lunedì 24 novembre 2025

Con quale faccia?



I. INTRODUZIONE

Ovviamente non mi riferisco all’aspetto estetico.

Se lo facessi, nel caso della presidente del consiglio non varrebbe nemmeno il motto “ogni scarrafone è bello a mamma sua”, dato che una volta ella stessa riportò le parole della madre: “bella de ‘ mamma se’ sempre tanto brava… però truccate perché così me pari ’n ranocchio!”
E nel caso della Schlein l’idea non avrebbe parole (le “idee senza parole” sono della destra e nel suo caso le parole che si potrebbero trovare sarebbero offensive). E poi, essendo pure all’opposizione, infierire anche sull’aspetto non sarebbe da gentiluomini. La satira, difatti, si fa sul potere. A Berlusconi davano del nano e alla Meloni (sempre in nome della parità di genere) possiamo applicare lo stesso... metro (absit iniuria verbis), ma sull’altra meglio tacere.

Parliamo invece della “faccia morale”che le accumuna.

Con quale faccia le due “signore” della politica italiana possono e potranno chiamare alla mobilitazione intere generazioni di giovani maschi in future guerre contro la Russia o altre presunte “dittature”? Con quali parole proveranno a convincere i loro soldatini a rischiare la pelle ed a sacrificarsi per “la patria”, per l’Europa (o per “ideali” come il “progresso” e la “parità di genere”), dopo quello che stanno dicendo e soprattutto facendo?

Perché qualcuno dovrebbe morire per una nazione che per bocca dei suoi politici, dei suoi intellettuali, dei suoi magistrati, presenta il genere maschile come “colpevole a priori”, come “sbagliato”, come “eternamente oppressore”?
Ormai, infatti, la narrazione femminista, un tempo ad appannaggio solo di certi boomers orfani di Marx, è diventata, come si suol dire, “bipartisan”.

E allora deve diventare bipartisan anche la risposta maschile.
Non un uomo, non un soldo, non un maschio per la guerra. Non per difendere una “patria” che per le femministe dovrebbe essere chiamata “matria” e che, per volere della presidente del consiglio, valuta la vita di un uomo meno rilevante di quella di una donna (vedi la proposta di legge sul cosiddetto “femminicidio”) e (sempre per volere della presidente del consiglio, lieta di abbracciare le tesi della Boldrini e di farsi selfie con la Schlein) abolisce, per i nati maschi, il principio di presunzione do non colpevolezza (vedi l’altra proposta di riformulazione del reato di “violenza sessuale”).


II. SUL "FEMMINICIDIO"

Se qualcuno si permette di notare che l’incidenza dei reati violenti (ossia la percentuale di persone che delinquono appartenenti ad un dato gruppo umano) degli immigrati è “x volte” quella degli italiani, viene tacciato di razzismo (perché, sebbene faccia notare un fatto, il suo modo di porlo all’attenzione nasconde la volontà di mettere in cattiva luce una certa etnia…).

Se io faccio rilevare che, durante la rivoluzione bolscevica e lo stalinismo, una percentuale consistente (o comunque anche in questo caso “sovrarappresentata”) di dirigenti del partito comunista sovietico colpevoli di crimini contro l’umanità, dittature sanguinarie ed olocausti dimenticati come l’holomodor era di origine israelitica, vengo tacciato di antisemitismo (nonostante i dati siano storicamente accertati). Perché la necessità di impedire ad ogni costo che fatti storici e crimini reali vengano usato jn maniera strumentale per incitare all’odio o alle discriminazione contro interi popoli e che dalla colpa personale si passi a quella “collettiva” prevale anche su ogni libero dibattito storico…

Epperò, se si parla di crimini contro le donne, pare che il principio secondo cui la responsabilità penale è solo personale possa avere delle eccezioni. Altrimenti non si sentirebbero politiche e femministe parlare di “maschi da rieducare” o “società da rifondare”. Altrimenti non si sentirebbero nei talkshow frasi come “se il 95 percento dei reati violenti è commesso da uomini significa che c’è un problema culturale”. Altrimenti il femminismo mainstream non potrebbe usare le ondate emotive e di sdegno per fatti di cronaca nera come “argomento” per bollare come “misogino” chiunque osi dissentire dallo storytelling femminista/progressista. E approvare ogni 25 novembre leggi incostituzionali (e contrarie ad ogni diritto e ad ogni ragione).
Pazienza che si siano inventate un termine giuridicamente e storicamente ridicolo (perché per parlare di “femminicidio” servirebbe dimostrare la volontà coerente di un’entità statale o criminale di sterminare le donne, in maniera simile a quanto necessario per parlare di genocidio, per il quale non basta dimostrare l’esistenza di pochi o tanti crimini di guerra isolati o continuati…).
Pazienza che passino sotto silenzio come, volendo usare il medesimo vittimismo per “l’altra metà del cielo”, il 95 percento dei morti sul lavoro siano uomini (anche in questo caso si potrebbe parlare di “problema sociale” e di “mancata parità di genere in una società dove si considera la vita di un uomo sacrificabile per un magro stipendio…”).
Quanto non si può tollerare nemmeno con la pazienza di Giobbe è che per legge si stabilisca l’uccisione di una donna più grave di quella di un uomo. Inserendo infatti la prima come “reato autonomo di femminicidio” e imponendo di default la pena dell’ergastolo e lasciando invece la seconda nel generico reato di “omicidio” (dove la discrezionalità del giudica può partire da pene più lievi come “solo” 15-20 anni di carcere) si crea un grave vulnus nel principio costituzionale di uguaglianza di cittadini davanti alla legge….


III. SUL REATO DI VIOLENZA SESSUALE

Come tutti i mentitori, anche il femminismo inizia da qualcosa di apparentemente ragionevole. “Il sesso senza consenso è violenza”. Chi potrebbe sostenere il contrario? Peccato che la giurisprudenza non possa fondarsi su slogan (per quanto condivisibili) e debba invece basarsi su prove. Come si fa a “provare” di aver avuto il consenso?

Proprio per questa impossibilità, fino a ieri l’altro, si chiedeva a chiunque accusasse di violenza qualcun’altro di provare almeno l’assenza di consenso tramite la presenza di violenze più o meno esplicite (e no certo “presunte”).

Infatti il reato si chiama “violenza” sessuale, non “sesso senza consenso”. Ovvero il delitto consiste nell’usare violenza (o altra forma di coercizione o inganno, come quella indicate nell’articolo 609, come la sostituzione di persona, la minaccia, l’approfittare di inferiorità fisica o psichica ecc.) per ottenere un rapporto sessuale (presumibilmente a questo punto ovviamente senza consenso), non nel porsi in condizione di non essere in grado di dimostrare di aver ottenuto un “consenso libero e attuale”.

I Romani, addirittura, che, nel loro apollineo amore per la chiarezza, odiavano qualunque forma di opacità giuridica e di ambiguità legale (introdotte poi da barbari e bizantini…), non guardavano neanche al consenso ed in automatico consideravano violenza qualunque atto con una donna che fosse sotto la patria potestà altrui.
Certo questo non poteva essere mantenuto nel contesto dei diritti individuali proprio al moderno stato di diritto.
Ma non si è certo dovuto aspettare neppure la modernità (e tantomeno il femminismo): già nel medioevo un principe illuminato, 
Federico II di Hohenstaufen (non diciamo di Svevia altrimenti gli scribacchini dei giornali scrivono poi “Svezia” come già avvenuto qualche annetto fa…) aveva promulgato leggi imperiali (quindi valide in tutto il Sacro Romano Impero) in difesa della donna, che punivano la violenza a sfondo sessuale. Ovviamente la vittima doveva dimostrare di essersi “adeguatamente difesa” (proprio perché già allora era impossibile dimostrare altrimenti il consenso e per evitare episodi come quello della principessa di Avignone in "Brancaleone alle Crociate", dove la dama, per non dover ammettere di “fare peccato” concedendosi spontaneamente, si concede solo a chi la “branchi” con violenza).
E’ ovviamente una bufala che nel “patriarcato” (qualunque cosa ciò voglia dire) lo stupro non fosse un reato. Non bastasse l’episodio della cacciata dei Tarquinii da Roma (in seguito allo stupro di Lucrezia commesso da Bruto, figlio di Tarquinio il Superbo: tanto grave era per i romani quel fatto che cacciarono addirittura il re… alla faccia della presunta “cultura dello stupro”), basta guardare al codice Rocco fascista. Se prima la “difesa” della donna era troppo spesso delegata al padre o alla famiglia, lì nasce (giustamente) il reato di violenza carnale con cui lo stato tutela tutte le persone, ed in particolare tutte le donne, a prescindere dallo stato civile, dalla condizione sociale e dalla “reputazione” (protegge, giustamente, anche le prostitute).
La legge attuale sulla “violenza sessuale” risale al 1996 e di nuovo, rispetto al precedente reato di violenza carnale, aveva due aspetti, uno condivisibile e l’altro meno. Quello condivisibile è stato il passaggio da reato contro la morale a reato contro la persona. Quello meno condivisibile è stato l’inserire potenzialmente nella “violenza sessuale” non solo tutto quanto ogni mondo civile ha da sempre riconosciuto e punito come stupro, ma qualsiasi non meglio definito “atto sessuale”. E’ lì che femministe radicali, scribacchini intellettualizzati e giudici fantasiosi hanno (a volte, ovviamente non sempre) inserito letteralmente di tutto: dal concedersi “controvoglia” della moglie alla prestazione non pagata alla prostituta, dalla (villana e incivile sì, ma violenta anche no) mano sul sedere al do ut des della dipendente in carriera che si concede al capo e poi si pente, dalla ragazza che racconta di non ricordare nulla dello “sballo” della sera prima in cui si è ritrovata a letto con uno sconosciuto alla ex-fidanzata o ex-moglie che, per ripicca o per interesse  (nella causa di divorzio) definisce ex-post obbligato un rapporto a cui invece si era prestata volentieri.


