luogo stuoli di amanti, ammiratori e
corteggiatori, che qualunque creatura, nata per caso donna, possa comunque
trovare la sua piccola “corte dei miracoli” di mendicanti d'amore (che stanno
sulla porta come i clientes in attesa della sportula).
Sono antifemminista perchè non voglio che il “fare la stronza” (ossia
suscitare ad arte il disio solo per compiacersi della sua negazione e di come
questa, resa massimamente beffarda, dolorosa e umiliante da una studiata e
raffinata perfidia, possa gettare nell'inferno della delusione dopo le promesse
del paradiso della concessione; attirare direttamente o indirettamente chi non
si è affatto interessate a conoscere bensì soltanto a respingere, deridere
intimamente o pubblicamente facendolo sentire uno fra i tanti, un banale
scocciatore; mostrare le proprie forme fra vesti discinte solo per porsi su un
piedistallo di irraggiungibilità, per generare frustrazione negli astanti, per
farli sentire nullità di fronte ad una bellezza non compensabile, per
maltrattarli se tentano un qualunque approccio; usare sguardi, movenze, e
svestimenti per indurre a farsi avanti chi si vuole soltanto disprezzare,
rendere ridicolo a se stesso e agli altri, ferire nell'intimo e irridere nel
disio in maniera traumatica e indelebile, trattare da molesto e far sentire
privo di qualità come uno straccio da gettare; sfruttare le debolezze
erotico-sentimentali per infliggere dolore fisico e mentale, per provocare
disagi da sessuali ad esistenziali, per realizzare sbranamento
economico-sentimentali o comunque psicologici; usare insomma l'arma della bellezza
per ingannare, irridere, ferire, umiliare, come e peggio di quanto un bullo
farebbe della forza fisica verso un ragazzo più debole) ormai nell'occidente
femminista divenuto comune tanto sui luoghi di lavoro quanto in quelli di
divertimento, tanto nei rapporti più fugaci e occasionali quanto in quelli più
lunghi e sentimentali, sia un “diritto”.
Sono antifemminista perchè non voglio che un ragazzo sia detto privo di
sentimenti o misogino solo perchè, per evitare la stronzaggine di cui sopra, o
semplicemente per non passare, per principio (a proposito di pari dignità fra i
sessi) sotto le forche caudine del corteggiamento, si rivolge alle sacerdotesse
di venere prostituta (che il femminismo vorrebbe bandire con tali
argomentazioni ideologiche).
Sono antifemminista perchè, se la donna ha, all'interno dei ruoli ad
essa propri per natura e che nemmeno la più misogina delle società potrebbe mai
alienare (madre, amica, amante, confidente) il proprio modo di influire sulle
cose e sugli uomini (molto più di quanto possa avvenire l'inverso) tramite
quanto vi essi vi è di più profondo e irrazionale (come notato persino da quel
distratto idealista egalitario di Rousseau), allora trovo iniquo che l'uomo non
debba poter disporre nell'arte come nella religione, nella politica come nella
storia, nel pensiero come nella società,
di quelle strutture ingiustamente definite oppressione ed invece
edificate nei momenti fondativi di ogni civiltà superiore non già per opprimere
(chè non è l'obiettivo dei savi) bensì per non rischiare di essere troppo
oppresso, come avviene in natura nelle speci in cui la preminenza della femmina
non viene bilanciata socialmente (un esempio per tutti il mondo insectide dove
il maschio, totalmente apolide può pure venire divorato quando non più utile o,
restando al mondo mammifero, la società degli elefanti ove, privi di ogni
potere, i maschi vivono nell'emarginazione e nella frustrazione di ogni bisogno
fisico e psichico), come avviene ora in quella sottospecie di stato di natura
che è l'età scolare (nella quale, mentre sulle coetanee già fiorisce la
bellezza, ai maschi non è ancora data la possibilità di conseguire e mostrare
doti con cui essere parimenti disiati amorosamente, accettati socialmente,
ammirati immediatamente e quindi, in attesa delle ricchezze e dei poteri cui
aspireranno con merito o fortuna da adulti, vivono “giorni orrendi in così
verde etade” se non troppo stupidi per capire la situazione dietro il velo di
maya dell'amore pseudouniversale predicato dalle insegnanti), come sicuramente
avveniva nelle società matriarcali amate da femministe, anarchici e socialisti
(ovvero, per dirla con Nietzsche, i più rispettabili imbecilli che la storia
ricordi e, questo lo aggiungo io parafrasando una canzone sui progressisti, i
più intellettualizzati coglioni che “dalle cattedre di scuole e dell'università
hanno fatto la cultura con i ragli ed i qua qua”).
Sono antifemminista perchè non voglio che, per un uomo, l'età scolare
duri in eterno, con delle presunte insegnanti in diritto di dirgli sempre cosa
è bene e cosa è male dall'alto di una presunta superiorità morale o di una
presunta maggiore maturità e delle belle fanciulle in potere di irriderlo (nel
pubblico o nel privato), ferirlo (nella psiche, nel sentimento, nel disio) o
tiranneggiarlo (nell'erotismo o nella vita) grazie a una desiderabilità non
compensabile (con, ad esempio, maggiori ricchezze, poteri, prestigio).
Sono antifemminista perchè non sopporto le disparità di diritti fra chi
avrebbe appunto il diritto a mostrare (senza limiti, remore né regole, neppure
quelle del buon senso, della decenza o dell'empatia) le grazie che vuole, nel
modo che vuole, per il tempo che vuole e chi avrebbe invece il dovere di non
guardare quanto pur pubblicamente e liberamente mostrato (se non nei modi, nei tempi
e nei luoghi “autorizzati” a posteriori dall'eventuale gradimento della
vanitosa di turno), fra l'abbondanza di leggi, costumi e reazioni pubbliche
pronte a punire penalmente, psicologicamente e socialmente chiunque tocchi una
donna con un dito (sfiorare un sedere costa mesi di carcere e decine di
migliaia di euro di multa, sulla sola parola della presunta vittima anche senza
alcuna prova certa) e l'assoluta assenza di altrettante leggi contro chi, in
maniera forse meno manesca ma non certo meno penetrante violi la diversa e non
già inesistente sensibilità maschile stronzeggiando (anche se in maniera
plateale e certissima, magari dimostrata da danni irreversibili alla psiche e
alla vita del malcapitato), fra il giudizio indulgente ed anzi elogiativo verso
l'istinto femminile di mostrarsi in ogni dove belle e disiabili, sublimato
nella moda, nel costume, nella cinematografia come bello, raffinato, evoluto,
puro, e la condanna o comunque la denigrazione, la banalizzazione, lo
svilimento morale ed estetico del corrispondente opposto complementare istinto
maschile di mirare, seguire e cercare di ottenere la bellezza, universalmente
dipinto oggi come brutto, rozzo, primitivo, impuro (e quindi ostacolato da
leggi e costumi femministi in ogni più perfido modo).
Sono antifemminista perchè non voglio che un uomo sia accusato di
molestie per uno sguardo, di stalking per un corteggiamento a posteriori
giudicato non gradito e insistente (quando, a priori, nemmeno un seduttore
esperto nell'ars amandi come Ovidio potrebbe saperlo senza provare, essendo,
nell'arte dell'amore come in quella della guerra, la sorpresa, la tenacia e la
risolutezza elementi imprescindibili della possibilità di successo: nessuno ha
mai conquistato una posizione chiedendo prima autorizzazione al nemico,
mostrandosi accondiscendente ad ogni sua richiesta, lasciando perdere ai primi
apparenti insuccessi) o addirittura di violenza per qualcosa di non
oggettivamente dimostrabile come tale o comunque di non confermato da
testimonianze terze (come avviene oggi con l'uso femminista di leggi risalenti
al ventennio fascista dove la parola della presunta parte lesa vale come prova
mentre quella del presunto colpevole non può contrapporsi alla pari, con il
risultato di ribaltare il principio giuridico del “in dubio pro reo”).