IV. SUL CONSENSO LIBERO E ATTUALE

Quindi che cosa avrebbe di nuovo la riformulazione proposta dalla Boldrini ed approvata dalla Meloni assieme alla Schlein?
Che sia necessario avere il consenso era ovvio da secoli. Pare che la novità sia una sorta di “inversione dell’onere della prova” relativamente al consenso.
Ma ciò, oltre ad essere un abominio in generale (dovrebbe sempre essere l’accusa a dimostrare al di là di ogni ragionevole dubbio la colpa dell’imputato, non questi a dover cercare prove a propria discolpa…), è proprio impossibile nello specifico: essendo il consenso uno “stato interno” della mente della presunta vittima, nessuno, per quanto intimo conoscente, potrà mai essere sicuro della sua presenza (se non appunto basandosi su manifestazioni esterne registrabili e verificabili come la parola, il gesto, l’atteggiamento, ecc.). Ma anche registrando, filmando e fianco certificando tutto con marca da bollo, firme e controfirme, l’accusatrice potrà sempre dire di aver cambiato idea, di star fingendo, di non essere mai stata convinta fino in fondo… e l’accusato non avrà nessun modo per smentirla.

Già adesso è possibile essere accusati, processati e forse pure condannati senza prove, per colpa di una sentenza della Suprema Corte di Cassazione risalente (vado a memoria) al 2010, dove si scrive che, in mancanza di riscontri oggettivi o testimonianza terze della presunta violenza, il giudice può acquisire come “fonte di prova” la semplice testimonianza della “parte lesa”, qualora ritenuta “credibile con motivazione”. Motivazioni che “scienza” forense individua nella “credibilità oggettiva” del racconto, il quale deve essere privo di contraddizioni, coerente, plausibile almeno in abstracto (come se, contro l’insegnamento kantiano, l’essere fosse un predicato, come se i talleri immaginari - di cui Kant parla per smentire la prova ontologica di Sant’Anselmo sull’esistenza di Dio - avessero caratteristiche diverse da quelli reali a parte il fatto - rilevabile soltanto con l’esperienza e non con la speculazione - che i primi non esistono ed i secondi sì, come se, insomma, un romanzo “verista” fosse la stessa cosa di un fatto storico verificato) e nella “credibilità soggettiva” della denunciante (come se fosse possibile distinguere, nella stessa persona, il ruolo della parte in causa e quello della testimone imparziale).

Già da 15 anni si leggono in rete casi di ex mariti che perdono tutto perché, per trattare la causa di divorzio da una posizione di forza, la ex moglie li accusa di violenza (intanto finiscono nei guai poi magari dopo anni dimostrano o la loro innocenza), di ragazzi che passano un paio d’anni ai domiciliari (per poi in alcuni casi essere assolti ed in altri condannati senza prove) perché la fidanzatina (per paura di prendere le botte da un padre retrivo) racconta di essere stata stuprata o perché la loro “conquista” occasionale (per non “perdere la reputazione” con le amiche o semplicemente perché a mente fredda valuta quel rapporto come “nocivo alla propria immagine” in moderni termini di “marketing delle relazioni”) si pente di aver ceduto fra “i fumi dell’alcool e della trasgressione” e racconta di non aver dato il consenso.

Già adesso, per restare ai casi diventati famosi negli ultimi anni, vi sono parecchie situazioni di condanne perlomeno dubbie. Quella del figlio di Beppe Grillo, ad esempio. Non conosco né i dettagli né le persone coinvolte e dall’esterno è perfettamente possibile che, trascinato da un delirio di onnipotenza da bullo di periferia. abbia approfittato di ragazze non consenzienti usando droghe e alcol per estorcere loro, assieme ad amici complici, un rapporto non consensuale. Ma è parimenti possibile che siano state invece le ragazze ad approfittare della propria avvenenza e della “debolezza psicosessuale” altrui per “estorcere” un passaggio in auto, una notte in villa, un uso esclusivo della piscina e delle altre “facilities” tramite comportamenti e pronunciamenti sessualmente ambigui, lasciando volutamente intendere una certa “arcana promessa di felicità” (in gergo: “facendogliela annusare”).

Se stare in intimità con i ragazzi era cosa così traumatica per loro, perché accettare il loro invito a dormire nella stessa casa? Se i rapporti avuto sono stati un trauma, con quale leggerezza sono andate il giorno dopo tutte sorridenti a fare surf?

Certo, essere delle “profumiere” non implica meritare delle violenze, ma nemmeno avere diritto a raccontare di essere state violentate se di segni di violenza non c’è (come in questo caso) obiettivamente ombra ed invece ci sono molte ombre su tutto il resto.

Per stabilire un (legalmente e moralmente assai dubbio, peraltro) “diritto a fare le profumiere” da parte delle belle ragazze, mica possiamo togliere la presunzione di innocenza a tutti gli altri, o no?!

Poi ci sono pure i casi in cui l’innocenza dei condannati è stata certificata dalla stessa (falsa) vittima, la quale (dopo essere passata per vittima di uno stupro di gruppo finito su tutti i tg), ha scelto di fare del sesso di gruppo una professione, ha aperto una profilo onlyfans dedicato alle gang bang, litigato con l’attuale fidanzato (fino ad essere denunciata per stalking) e, registrata di nascosto nel fuori onda di un podcast, ha ammesso: “sono stati così coglioni che si sono dichiarati colpevoli e manco si ricordano che glie l’ho detto io di mettermelo dentro… praticamente me l’hanno messa sotto il naso l’occasione di accusarli” (a dimostrazione che non sono un’invenzione maschile le donne “borderline” che si “divertono” con le false accuse… così come del resto non sono purtroppo un’invenzione femminile gli stupratori veri! E la legge deve proteggere dalle une come dagli altri!). “Non cambia niente” - dicono le femministe, “perché comunque lei è un soggetto borderline”. Ma noi non possiamo, per la mania di far dipendere tutto dalle indecisioni e dagli instabili stati mentali e psicologici di una pornostar in erba, spezzare le vite di giovani ragazzi innocenti, come è stato fatto da questo stato “patriarcale” che li ha condannati (mi verrebbe da ridere, se non ci fosse da piangere).


V. ASSURDI TEORICI E PROBLEMI REALI

“Un no è no” - recita un altro slogan femminista usato già dai tempi dell’introduzione del reato di “stalking”.  Peccato che, per retaggio culturale “stilnovista” o, più prosaicamente, per “vantaggio psicologico-tattico” attuale, molte donne usino i no per forse, i forse per sì e se si chiede loro un sì esplicito (come le femministe dicono sia necessario) si sentono “svalutate” e si offendono.
Vengono da parte femminile, infatti, tutte le lamentele sugli “uomini che non ci provano più” e sui “ragazzi di oggi così pigri e insicuri che si arrendono ai primi no e non hanno più la pazienza e il coraggio di insistere e resistere fino a conquistare una donna…”.
A noi uomini lo slogan femminista andrebbe benissimo, se poi avesse come controparte, accanto all’obbligo per l’uomo di rispettare i no, un obbligo per la donna: “se è sì, dillo forte e chiaro subito, anziché lamentarti dopo che… non ci sono più gli uomini di una volta”.

Paradossalmente, le uniche “radicalmente femministe” in termini di “consenso libero e chiaro” sono proprio le prostitute: solo con loro ho visto in atto tutte le “dichiarazioni” e le “procedure” richieste dagli slogan femministi in termini di “sì esplicito” e “partecipazione attiva”. Cosa si può e cosa non si può fare, se è sì e fino a quanto dura il sì, “adesso basta”, “se vuoi proseguire… insert coin”, “se vuoi venire lì devi pagare l’extra”, “questo lo faccio e questo no”, “no questo no”, “sì questo vabbè di solito no ma con te sì però con l’extra…”, il consenso libero e il motivo per cui è dato, cosa bisogna dare in cambio, ecc.
Certo, poco poetico, ma è il prezzo da pagare per non avere ambiguità.

Ma l’ambiguità (o, per dirla col Leopardi, il vago) è l’unica condizione in cui la poesia può vivere. Infatti nei rapporti “romantici” non c’è nulla che abbia a che vedere con moduli di consenso, burocratese esplicito e carte bollate, né con il set di un film porno o con il sesso esplicito in genere… 
Se Ovidio, nell’ars amandi, paragonava l’amore alla guerra, il motivo è proprio questo: non si può mai dichiarare in anticipo le proprie mosse, chiedere consensi preventivi e parlare in termini di scambio come al mercato… Il rapporto, dal primo incontro fino all’atto conclusivo, è un continuo scivolamento in cui chi “attacca” deve sempre “sorprendere” il nemico (perché l’attacco abbia successo… ) ed è costretto a farlo “alla cieca”, valutando solo in base alle reazioni della controparte se insistere o “ritirarsi”. E’ stato così per migliaia di anni ed è ancora così persino nei paesi occidentali femministi di oggi, dove tutte le ragazze pretendono (ahimé, è il motivo per cui da tempo ho smesso di corteggiare… ma questa è un’altra storia) che sia l’uomo a fare la prima mossa e nessuna ragazza che non sia una escort (o un’aspirante pornodiva) accetterebbe mai di essere di fatto trattata come Valentina Nappi alle prese coi moduli del consenso prima di una prestazione filmata…

Ma che chi propone certe leggi non sia sintonizzato con la realtà è evidente anche dal lato opposto: le stesse sostenitrici del “consenso esplicito” lo motivano con la necessità di tutelare le donne che si “immobilizzano per la paura” e subiscono l’atto sessuale contro la propria volontà solo per non essere riuscite nemmeno a dire (a parole o a gesti) “no”.
Se questo può ragionevolmente accadere nel caso di un’aggressione ad opera di uno sconosciuto, situazione in cui in effetti la paura può mandare in “freezing” il cervello, risulta difficile sia il caso di situazioni “romantiche” (perché se una donna si sente tanto tesa in compagnia di un certo uomo non avrebbe neanche senso per lei appartarsi con lui o dargli corda…).
Pare che le femministe abbiano in pieno XXI secolo ancora l’immagine della neosposa di metà Ottocento che, ignara di ogni “educazione sessuale”, se ne stia rigidamente prona sul letto aspettando, in una rigidità di terrore misto ad attesa messianica, che il novello signor marito la “assalti” spalancandole con la forza le porte dell’estasi.
Chi abbia invesca avuto rapporto recenti e terreni con donne nate in questo secolo, sa che, nel 2025, le donne, anche le più giovani, sono tutt’altro che rigide, terrorizzate e ingenue nella sessualità ed anzi (ma grazie a Dio!) partecipano attivamente a tutti i tipi di rapporto.

Per cui, se posso essere d’accordo nel sostenere che, nel caso in cui una donna si irrigidisca e non partecipi più al rapporto l’uomo dovrebbe astenersi da qualunque altra azione prima di averne compreso il motivo, continuo ad essere perplesso sul punto della dimostrabilità del consenso: dopo un rapporto consensuale in cui la donna ha partecipato attivamente a tutte le fasi, come fa l’uomo a dimostrare a terzo che, appunto, il rapporto è stato consensuale?

Hanno posto la domanda ad un togato di alto rango (mi pare il presidente del tribunale di Milano o qualcosa del genere) ed egli ha risposto: 
“Naturalmente sarà necessario verificare le condizioni in cui si è consumato l’atto sessuale. Ovviamente non è che si arriva al punto di chiedere un consenso scritto, ma diciamo che d’ora un poi questo è un problema degli uomini”.
Quindi non i soliti “siti maschilisti”, non gli attivisti della questione maschile, non i blogger complottisti e antisemiti come me ed altri (secondo le accuse), ma un togato ammette che l’obiettivo della legge è di invertire l’onere della prova. Mettendo nei guai non gli stupratori certi (chi aggredisce per strada non si pone certo il problema del consenso), ma tutti (e dico tutti) i nati maschi che vogliano avere un rapporto intimo con una donna che non sia una escort dichiarata.


VI. IL RETROPENSIERO NEO(NAZI)-FEMMINISTA

Qui sono state accolte tutte le istanze del peggior femminismo radicale degli ultimi 20 anni.
Solo 15 anni fa, nonostante tutto (leggi sbagliate sullo stalking, sentenze incostituzionali della corte di cassazione, propaganda mediatica femminista già a go go), il principio “a priori siamo tutti non consenzienti, per cui in caso di accusa è l’uomo a dover dimostrare di non essere colpevole provando il consenso” era uno scenario dispotico che si poteva leggere solo nei siti ultrafemministi americani (ai tempi spesso pure populisti e pieni di proposte tipo castrazione chimica o peggio… si cerchi per parole chiave “Douge’s Law”).

Oggi ne parlano i magistrati interpretando la volontà delle promotrici della nuova legge. Legge passata all’unanimità, su proposta della neofemminista più radicale d’Italia (Laura Boldrini) e per accordo delle due ali estreme della politica, la “fascista” Giorgia Meloni e la “comunista” Elly Schlein.
Questo significa che la democrazia è diventata una farsa, che tutti i partiti sono solo teatro alla pari del partiti dei contadini nei paesi dell’est comunista (finta opposizione).

Per chiunque conosca il fenomeno del neofemminismo e la sua natura non solo apertamente illiberale (questo era già evidente dagli attacchi alla prostituzione libera ed alle cene eleganti di Berlusconi... una delle poche "cose buone" del suo governo), ma a tratti persino ferocemente nazista (palese da quando si pone fra le violenze/molestie qualunque naturale espressione della sessualità maschile - dal complimento alla poesia, dalla fantasia allo sguardo… oggi persino la masturbazione e il porno - per far sentire in colpa chiunque per il semplice fatto di essere nato coi cromosomi XY, ogniqualvolta prova desiderio, ogniqualvolta fantastica sulla bellezza ogniqualvolta respira, ogniqualvolta apre bocca) è evidente il retropensiero che si vuole affermare con forza di legge. Per queste femministe non solo tutto ciò che minimamente ed ipoteticamente sfiori la loro suscettibilità è “violenza” (anche solo uno sguardo, anche solo un pensiero, anche solo una parola, anche solo, soprattutto, parole di dissenso dalla loro narrazione colpevolizzatrice del genere maschile), ma è “stupro” qualunque rapporto sessuale avvenga al di fuori di quella condizione di potere di scelta unilaterale ed assoluto che, quasi sempre, il genere femminile ha avuto “allo stato di natura” (le femministe direbbero “prima del patriarcato”) ed ancora ha nell’età scolare (quando la controparte maschile non ha ancora avuto tempo e modi di sviluppare “armi” per bilanciare la bellezza che già fiorisce sulle coetanee) e, oggi (per colpa dell’infantilizzazione della società e di una iniqua pretesa di “parità” di genere) anche oltre.

Il termine “consensuale” viene declinato solo dal lato femminile: solo se l’enorme disparità di numeri e desideri nell’amore sessuale (voluta dalla natura per fini incorrelati ad ogni concetto di equità e felicità umane ed unicamente afferenti alla selezione e la propagazione della specie) favorevole grandemente alle donne (cui spetta il più comodo ruolo di selezionatrici rispetto all’ingresso e faticoso ruolo maschile di “spermatozoo” che per sopravvivere deve competere e vincere) e da queste sfruttata quasi sempre senza limiti remore né regole, non ha un bilanciamento da parte maschile, solo se la “dama” di turno può far passare il pretendente sotto le forche caudine del vecchio corteggiamento (dove tante, troppe donne si permettono letteralmente di tutto: qualunque umiliazione pubblica e privata, qualunque irrisione al disio, qualunque inflizione di dolore fisico e mentale) oppure di’ scegliere senza corteggiamento ma con un click (come da una app di dating) qualcuno di decisamente più bello di loro (esempio preclaro: la sub-5 Meloni con l’over-7 Giambruno… eternamente liceale nella testa) le donne-femministe parlando di “consenso libero”.

Se invece l’uomo, per ottenere il rapporto, ha da offrire finalmente qualcosa di cui la donna ha bisogno/brama di intensità pari a quanto da lui provato davanti alle di lei grazie, se ha, ad esempio, “armi” come look, money e status per bilanciare tutto quanto in desiderabilità e potere è dato alle donne dalla natura e trova il modo per avere davvero (al di là dalle retorica costituzionale) pari possibilità di scelta e pari forza contrattuale in quanto conta davanti alla natura, alla discendenza ed alla felicità individuale, allora si parla di “forme di violenza”.

Se c’è di mezzo il money (come nel caso della prostituzione dichiarata dell’escorting o di quella non dichiarata dello sugardating, o ancora in quella “tradizionale” del matrimonio in cui in cambio del mantenimento il marito ottiene la compagnia ed i favori - amorosi e non solo - femminili) parlano di “violenza economica” (anche se tale termine si addice di più a certe pretese di mantenimento ed a certe rapine in sede di divorzio) o di stupro a pagamento (anche se a volte la prostituzione di oggi è spesso truffa sessuale ai danni di certi maschi sprovveduti…).

Se l’uomo ha lo status (come nel caso del regista o del dirigente che possa offrire una carriera in cambio di un fidanzamento, o semplicemente nel caso di chi, avendo una posizione sociale elevata, gode di un’aurea di “fascino e autorità”) parlano (come quelle del metoo) di abuso di autorità oppure di patriarcato (dopo però aver accettato il do ut des, averne goduti i vantaggi del momento, prima di essere invecchiate ed essersene pentite ex-post).

Ora, se l’uomo ha il look (ossia il fascino che attrae a prima vista) parlano di “stupro": perché le one night stand (i rapporto occasionali) sono già ora ad appannaggio solo degli uomini bellocci (i normaloidi sono sessualmente invisibili nei locali ed hanno occasioni solo all’interno di long term relationship, in cambio di beta-providing). Ed ora anche i belli a cui le donne si concedono rischiano la denuncia se esse, soddisfatto il capriccio di una notte e tornate all’abituale depressione da gattare, o insoddisfatte per essere state scaricate e non aver avuto un fidanzamento, raccontano al PM di non aver dato un “consenso libero e attuale”.


VII. TERTIUM NON DATUR

Delle due l’una. O questa modifica all’articolo 609 bis del Codice Penale avrà un mero valore “esornativo”, di placebo per le femministe, e non avrà alcun effetto (se non quello propagandistico utile a governo ed opposizione per mostrare di aver saputo “lavorare assieme”). E non sarebbe la prima volta (da Tangentopoli in poi abbiamo provato tutti - Berlusconi e Prodi, Grillo e Salvini, Renzi e la Meloni - e nessuno ha mantenuto le promesse). Oppure avrà effetti che saranno catastrofici sulla vita e la psiche della totalità della popolazione maschile (e, di riflesso, pure femminile: allorquando gli uomini capiranno i rischi insiti in ogni situazione di intimità, i più avveduti preferiranno recarsi, pagando, all’estero negli FKK, piuttosto che rischiare di pagare col carcere approcci più o meno riusciti con le italiche donzellette, del cui livello estetico medio, del resto, Meloni e Schlein sono pienamente rappresentative, specie guardando alle militanti femministe… ma questo esula dal discorso… e non mi si dica che faccio body shaming o sessismo…  se loro suppongono tutti gli uomini stupratori, e quindi "bruti", fino a prova contraria, io potrà ben supporre tutte loro, fino a prova contraria... perlomeno brutte!).

Ma il fatto stesso che l’approvazione della nuova legge sul consenso libero e attuale sia stata accompagnata da un’azione di propaganda coordinata da tutte le forze politiche e salutata come un “progresso” dalla esponenti della stessa magistratura, che evidentemente accolgono acriticamente le tesi del femminismo radicale, fa decisamente propendere per la seconda ipotesi.