Sono antifemminista perchè non voglio che un ex-marito diventi anche ex
padre, o sia condannato ad una fine da esule ottocentesco privato di ogni
avere, di famiglia, casa, roba, di ogni possibilità materiale, morale e sociale
di farsi una vita, in conseguenza di leggi femministe su aborto, divorzio e
violenza sessuale (le associazioni femministe sono esperte nell’aiutare le
donne a trattare la causa di divorzio da una posizione di forza semplicemente
esagerando ad arte o addirittura inventando di sana pianta presunte “violenze”).
Sono antifemminista perchè non amo le dicotomie e non posso quindi
accettare che all'iper-chiarezza nella formulazione astratta del principio “ci
deve essere consenso esplicito e chiaro fra le parti” corrisponda una
concretezza femminile fatta (per vera indecisione o per studiata strategia, per
vuoto capriccio di vanità o per intento di accrescere il proprio valore
economico-sentimentale) soltanto di “forse” detti e non detti (i quali, se
interpretati per sì, aprono la strada a possibili accuse di molestie, stalking,
violenza, mentre se interpretati per no, portano sistematicamente ad essere
definiti pavidi nel corteggiamento, ad essere emarginati dalle relazioni
amorose a ridursi a “fare all'amore con il telescopio”), non posso ammettere
che all'iper-razionalismo nel giustificare in abstracto il principio di
uguaglianza di cittadini e cittadine davanti alla legge, al lavoro, persino
allo sport, corrisponda la totale irrazionalità accettata nel comportamento
delle donne reali, le quali disprezzano chi anche solo con lo sguardi ammirato
le apprezza (e proprio perchè le apprezza e proprio mentre le sta apprezzando),
fuggono da chi interessa loro pretendendo di essere inseguite, pregate,
corteggiate, ritengono interessante chi si discosta dall'uomo comune proprio
perchè le ignora (salvo poi trattarlo, alla pari di qualunque altro
corteggiatore, con malcelata sufficienza o aperto disprezzo quando smette di
ignorarle), non posso tollerare che all'iper-egalitarismo nell'analisi
culturale della società secondo criteri “progressisti” (quelli che negano le
differenze naturali e partono da figure dello spirito anziché da esseri
viventi) corrisponda la tacita sopportazione di privilegi femminili immensi
(specie per le conseguenze psicologiche nella verde età) quali quello di
entrare da ragazze gratis ovunque mentre i maschi devono pagare, di poter star
ferme sul piedistallo della bellezza costruito dall'altrui desiderio naturale
mentre i ragazzi devono obbligatoriamente muoversi per primi, sforzarsi di
indovinare cosa fare, cosa dire, cosa offrire, come compiacere, come farsi
piacere, sperare di raggiungere una posizione di primato o prestigio sociale
apprezzabili già di lontano o comunque procurarsi un'occasione per mostrare
eventuali doti di sentimento o intelletto potenzialmente apprezzabili da
vicino, come l’inestimabile eterno privilegio della donna (disprezzato dalle
femminil-femministe del “ma cosa cazzo guardi?” in un modo che sa proprio di
estremo sberleffo nei confronti del maschio), insomma, di trovarsi nella
posizione psicologicamente più facile di chi può valutare con calma tutti i
pretendenti, costretti a guardarla dal basso verso l'alto come mendicanti alla
corte dei miracoli d'amore e posti, volenti e nolenti, come sotto esame con le
relative tensioni psichiche e le inevitabili subalternità di ruolo, ma senza la
sicurezza di poter contare su elementi e criteri di certezza e merito come
avviene invece nello studio, e scegliere, arbitrariamente e senza preavviso, se
divertirsi con loro o su di loro (nel senso di “contro” le loro speranze e la
loro dignità).
Sono antifemminista, infine, perchè, con la sua pretesa di “rieducare”
l'uomo nei suoi impulsi più profondi e naturali, di cambiarlo
“antropologicamente” nel pubblico come nel privato, di mutare tutti i suoi
istinti sessuali e sociali e soprattutto nel dannare e condannare quello che
egli è (o si suppone essere stato) nella storia e nel presente, tanto
nell'immediatezza dei suoi desideri quanto nel mediato del suo rappresentare il
mondo, il femminismo si mostra manifestamente quale forma estrema di
totalitarismo.
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