“Il consenso deve essere esplicito e non essere dedotto da atteggiamenti ambigui” - scrivono ancora le femministe su YouTube per replicare alle giuste osservazioni degli uomini “risvegliati”.

E allora a quale scopo mettere in atto atteggiamenti ambigui e far credere, con movenze, parole dette o non dette, (s)vestimenti o altro, che vi sia una disponibilità in effetti non sussistente o che poi si dissolve?
Dobbiamo forse dedurre che l’ambiguità sia voluta? Che si voglia suscitare disio solo per compiacersi della sua negazione (e di come questa, resa massimamente umiliante e dolorosa possibile da una raffinata e studiata perfida, possa suscitare le pene dell’inferno della negazione dopo la promessa del paradiso della concessione)? Che il fine sia non l’amore o il sesso ma la stronzaggine bella e buona, ossia il “gioco” di indurre ad arte a farsi avanti chi non si è interessate a conoscere (biblicamente o meno) ma solo ad attrarre e respingere per capriccio, moda e sadico diletto? A mostrarsi belle per attrarre tutti, e far sentire chi non viene ritenuto all’altezza un puro nulla, uno fra i tanti, un banale scocciatore? A chiamare “molesti” gli stessi che si sono voluti illudere e deludere per capriccio, moda, vanità, gratuito sfoggio di preminenza erotica, o calcolo economico sentimentale (mostrare il proprio valore agli occhi di uomini più interessanti, vero obiettivo del gioco di società)? Checché ne dicano le femministe, non ho mai sostenuto che le “stronze” meritino la violenza, ma, piuttosto, che il loro modi di agire socio-sessuale sia già, in sè, una non punita forma di molestia (per non dire violenza) sessuale e psicologica. Ora no solo, a fronte dell’iperbolica attenzione sulle minime e presunte molestia da parte maschile, la stronzaggine di certe donne viene ancora presentata come “normalità da sopportare senza fare storie” o addirittura “bello dell’essere donna”. Ma, per tutelare l’inesistenze e perverso “diritto a fare le stronze” (ovvero ad usare l’arma della bellezza e della sensualità per ferire, irridere e umiliare chi si trova in una condizione di debolezza psicosessuale, a similitudine di quanto i bulli facciano con la forza fisica contro i ragazzi più piccoli), si arriva a stravolgere ogni diritto ed ogni ragione nel codice penale. Non si spiegherebbe altrimenti la risposta che il togato di cui sopra ha creduto di poter impunemente dare a chi gli paventa il rischio dell’inversione dell’onere della prova. 

“Adesso dovrà essere l’uomo a dimostrare che la donna era consenziente?” - “Se io fossi un pm, davanti ad una donna che mi dice di aver subito violenza, la prova c’è già”. Poi naturalmente andrà valutata nel dibattimento. Diciamo che se l’uomo non è sicuro del consenso della donna, farà meglio ad astenersi. Ed è un principio di enorme civiltà”.

A questo punto meglio astenersi anche dall’esser cittadini italiani. Io rifiuto di essere cittadino di una nazione dove il sacro principio della presunzione di innocenza viene meno per rendere omaggio alla demagogia femminista imperante.

Se civiltà per tutto il resto opposte, come quella Romana (“in dubio pro reo”) e quella Ebraica (dove nella Bibbia il Signore comanda a Mosè di mandare assolto persone il figlio accusato di parricidio, piuttosto che rischiare di condannare a morte un innocente), hanno avuto da sempre proprio la presunzione di non colpevolezza come punto in comune, dovremmo pensare che risieda proprio in essa il principio di ogni civiltà.

Solo epoche barbariche come l’alto medioevo, l’Inquisizione, il terrore giacobino o quello stalinista hanno, per presunti “beni superiori” di volta in volta chiamati “salvezza ultraterrena”, “rispetto verso dio”, “salute pubblica”; o “difesa della rivoluzione”, sovvertito il principio ed imposto all’imputato di provare di essere estraneo alle accuse.

La storia le ha giudicate. Così come giudicherà anche, un giorno, i giudici e i legislatori di oggi. O chi fra i cittadini, è stato zitto.
Il minimo che si possa fare è esprimere il proprio dissenso in ogni modo luogo (dire “no” non deve essere una prerogativa delle donne che ricevono avances, ma di tutti gli esseri umani a cui vengono proposte anzi imposte leggi contrarie al diritto ed alla ragione). E, se non basta, ricorrere alla disobbedienza civile, alla rivolta fiscale o ad altre forme che, però, abbisognano, come ne caso della lotta al nazifascismo, dell’appoggio esterno. Credo infatti che, se siamo giunti al punto in cui persino fascist* e comunist* (notare gli asterischi del linguaggio inclusivo) concordano per mandare in galera anche senza prove il cittadino medio maschio (bianco, occidentale, bla bla bla), la questione non possa più essere risolta con tutti gli altri metodi che dal 1945 sono sempre bastati in democrazia. Se leggi come queste non vengono fermate dalla Corte Costituzionale (come in passato avvenuto con il "carcere obbligatorio" per i soli accusati di violenza sessuale... porcheria giuridica della premiata ditta Berlusconi & Carfagna), potrebbe essere necessario, per liberarsene, attendere una guerra civile e di liberazione, come avvenuto nel periodo 1943-45. E, per vincerla, servono l’Armata Rossa e i loro discendenti.

Poi ci si chiede perché “ci sono tanti putiniani in Italia”. Perché nella Russia del “dittatore” Putin la costituzione (proprio per prendere le distanze dal periodo sovietico come la nostra le prende  dal periodo fascista) stabilisce a chiare lettere che nessuno cittadino è costretto a provare la propria innocenza. E lì nessun giudice parlerebbe mai come l’innominato di cui sopra, ma, soprattutto, non condannerebbe mai un ragazzo che si è appartato con una ragazza solo perché questa, senza dimostrazione, poi racconta di aver revocato ad un certo punto il consenso.

Il principio è “in dubio pro reo”. Non “in dubio pro donna”, come pretende l’occidente ormai totalmente sovvertito e preda del totalitarismo di questo secolo.


venerdì 22 marzo 2024

 Varsavia 1944? No, Bologna 2024!



... E quelle sono le “nuove donne” che la “cultura marxista” ha prodotto in decenni di genuflessioni al femminismo da parte di boomers progressisti ex-sessantottini, i quali hanno tradito la causa comunista per quella capitalista-woke, in nome della carriera personale e della prospettiva (falsa) di avere un poco di fica facendosi “belli” come “difensori e promotori del genere femminile”. “Cechitade di discrezione e cupidigia di vanagloria”, direbbe Dante.

Nella Varsavia del 1944 bisognava camminare tenendo lo sguardo basso, perché se per caso un ufficiale tedesco era di cattivo umore, aveva il potere di far arrestare chiunque anche solo per uno sguardo “irrispettoso” e farlo condannare alla deportazione o anche alla fucilazione sul posto, come ben mostrato dal film di Roman Polanski (peraltro personalmente vittima anche del nazifemminismo americano) “il Pianista”.

Nella Bologna del 2024 pare sia necessario fare altrettanto da parte di noi uomini medi (untermenschen agli occhi delle sempre più pretenziose donne occidentali) se si vogliono evitare rischi di denuncia. Certo, non ci sono più in ballo deportazioni nei lager o uccisioni sul posto, ma in compenso si può perdere il lavoro ed essere condannati alla morte sociale. E tutto solo perché la “superdonna” di turno è girata male, non apprezza il nostro sguardo, lo fraintende come “offesa”, o, semplicemente vuole affermare il proprio “empowerment” (AKA: distruggerci la vita senza motivo). Ogni epoca ha i suoi totalitarismi.

Ma per fortuna, in ogni secolo c’è la Madre Russia. Contro il totalitarismo giacobino, la Russia Zarista distrusse l’armata francese che sognava di “esportare al democrazia” (sempre quel tipo di democrazia che distruggeva i popoli - vedi la Vandea - li rapinava - vedi le “requisizioni” nel Nord Italia - e li privava delle tradizioni in nome del “progresso” - nihil sub sole novi) sulla punta delle baionette. Contro il totalitarismo nazista, la Russia Sovietica distrusse l’esercito tedesco che voleva sterminare o schiavizzare chiunque non fosse “alto, biondo e di razza ariana” (una sorte di iperselettiva sessualità femminile fattasi ideologia politica, come acutamente notato da qualche redpillato americano).
Contro il totalitarismo femminista, la Russia di Putin sta combattendo la feccia UE/Nato, braccio armato (ideologico, politico e militare) dell’attuale genere di sovversione (che, dopo aver sovvertito morale, società e religione, vuol sovvertire pure la natura con il gender…).
Quando avrà finito con nazisti e femministe in Ucraina, forse troverà il modo di venire a liberare anche la “rossa” Bologna dal giogo del femminismo e di tutti i suoi servi, primo fra tutto quel Lepore che ha appena vietato di diffondere qui l’unico film capace di testimoniare la verità sulla guerra nel Donbass.

venerdì 8 febbraio 2019

Il Misogallo

Con due secoli di ritardo rispetto a Vittorio Alfieri, il governo “gialloverde” ha finalmente compreso quanto un’Italia libera e unita non possa nascere se non in odio alla Francia. Alfieri scriveva questo dopo la delusione dei propri ideali giovanili vissuta vedendo quello stesso popolo, che si era riempito la bocca della parola “libertà”, arrivare al punto di costruire, con la sua osannata “republique”, una tirannide peggiore di quella dei re. Il genocidio della Vandea, il primo dell’età contemporanea, e il terrore giacobino, anticipazione (con il suo rovesciare ogni diritto ed ogni ragione, con il suo condannare come “nemici” tutti quelli che non riuscivano a dimostrare la propria innocenza e con il suo perseguitare le persone per la loro appartenenza politica o etnica, a prescindere da colpe e meriti individuali) dei grandi totalitarismi del novecento sono lì a dimostrarlo, per chi ancora fosse così ingenuo da cantare a cuor leggero la “marsigliese”. 

Un po' di storia...


Rispetto ai tempi dell’Alfieri, poco la Francia ha fatto per farsi riamare e molto ha invece commesso per meritarsi un odio ancora più acceso. Una manciata di anni dopo il ritorno dell’Alfieri in Italia, Napoleone, con il trattato di Campoformi, “vendeva” la Repubblica di Venezia (con tutti i suoi possedimenti di cui peraltro, piccolo particolare, egli non era affatto “legittimo proprietario”) all’Austria. Ciò rendeva da un giorno all’altro esuli patrioti come Ugo Foscolo, che altro non potrà se non comporre un’immortale ode alla sua Zacinto e giurare altrettanto immortale odio a Bonaparte. Nasceva così, soprattutto, la questione dell’Irredentismo italiano a nord-est, che si risolverà (parzialmente) soltanto nel 1918, con la vittoria nella prima guerra mondiale (sotto questo aspetto, considerabile anche come quarta guerra d’Indipendenza) e che oggi è di nuovo riaperta, considerato come fra pochi giorni cada l’anniversario dell’esodo dei Dalmati e degli Istriani da terre che, prima del pasticcio napoleonico, erano state veneziane (e quindi, per traslato, italiane) per più di mille anni (fascismo, jugoslavia, tito, nazismo, partigiani e compagnia sono tutte disgrazie venute dopo, a cascata rispetto a quella “rapina con omicidio” ai danni della Serenissima repubblica).

La narrazione tutto sommato filofrancese che la scuola “Piemontese” ha deciso di fare dell’Unità d’Italia trascura (o comunque minimizza notevolmente) alcuni importanti particolari. Il primo: nel 1859 Napoleone III, nel bel mezzo della Seconda Guerra d’Indipendenza (che aveva promesso invece di combattere fino alla liberazione di tutto il Nord Italia), si ritira inopinatamente, per motivi di politica interna (temeva di perdere consenso spendendo uomini ed energie in una guerra di cui ai Francesi, evidentemente tutt’altro che nostri “buoni cugini” affezionati alla nostra libertà dallo straniero, non fregava nulla), ma ottiene comunque, in cambio dell’intervento fino a quel momento prestato (che ci aveva fruttato la Lombardia e poco altro), Nizza (patria di Garibaldi) e la Savoia (terra natale dell’omonima dinastia regnante) che Cavour aveva promesso in origine. E qui, di conseguenza, nasce anche l’irredentismo italiano a nord-ovest, che quindi non potrà poi, nel 1940, essere ascritto alla sola propaganda fascista (“Nizza, Savoia, Corsica fatal…”). Il secondo: nel 1848, lo stesso Napoleone III (quello che Victor Hugo chiamava perfidamente “il piccolo” per distinguerlo dall’altro) aveva inviato a Roma il generale Audinot (cui ancora, in città allora pontificie come Bologna sono intestate vie!), in sostegno del potere temporale del Papa e contro i patrioti italiani, per spegnere nel sangue la “repubblica romana” del triumvirato Mazzini-Saffi-Armellini. E si dovrà attendere il 1870, con la guerra franco-prussiana e la provvidenziale disfatta francese di Sedan (dove finalmente quel parvenue della storia venne accerchiato e distrutto dalle truppe di Von Moltke) per poter annettere Roma al neocostituito Regno d’Italia e porre fine a quell’anacronismo che era lo stato pontificio (e poteva piacere solo ad un amante del sottosuolo cristiano come Dostojeskij).

Ma queste sono quisquiglie rispetto a quanto accaduto nel Novecento. Il secolo inizia con Parigi che ci soffia da sotto al naso la Tunisia (uno degli ultimi pezzetti d’Africa non ancora colonizzato e geograficamente molto più vicino all’Italia che non alla Francia). Noi, per ripicca, scegliamo di allearci con gli ex-nemici austriaci e il nuovo Reich del Bismark formando la Triplice Alleanza.

Eppure, al momento dello scoppio della grande guerra, un po’ perché l’irredentismo a nord-est (il Trentino, la Venezia Giulia, l’Istria, la Dalmazia) è più sentito di quello a nord-ovest (Nizza, Savoia e Corsica, tutto sommato, “pesano” meno da un punto di vista geografico e storico), un po’ perché, nonostante tutto quanto subito dagli eredi dei Galli, ci sentiamo comunque, per lingua, cultura, letteratura, costumi e modo di essere artisti, più vicini a chi fin dai temi dei Romani è di qua dal Reno che non a chi è di là, scegliamo di correre in soccorso della Francia. Il Vate D’Annunzio, forte dei suoi trascorsi parigini e della sua comunanza di gusti e stili con gli artisti francesi della belle epoque, accende gli animi inneggiando alla comune difesa della “Latinità” dai “barbari” germanici.

Dopo 3 anni di guerra e 600.000 morti, al momento di sedersi al tavolo della pace proprio nella reggia francese di Versailles, i nostri amati “cugini” ci tirano il pacco: di quanto promesso dal patto di Londra (partecipazione alla spartizione delle colonie tedesche, accrescimento dell’influenza nei Balcani, Istria e Dalmazia fino a oltre Zara e Sebenico) ci vengono concesse solo le briciole. La Francia (assieme all’Inghilterra) ha la sfacciataggine (nonostante quanto messo nero su bianco quattro anni prima) di appoggiare la demagogica politica del presidente americano Wilson che decide di creare ex-nihilo la cosiddetta “Jugoslavia” (un abominio frutto della piramidale ignoranza della geografia e della storia che sarà causa di più di una tragedia nel secolo successivo). Della serie: i nemici che abbiamo sconfitto come austroungarici si rinominano Jugoslavi e mantengono quanto avrebbero dovuto cederci. Solo un cretino (o un filibustiere in malafede) può a questo punto pensare che l’Italia, a prescindere da Mussolini, non avesse tutti i motivi morali, politici, civili e storici per combattere la guerra mondiale successiva dalla parte opposta rispetto a quella di simili “alleati” (come direbbe Dante, “il modo ancor m’offende”: il ministro francese, che soffriva di prostata, ebbe il coraggio di dire, a proposito di quello italiano, che si lamentava dell’ingiusto trattamento riservato dopo la vittoria ad un alleato come l’Italia: “se potessi pisciare come lui piange…”). Il Vate si ravvede, ma troppo tardi: "Volgiamo le spalle all’Occidente che ogni giorno più si sterilisce e s’infetta e si disonora in ostinate ingiustizie e in ostinate servitù. Separiamoci dall’Occidente degenere che, dimentico d’aver contenuto nel suo nome «lo splendore dello spirito senza tramonto», è divenuto una immensa banca giudea in servizio della spietata plutocrazia transatlantica." (pare il ritratto del governo Macron scritto esattamente 100 anni prima)

Ed è qui che nasce il capolavoro dei professorini di storia, degli intellettuali di sinistra, dei venduti della penna, i quali hanno scambiato l’antifascismo per anti-italianità (Benedetto Croce non glie lo avrebbe perdonato). Parlano, da allora, di “pugnalata alle spalle della Francia” per il nostro intervento in guerra del 1940. Avremmo dovuto infliggere una pugnalata al cuore nel 1939, altroché!

In nome dell’Europa, nel dopoguerra si sarebbe anche potuto dimenticare tutto, se, negli ultimi anni, i Francesi, assieme peraltro ai Tedeschi, non avessero iniziato ad usare regole ed istituzioni europee per mero tornaconto nazionalistico, a danno dei paesi meno “forti” (soprattutto a danno dell’Italia, saccheggiata dalle multinazionali francesi quando, a ruoli invertiti, ogni tentativo italiano viene stoppato dai mangiarane con qualche pretesto). Insomma, ci fanno la morale sul debito, ma quando a loro è servito sforare per non distruggere del tutto lo stato sociale che hanno ancora, lo hanno fatto. Ci fanno la morale sull’immigrazione, ma da tempo non accolgono più nessun povero migrante. Ci fanno la morale sul libero mercato ma pare che per loro la libertà sia solo quella di acquistare i nostri marchi più prestigiosi (forti di un’economia che, grazie al nucleare e ai rapporti particolari con le loro ex colonie come l’Algeria, non deve fare i conti con la dipendenza energetica).

Soprattutto, cento anni dopo la Tunisia, ci hanno fregato pure la Libia (la quale, con Gheddafi, pur fra alti e bassi e tante polemiche, era comunque la “nostra” ex-colonia con cui avere rapporti “particolari” e “privilegiati”), a prezzo di una guerra civile sanguinosa giustificata con la solita retorica “democratica” e “rivoluzionaria”, di una destabilizzazione di tutta la regione che ha portato l’Isis quasi a minacciare le nostre coste, di un azzeramento del tenore di vita del popolo libico (prima relativamente benestante ed ora alla disperazione), di una inevitabile nuova crisi migratoria (ancora in corso).

Un po' di attualità...
Ce ne sarebbe abbastanza da non permettere mai più ai francesi di appellarsi a termini evidentemente retorici come “Europa”, “pace”, “democrazia”, “libertà”: tutte favole in bocca a loro come già preconizzato dall’Alfieri.

Ma anche questo non sarebbe sufficiente a farsi odiare dall’autore di questo blog se il governo francese non avesse recentemente varato due misure nazifemministe: l’istituzione del reato di acquisto di prestazioni sessuali (ovvero il divieto di andare a puttane e quindi l’obbligo per ogni uomo di scegliere fra frustrazione sicura del disio e possibile tirannia attraverso di esso) e la multa per chi approccia e rivolge complimenti alle donne per strada (con la scusa delle molestie si rende quindi pure potenzialmente reato anche l’ultimo modo rimasto per procurarsi favori femminili: accettare di passare sotto le forche caudine del corteggiamento che, ahimè, iniziano sempre da una nuova conoscenza e da un complimento).

Micron dovrebbe essere decapitato in piazza per il suo collaborazionismo con la doppia tirannide finanziaria e femminista!

Il mio odio si fa anche politico quando vedo gli stessi alleati delle nazifemministe accusare di “nazismo” le uniche parti politiche ancora relativamente non troppo compromesse con la finanza internazionale e la misandria femminista. E’ il caso di Macron e di Henri-Levy che, dopo aver contribuito a diffondere il duplice cancro del potere finanziario (che divora ricchezze reali in nome di indici cartacei) e dell’empietà femminista (che divora la stessa natura dell’uomo, considerato colpevole in quanto tale, sbagliato in quanto maschio), parlano del “populismo” (ovvero di ogni idea politica non disposta a chinare il capo al pensiero unico dei diritti umani senza vera umanità e del liberismo vera senza libertà), del “nazionalismo” (ovvero di ogni amore per la propria nazione, “una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue, di cor” non svendibile ad interessi economici), del “sovranismo” (ovvero di ogni legittima pretesa dei popoli di non cedere la propria sovranità a meccanismi burocratici che di europeo hanno solo il nome e a finanzieri senza patria con interessi spesso fuori d’europa) come di una “lebbra” che distruggerebbe “l’universalità, la verità, l’amore” (questi ex-giacobini parlano ormai come preti dell’ancien regime!)

Lasciamo stare l’universalità, con la quale fin dai tempi di Robespierre e Napoleone i francesi si sono sentiti in diritto di invadere il mondo raccontando la favola dell’esportazione degli ideali rivoluzionari (appunto pretesi essere validi universalmente quando manco funzionavano nella loro patria), ma che oggi un Henri-Levy (uno di quelli che lodava l'intervento Usa in Iraq nel 2003, giustificato agli occhi del mondo con le prove false fabbricate dall’amministrazione Bush! Uno che era con Sarkozy e con Obama quando i due “eroi della rivoluzione e della democrazia” gettavano la Libia nel caos che dura ancora oggi raccontando la favola della “primavera araba”) abbia il coraggio di parlare di “verità” grida vendetta.

Ha la faccia tosta di dire che “la verità era uno dei pilastri della democrazia attaccato alle fake news dei populismi”?
Dopo che lui e tutto il suo amato “Occidente libero”, per almeno 70 anni (per non dire, aggiungo sottovoce da nietzscheano, da 2000, se li consideriamo come ultimi epigoni delle menzogna egalitarie e delle favole progressiste nate con il cristianesimo!) hanno mentito su tutto!

Decenni di bugie progressiste...
Hanno mentito sulla storia
             quando hanno attribuito ai tedeschi "barbari" (visti come pericolosi guerrafondati) ed al "militarismo prussiano" (presentato come brama di conquistare il mondo) la colpa della prima guerra mondiale, mentre erano piuttosto gli inglesi ad aver conquistato (da gentiluomini in patria e pirati sugli oceani) un quarto delle terre emerse, a mantenere la quasi totalità dell'oro su cui si fondava il valore del denaro (gold standard) e quindi a voler stroncare qualunque potenziale "concorrente" (tanto economico quanto politico);
             quando hanno fatto credere che i motivi della seconda guerra mondiale fossero solo le brame di potere del "grande dittatore", mentre erano piuttosto in gioco, in politica estera, i terrotori che storicamente erano stati almeno in parte tedeschi e, in politica interna, la possibilità effettiva di reggere una società contemporanea non sull'usurocrazia bancaria (Ezra Pound docet) ma sul lavoro (impedendo così alla finanza senza patria di arricchirsi a danno dei popoli come avveniva prima e coma torna ad avvenire ora);
             quando nel caso della guerra civile italiana, hanno raccontato di liberatori contro collaborazionisti, di buoni contro cattivi, mentre i primi erano semplicemente a servizio o dell'internazionalismo comunista o di quello angloamericano, ed i secondi erano quelli che si sono rifiutato di cambiare bandiera in una guerra in cui l'Italia, già mutilata della vittoria nella grande guerra dagli alleati, aveva tutto il diritto (per il proprio posto al sole) di scendere in campo a fianco dei tedeschi, mentre i primi (dopo magari essere stati fascisti quando faceva loro comodo) si sono "da rossi" abbandonati a torture, esecuzioni e vendette trasversali indegne di ogni concetto di umanità, ed i secondi (almeno per quanti ne ho potuto personalmente conoscere) hanno dimostrato una coerenza, un coraggio ed una dedizione alla causa (giusta o sbagliata che fosse) veramente degni dei trecento di Leonida.

Pazienza, ho iniziato allora a dirmi da adolescente, rinuncio ad essere "fascista" (le virgolette sono dovute al fatto che ero definito così unicamente per il mio irredentismo dannunziano) e guardo al presente.

Il mio presente è però una società dove le menzogne "liberal" hanno posto le premesse di una vera e propria tirannide femminista,
             quando hanno presentato il femminismo come "emancipazione", mentre in realtà tutto quanto, nel mondo come rappresentazione (cultura, stato, società) da esso viene definito "oppressione" era l'equo, umano e pacato bilanciamento dei privilegi naturali femminei nel mondo come volontà;
             quando hanno fatto credere che il femminismo volesse solo parità di diritto (e doveri), mentre, nella realtà sotto i nostro occhi,  si rivela costantemente un trucco femminile per mantenere assieme antichi privilegi (galanteria in ogni senso lato, corteggiamento, desiderabilità fino al possibile esercizio della tirannia) e moderni diritti;
             quando hanno convinto gli stolti che il femminismo non avesse nulla contro gli uomini in quanto tali, mentre la cronaca di tutti i giorni, depurata della distorsione giornalistica, narra di uomini distrutti (con i metodi descritti nelle note a questo e ai precedenti capitoli) dalle leggi femministe su aborto, divorzio e violenza sessuale.

Pazienza, ho continuato a dirmi, accetto le "pari opportunità" (tanto non mi toccavano direttamente e facevo finta fossero giuste al di là della mia visione filosofica che ho cercato di delineare), non mi sposo, non faccio figli, non conquisto, neanche corteggio, così evito tirannie, accuse false, stronzaggine. Anzi, vado solo a puttane, così non ho bisogno di bilanciare (ormai impossibile proprio per colpa della parità di genere) desiderabilità e potere per trombare (mi basta pagare). E invece no. Le menzogne "liberal" sul femminismo sono andate oltre

             fino a vietare quasi ovunque la prostituzione (con fake news del genere "sono tutte schiave" e deliberazioni parlamentari basate su documenti pseudoscientifici prodotti da lobbies femministe che hanno prima allontanato qualunque ricercatore discorde dal loro approccio ideologico);
             fino a far percepire alle donne come "normale" sbottare su internet contro chi ha cercato (magari maldestramente, ma non certo con ostilità) di approcciarle, creare videogiochi per "vendicarsi" dei complimenti (figuriamoci allora se fossero insulti!), scrivere manuali su come fare "meglio" le stronze;
             fino a far sentire inappropriato o addirittura sbagliato ogni disio di bellezza (da cui oscuramenti di miss italia e sparizione delle grid girls dalla F1), ogni tentativo realistico di conquista (da cui la montature del metoo e la colpevolizzazione contro chi ha la possibilità, finalmente, di contare su qualcosa di oggettivamente valido ed immediatamente evidente - soldi, posizione sociale, prestigio, potere, cultura - con cui bilanciare la bellezza, di cui si è discusso)  ogni detto, gesto o occhiata avente la sola "colpa" di esprimere disio naturale per il corpo della donna e di non essere da questa (a posteriori) gradito (cosa che non si può peraltro sapere in anticipo e che comunque sarebbe da rischiare nella prospettiva del "dovere di corteggiare" imposto de facto ai maschi);
             fino a rendere potenzialmente reato anche uno sguardo.

Potevo allora rinunciare alla mia natura? Rinunciare a desiderare? Rinunciare ad essere maschio? Al massimo, potevo guardare altrove, cessando di essere "sessuocentrico". Smettere di guardare il mio ombelico (o quello che c'è sotto) per guardare il mondo?

Bene, ma allora i "liberal" hanno iniziato a mentire anche sulla storia che si svolgeva sotto i miei occhi

             quando hanno presentato le varie rivoluzioni "colorate" in nordafrica e in medioriente come un 1848 arabo, mentre erano chiaramente pilotate dagli interessi materiali e ideali degli Usa e dei loro alleati (come si evince dal peggioramento nelle condizioni di vita in quei paesi che costringe i cittadini a emigrare da noi);
             quando hanno dipinto il golpe in Ucraina come una sollevazione popolare mentre era chiaramente un'operazione pilotata ancora una volta dai "filantropi" di Wall Street (mentre i servizi segreti russi erano occupati a fare la guardia ai giochi invernali di Sochi) al fine di portare l'Ucraina nell'UE e nella Nato;
             quando hanno presentato Putin come un nuovo Hitler mentre, semmai, era la Nato ad avere intenzioni di allargare ad est il proprio "spazio vitale" mentre la russia, allora come nel 1941, semplicemente difendeva i propri confini geopolitici,
             quando diffamano i governi di Polonia e Ucraina come "dittatoriali" solo perchè non hanno accettato di cedere la sovranità delle loro nazioni alla finanza senza patria e alla globalizzazione senza volto (perchè, insomma, vogliono una Polonia di Polacchi e un'Ungheria di Ungheresi, per sangue e per spirito) e a tal fine tentano di ridurre le influenze delle varie ONG e della propaganda progressista in genere in favore di una concezione più tradizionale e nazionale della cultura e della vita.

Pazienza, mi dicevo ancora, piuttosto che mettermi contro queste "verità ufficiali", rinuncio a guardare a tutto il mondo e guardo solo in casa mia.
Anche qui, però, i “liberal” hanno mentito,

             quando hanno diffuso la narrazione degli italiani spendaccioni causa del proprio male e del proprio debito e quindi meritevoli di sgridate da Bruxelles, mentre, dati alla mano, il debito si è creato non per una maggiore spesa pubblica rispetto agli altri stati, bensì per maggiori interessi sul debito dovuti alla separazione fra Tesoro e Banca d'Italia (che dopo il 1981 non ha più potuto acquistare titoli di stato per difenderne la quotazione, lasciandoli in balia della speculazione e del gioco al massacro degli interessi crescenti), ovvero a quella situazione (dipendenza dello "spread" dai capricci del mercato) che sarebbe poi stata propria di tutta l'Europa dopo la creazione dell'Euro;
             quando hanno finto di dimenticare che la crisi del 2008 non è stata generata dai pur incompetenti governi italiani, ma dalle grandi banche d'oltreoceano (e dalle agenzie di rating complici che oggi fanno la morale) con le loro cartolarizzazioni ed è stata "rigirata" sull'Europa (e soprattutto sull'Italia) con metodi variabili dalla "finanza creativa" alla guerra contro chi (ad esempio Gheddafi) non accettava il dominio del dollaro (che quindi ha potuto essere stampato in grande quantità senza perdere valore: ecco come gli "evoluti" Usa sono usciti dalla crisi!).

Pazienza ancora, mi sono detto per l’ultima volta, lascio stare la politica e guardo solo la cronaca. Eppure, per l’ennesima volta, i “liberal” hanno mentito

             quando hanno iniziato a presentare le donne come vittime e gli uomini come colpevoli mentre i femminicidi sono in numero infinitesimo rispetto alle volte in cui le donne possono, con mezzi legali (anzi, da loro sentiti pure come naturali) distruggere la vita di un uomo;
             quando hanno continuato a lamentarsi delle "tante donne che non denunciano" mentre con minime ricerche sull'argomento si possono enumerare infiniti casi in cui proprio le denunce sono false o esagerate ad arte per trattare da una posizione di forza in fase di divorzio;
             quando hanno proseguito a lamentare le "troppe volte in cui le donne non vengono credute"
proprio mentre, contro ogni principio di ragione e di diritto, si è introdotta de facto (tramite il mantenimento di un meccanismo inventato - ironia della sorte - durante il fascismo e consistente nel considerare anche come testimone - quindi con l'obbligo di dire la verità - la persona denunciante e non il denunciato) la possibilità di mandare in galera ogni accusato sulla sola parola dell'accusa, anche prima e anche senza riscontri oggettivi o testimonianze terze della presunta "violenza".

Allora ho detto: piuttosto che mettermi contro tutto il mondo, guardo solo ai fatti miei. Purtroppo anche essi, pur limitati a privilegiato e relativamente chiuso mondo accademico, hanno a che fare con immigrazione, globalizzazione, Europa.
Qui i “liberal”
             hanno mentito sull'immigrazione, quando l'hanno raccontata come una occasione di arricchimento culturale mentre la realtà ce la mostra come la distruzione anche della semplice prospettiva di poter continuare a parlare la tosca favella (ovvero una delle lingue più antiche del continente, figlia legittima del Greco e del Latino, sicuramente la più musicale - pari al francese per la dolcezza dei suoni ma superiore per la varietà di registri - probabilmente la più poetica in sè, per la varietà di significati e significanti delle parole grondanti di tradizione e di richiami letterari, e comunque la lingua attorno a cui da Dante in poi si è formata la visione del mondo del nostro popolo) in favore di dialetti africani o indiani per strada (dove fra poco non si incontrerà un italiano neanche a cercarlo col lanternino) e di un inglese asettico e americanizzato a scuola (dove ormai, per puro gusto internazionalista, è vietato parlare in italiano anche con gli studenti italiani);
             hanno mentito sulla globalizzazione, quando l'hanno propagandata come un ampliamento di possibilità per imprese e persone dinamiche e meritevoli, mentre in realtà si è rivelata quanto Diego Fusaro sintetizza nel termine "glebalizzazione" (ovvero riduzione, tramite la concorrenza selvaggia di paesi non certo socialmente evoluti, dei salari e dei diritti a livelli precedenti le lotte sindacali e lo stesso stato liberale, nonchè distruzione - per colpa della guerra combattuta più sui costi e sui numeri che non sulla qualità - di interi settori artigiani e industriali prima di eccellenza);
             hanno mentito sull'Europa, quando l'hanno osannata come destino di armonia e cooperazione fra popoli liberi e sovrani (dopo anni di guerre fratricide), mentre in realtà l'UE si è scoperta essere una tirannide dei paesi più forti (Francia e Germania, ovvero quelli che avrebbero potuto unire l'Europa nei secoli precedenti con le armi) su quelli resi più deboli da regole ad hoc (tipo l'austerity utile alla sola Germania o certe politiche estere o energetiche favorevoli sfacciatamente alla sola Francia), una burocrazia utile alle grandi multinazionali per debellare la piccola impresa e alle grandi lobbies per imporre (ex lege) un pensiero unico e un unico modo di vivere alle gente (fine cui sono funzionali il femminismo e l'antirazzismo), un modo per rendere l'Europa una brutta copia degli stati uniti, distruggendo la classe media, il welfare, e, soprattutto, ogni ricchezza materiale (risparmio, piccola proprietà, benessere di vita e tutto quanto viene minacciato dalle "ricette europee" in materia economica con la scusa del "debito da ridurre") e morale (specificità etniche, linguistiche e culturali del popoli, minacciate dall'obbligo di integrazione degli immigrati - con la scusa dell'umanitarismo - e di americanizzazione degli autoctoni - con la scusa del progresso).

 ...e un po' di "amore"

Avete mentito su tutto ciò su cui vi era possibile mentire, cari “liberal”! E poi parlate di amore? Venite su radio a leggere interviste a quel vecchio cialtrone sedicente filosofo (per figuri simili ben ha fatto Celine a scrivere “Bagatelle per un massacro”) pubblicate su “Repubblica” con titoli quali “l’Europa è anche una certa idea di amore”?

Mi ricordate Trotzki, che in nome dell'amore per l'umanità dava ordini disumani all'armata rossa nella guerra contro i bianchi. Mi ricordate i preti, che in nome dell'amore di dio hanno costruito una religione di odio (abissale) verso tutto quanto, nell'uomo, nella civiltà originaria indoeuropea, è palpitante di vita (condannato come “peccato”), genera verso l'alto (accusato di “sfidare dio e le sue leggi”) e brama l'affermazione di sé nella storia (trasvalutato nei valori e narrato come “male”). Mi ricordate soprattutto le vostre alleate femministe, le più accanite oppositrici di Trump, le quali si strappavano le vesti, all’indomani delle elezioni, in nome dell'amore universale, accusando il vincitore di aver basato la propria campagna sull’odio, loro che da decenni seminano misandria!

Quale “amore” è il loro?
             Quello in nome del quale, dalla scuola elementare ai corsi universitari, dalle commedie di Hollywood ai simposi filosofici, dipingono l'uomo come fonte di ogni male della storia e causa di ogni loro infelicità personale fino a riuscire in qualche caso a suscitare in certi maschi "pentiti" un odio per la loro stessa natura?
             Quello in nome del quale usano l'arma della bellezza o comunque il privilegio psicologico del loro ruolo di corteggiate, per ferire, irridere, umiliare e affermare il loro diritto ad essere stronze?
             Quello in nome del quale convincono leggi e costumi a considerare inappropriato, deprecabile o addirittura ostile potenzialmente ogni tentativo maschile di propiziare un contatto intimo?

E su quale “amore” dovrebbe fondarsi quello che resta dell’Europa?
I Greci conoscevano ben tre precisi significati per la parola: eros, l’amore sessuale, filia, l’amore che ci spinge verso le cose e le azioni (amore per il sapere, amore per una data attività umana) e agapè, la pietà per chi soffre.

Il sedicente “amore” che i liberal e le loro amiche femministe venerano come dio

             non è certamente eros, perché il naturale trasporto verso la bellezza che sorge con la rapidità del fulmine e l'intensità del tuono nell'uomo davanti alle grazie femminili viene de facto inibito, condannato o comunque reso quasi impossibile da soddisfare nella società femminista, nella quale mostrarsi (e suscitare disio) è un diritto ma guardare (ed esprimere disio) è un reato e nella quale le disparità di numeri e desideri nell’amore sessuale fra maschi e femmine sono accresciute ad arte per generare nei secondi precipuamente frustrazione, senso di nullità e inappagamento;
             non è nemmeno filia, perché  tutto ciò che era amabile nella vita (l'arte, la letteratura, l’automobile, la scienza) è stato via via distrutto dalla declinazione “liberal” del “progresso” (l'arte, da generatrice di opere di genio fungenti da consolazione persino per l’infelicità umana di leopardiana memoria, è divenuta mera industria d’intrattenimento sottoposta alle sole leggi del mercato e della propaganda ideologica “liberal” – e quindi anche femminista - generanti ancora più infelicità soprattutto nei giovani maschi che avrebbero più bisogno di essere consolati; la letteratura è passata da luogo dell’anima in cui era possibile condividere sentimenti fra uomini distanti nel tempo a mercato in cui si parlano tutte le lingue fuorché quella della poesia che, da Petrarca a Leopardi, era invece riuscita, anche grazie ai licei, a costruire un substrato culturale comune in grado di rendere possibile persino la comunicazione fra i sessi da adolescenti; l’automobile è stata trasformata da alter-ego meccanico dell’uomo, da compagna dotata di anima ed oggetto di amore, ad elettrodomestico; la scienza è in pochi anni degenerata da episteme a insieme di opinioni valutabili tramite il numero di “mi piace” ricevuti e le facoltà scientifiche sono decadute da ricettacolo dei migliori sapienti fra i giovani del paese, da luogo di ambizione e di eccellenza - per entrare nel quale si sperava e soffriva durante le fasi di massimo impegno nell’ascesi della conoscenza - a parcheggio sociale per mediocri e centro di accoglienza per immigrati e profughi travestiti da studenti internazionali);
             non è infine neppure agapè, perché nessuna pietà vi è per quegli uomini i quali, non essendo riusciti a raggiungere una certa (e rara) posizione di prestigio o preminenza nella società, restano in essa trasparenti e amorosamente negletti dal sesso opposto, e se, con disperazione, tentano l’impossibile fortuna nell’approccio, o vengono respinti con sovrano disprezzo e tacciati d’esser molesti, volgari o violenti, o vengono sollevati nell’illusione e gettati nella delusione dal gioco della stronzaggine, non ricevendo in alcun caso conforto per il loro sempiterno inappagamento d’ogni disio (non solo nessuno stato paga loro sacerdotesse di Venere per una consolazione almeno carnale, ma anzi molti stati li multano o li perseguitano penalmente per averle cercate! E la morale liberal-femminista li dipinge pure come insensibili, oppressori, malvagi, solo e soltanto per aver cercato l’ebbrezza dei sensi e delle idee a pagamento, per non aver voluto passare sotto le forche caudine delle stronze, per non essersela sentita di atteggiarsi a conquistatori o di accettare tirannie erotico-sentimentali, insomma, li condanna per le loro debolezze erotiche che sovente divengono pure sentimentali!).

Un solo significato è possibile per il loro concetto di “amore”: la compassione in senso cristiano che ha, come presupposto, il porre l’origine del valore (e quindi del diritto) nel semplice fatto di essere nati per caso uomini e, come conseguenza, la negazione di ogni specifico e diverso tipo umano, di ogni valore affermato storicamente dall’uomo con le sue costruzioni d’arte, di politica, di pensiero, di società, di civiltà. Insomma, è proprio quell’amore per l’umano indistinto che cela l’odio abissale per l’uomo differenziato. Quell’amore indiscriminato che è odio verso se stessi, la propria identità, la propria civiltà e che, applicato all’Imperium Romanum, condusse alla decadenza (conseguenza dell’estensione indiscriminata a tutti della cittadinanza, dei diritti, eccetera). Applicato all’Europa di oggi, sta conducendo alla dissoluzione (biologicamente, tramite l’immigrazione di massa e psicologicamente, tramite l’americanizzazione di ogni forma di cultura) delle identità di sangue e spirito che ne hanno costituito il nerbo nei momenti più alti della sua civiltà, di cui la Grecia e Roma furono le origini e Gerusalemme il principio della decadenza.


Non si creda che tutto questo “amore” sia disinteressato. L’uomo avrebbe interesse a realizzare una società relativamente chiusa, l’accesso alla quale fosse regolato da leggi ferree e da prove di valore oggettivo, in modo da garantirsi, una volta entratovi per merito personale, di trovarvi dentro relativamente pochi “concorrenti” e relativamente tante belle donne, affascinate anche solo dall’aurea di una tale “eccellenza”. Sono le donne ad avere, al contrario, interesse a vivere in una società “aperta”, nella quale tutti i nati per caso uomini possano accedere, e dentro la quale non solo la concorrenza fra maschi sia altissima e inumana, ma i criteri della competizione, essendo lasciati al caso, possano venire di volta in volta stabiliti a capriccio (e a posteriori) della singola donna (senza che quindi gli uomini abbiano il minimo potere contrattuale, anche solo garantendosi, con un merito oggettivo socialmente riconosciuto - di cui una “open society”, con la sua ostentata disomogeneità antropologica, finisce inevitabilmente per negare l’esistenza -  un corrispettivo della bellezza femminile con cui essere apprezzati e quindi più facilmente scelti).
“Amore” e “società aperta” sono i modi in cui il gretto interesse femminile si fa politica e antropologia! Ed è appoggiato da quelli che, per loro stessi, si creano circoli iper-esclusivi in cui invitano mediamente cinque modelle per ogni maschio, forti delle loro possibilità di indipay miliardario! Altro che società aperta (che lasciano volentieri a noi creduloni)!



 Infine, un po' di Europa
“Unione Europea” ed “Europa” non sono sinonimi, bensì contrari. L’Europa, infatti, è semplicemente, come già aveva capito Nietzsche, il nostro destino inevitabile. “Se saremo così pazzi da non unirci col consenso”, ci ammoniva lo zio Friedrich, dovremmo sperare di essere conquistati per “via imperiale”. Tanto i francesi di Napoleone quanto i tedeschi del Kaiser mancarono la loro occasione storica di unire l’Europa nella potenza perché, quando erano all’apice della loro potenza nazionale, seppero vedere solo una Grande Francia ed una Grande Germania e giammai una Europa unita. Esattamente come la Markel e Macron di oggi, al di là della retorica. Ecco perché l’Europa non c’è.
L’Unione Europea, infatti, rappresenta in contrario di ciò che l’Europa dovrebbe essere per storia e destino. L’Europa dovrebbe costituire, se non una opposizione, almeno un’alternativa all’american way of life, ed invece la UE la sta trasformando in una sua brutta copia (sia per quanto riguarda lo smantellamento dello stato sociale operato dal neoliberismo, sia per quanto riguarda la sottomissione alle menzogne del politicamente corretto ed alla propaganda femminista). L’Europa dovrebbe porsi come obbiettivo il mantenimento, l’accrescimento e l’affermazione di tutte quelle identità di sangue e spirito che ne hanno costituito il nerbo nei momenti più alti della sua civiltà (la Grecia Omerica, presupposto per l’intero edificio della civiltà classica, la Roma della prima età Repubblicana, presupposto per le conquiste militari e civili dell’Imperium Romanum, giustamente rimpianto di Nietzsche come “grande costruzione”  e ultima possibilità di costruire di là dall’umano, la civiltà comunale e rinascimentale italiana, presupposto per l’uscita dall’era di mezzo in cui i “plantigradi”, per dirla sempre con Nietzsche, cristiano-germanici ci avevano piombato), ed invece la UE pone fra i propri “valori” proprio l’essenza sovversiva ed autodistruttiva del cristianesimo dell’accoglienza, dell’uguaglianza e dell’umanitarismo (contrario di umanesimo!) e nulla fa per impedire (anzi, molto lascia fare a lobbies internazionali per favorire) l’immigrazione massificata e massificante destinata (a questo ritmo) a dissolvere in pochi decenni e per sempre nel caos tutte le ricchezze (etniche, economiche, sociali e linguistiche) che i diversi popoli europei hanno, con il loro lavoro, il loro genio, le loro arti, saputo costruire in millenni di civiltà. L’Europa dovrebbe costituire un conglomerato di forze in grado di contrapporsi sia militarmente sia economicamente a potenze extraeuropee inconciliabili per tradizione e spirito (come gli Stati Uniti o la Cina) ed invece segue a restare all’interno della Nato (ovvero di quella moderna versione della Lega di Delo che permette agli Ateniesi yankee, mi si permetta il paragone irrispettoso ma efficace, di tiranneggiare ex-alleati con la scusa della protezione da un nemico esterno “persiano”) e ad avallare ogni atto di politica estera funzionale all’ormai intollerabile e barbara egemonia Usa (come le vergognose ed inique sanzioni alla Russia e l’appoggio incondizionato ed irrazionale ad Israele, ad esempio), per non dire dell’assenza di una geopolitica economica (se vi fosse, l’auto elettrica sarebbe osteggiata, in quanto strategia cinese per “semplificare” un mezzo di trasporto su cui le industrie europee avevano un primato tecnologico e “culturale” – il tutto solo mascherato da ecologismo in maniera non diversa di come un certo imperialismo USA si maschera dietro “interventi umanitari” - ed il diesel difeso contro il benzina, essendo il dieselgate, come detto prima, un “protezionismo mascherato” degli Usa per difendere le proprie motorizzazioni a benzina obsolete e inefficienti).
Constatata l’inadeguatezza storica dei Tedeschi e preso atto dell’inconciliabilità fra Unione Europea e ogni immaginabile “vita sopportabile” per gli Europei (soprattutto maschi, a giudicare dall’infame e menzognera risoluzione anti-prostituzione, voluta dalle lobbies femministe, approvata senza neanche discussione da un parlamento di servi, e motivo, nel 2014, di una mia precisa “condanna a morte” dell’UE e dei suoi componenti), non resta che guardare più ad est, verso quei Russi che già Nietzsche vedeva più “moralmente sani” perché più “barbari”. Del resto, con la parziale esclusione della parentesi sovietica, la Russia ha sempre dimostrato di poter costituire, proprio come una “Terza Roma”, un “impero di terra” in grado di mantenere uniti (senza dissolverli nell’indifferenziato di un mondialismo e senza schiacciarli con uno sciovinismo di stampo francese) diversi popoli di antica tradizione e preziose specificità, al contrario del mondo angloamericano che, per il suo prediligere (fin dai tempi dei predatori antenati degli Anglo-Sassoni) l’interesse gretto e la rapina (e quindi, modernizzando, la finanza rapace), nonché per il suo essere “liquido”, socialmente e antropologicamente (il mare è proprio la rappresentazione simbolica di una visione del mondo che non riconosce i confini, - i “muri”, come va di moda dire oggi – e quindi le forme, le differenze, le identità solide), è probabilmente più simile alla nemica Cartagine.
Da Macron, da Henri-Levy, da questa Unione Europea negazione di ogni spirito veramente europeo, di ogni volontà destino propriamente europea, di ogni identità e volontà popolari genuinamente europee, ci salvi la Russia. Sia Mosca la Terza Roma che mai cadrà! Putin non permette che ci sia una Russia senza Russi. Putin ha Dugin e non scribacchini neoliberisti per consiglieri. Putin non deve ordinare alla sua polizia di sparare sui manifestanti. Forza gillet gialli, siete l’unica cosa che ancora ami della Francia! Morte al governo francese!